IL VERO SAN FRANCESCO
Nel giorno di San Francesco è alla ribalta l'immagine odiosa e repellente che gli è stata costruita addosso dalla cultura attuale. Un'immaginetta disney; un povero c... che vuole bene a tutti e che parla con gli animali. Il personaggio vegano per eccellenza, lo stupido sostanziale che piace indiscusso allo stupido universale. Ma la realtà è ben altra. San Francesco era un combattente, un guerriero, uno che andava in cerca. Uno che per regola mangiava tutto, dalla cacciagione che gli offrivano gli amici nobili che frequentava assiduamente alla orribile sbobba dei lebbrosi. Cosa cercava? Il Santo Graal e per raggiungerlo era disposto a tutto.
Le due righe seguenti per averne un'idea adeguata.
La "Regula" fu uno dei veri, grandi tormenti della vita di Francesco. Dal momento in cui essere "francescani" divenne l'aspirazione suprema di tanta parte dei giovani di cuore nobile e di mente elevata dell' Europa cristiana, papi, cardinali, compagni di vita, preoccupati del futuro dell'Ordine, lo pressavano affinché dettasse infine quel codice che avrebbe stabilito una volta per tutte cosa fosse e cosa dovesse fare un “vero” francescano. La formalizzazione del modo "regolare" di essere un frate dell' Ordine dei Minori, gli doveva sembrare ancor più che inessenziale, pericolosa e deviante rispetto allo scopo originario e sostanziale di chi decideva di vestire il saio e lasciare le lusinghe del mondo, che era poi quello di vivere con purezza di cuore quanto più possibile il Vangelo, ossia considerarsi nient'altro che creatura fra le creature che dal Padre Celeste ricevono vita e amore e dunque non possono aspettarsi provenire ogni bene e salute che da Lui.
Quindi lo scopo autentico di una vita francescana non è tanto battersi e vincere la battaglia contro il demonio, quanto quello di incontrare Gesù e, attraverso la sua amicizia, parlare col Padre. O meglio, questo è il modo vero per non darla vinta a Satana.
Ora, non è che Francesco non concepisse se stesso come combattente, ma non come un soldato, ossia come parte di una macchina disciplinata che obbedisce passivamente agli ordini di un comando esterno e insindacabile, quanto piuttosto come cavaliere errante, come colui che combatte con le sue proprie armi e solo per la causa che lui stesso ha scelto. Nulla, nei modi e nei valori di reciproca lealtà, assomiglia di più ad una torma di cavalieri erranti che lui e il suo primo piccolissimo gruppo, quando erano dodici come gli Apostoli. E come che per i cavalieri di nobile cuore lo scopo della tenzone non è tanto l'aver ragione dell' avversario da sbalzare da cavallo, quanto il mezzo per provare se stesso, il proprio valore, il proprio coraggio, la propria lealtà, la propria generosità, così in Francesco e nei suoi, ma in un ordine di prove e di modi capovolti rispetto a quelli della cavalleria esteriore, la battaglia è l'interiore sforzo di non fuggire di fronte alla lancia delle lusinghe del mondo, di non cedere di fronte alla tentazione di possedere qualcosa piuttosto che niente. Ed è questa una prova durissima. Se diventare cavaliere vuol dire vestirsi anche simbolicamente delle insegne che lo qualificano, calzare gli speroni, indossare la cotta, cingere alla cintola la spada, calarsi sul capo l' elmo, farsi francescano significa compiere lo stesso processo simbolico ma alla rovescia: svestirsi di tutto ciò che ti lega alle cose del mondo, che non sono solo beni materiali, ma relazioni sociali, famigliari, obblighi di ceto, interessi di parte e aspirazioni alla considerazione sociale, per indossare un semplice straccio di lana, legato alla meglio con una corda….
Vivere una vita da cavaliere che voleva dire in definitiva? Vivere per l'impresa. I cavalieri sono coloro che si mettono in cerca. Vagano per il mondo perché nei luoghi dove sono cresciuti e nella cose che lì potrebbero avere non trovano sufficiente ragione per restare. Si devono mettere alla prova, devono compiere l'impresa che, se nella forma esteriore e volgare, dia a loro la gloria della fama, nella sua essenza profonda, interiore, è ritrovare, in tanto confuso vagare, la via, ossia la giustificazione illuminante il fatto di essere vissuti. L'impresa delle imprese, l'unica davvero possibile perché quella solo vera, è trovare il Graal, la coppa nella quale Giuseppe d'Arimatea raccolse il sangue di Cristo crocifisso e il cui possesso darebbe la suprema sapienza, quella di vedere al di là delle apparenze, la natura reale del bene che regge il mondo.
Ecco, in questa prospettiva si spiega il vagare dei francescani, che non è il pellegrinaggio classico medievale, perché non ha una meta definita e un oggetto certo da raggiungere, quello di un luogo Santo e delle Sacre reliquie che ivi si custodiscono. E non è nemmeno un vagare senza meta, quello degli spiriti confusi e incostanti. È un muoversi senza preclusioni e senza schemi definiti, in cerca però di un approdo sicuro, dopo avere compiuto una missione e aver testimoniato che il Vangelo non è solo un'aspirazione ideale, ma è la chiave reale per avere una vita vera. Dunque, rinunciare a tutto, per avere tutto, la compagnia di Cristo, la certezza dell'amore del Padre. Il Graal, insomma. Quello vero, che è nascosto da qualche parte nel cuore di ognuno, e che ti libera di ogni timore, di ogni incertezza, e fa, quando lo hai trovato, ogni tuo giorno una lode infinita all'essere qui e ora, ossia all'essere creati. Questo lo scopo del vagare francescano, giacché lo stare è in qualche modo contiguo al possedere e possedere qualcosa è di fatto la rinuncia a possedere tutto: la libertà dal timore di poter perdere qualcosa che ti acceca del fatto che già possiedi tutto, che nulla di male ti potrà accadere in questa vita, se ovunque saprai scorgere la presenza di Cristo nell'essere qui e ora.
Pensate, nel medioevo poteva morire anche il più orribile dei peccatori e il più mostruoso degli eretici, eppure tutti si sentivano in dovere di pregare per la sua anima, che nel momento fatale potesse pentirsi e salvarsi. Chi conosce il canto di Manfredi, nel Purgatorio dantesco? Eretico, peccatore, nemico di Dio, Dante lo salva perché in punto di morte si pente sinceramente. Pensate che decadenza morale e civile dal medioevo.
Alfredo Morosetti
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