venerdì 16 febbraio 2024

OLIVETTI

 In ritardo ho letto un "pezzo" giornalistico che sarebbe piaciuto (ci scommetto), e molto, a Corrado Stajano e Giorgio Bocca. È apparso su "La Lettura" del 4.2 dal titolo "Olivetti Valley. La Silicon che riparte", a firma Paolo Di Stefano, giornalista culturale che Stajano apprezza. Un giorno, Stajano presentò nella saletta del Bar del Piccolo Teatro a Milano, la riedizione per il Saggiatore di un suo libro: presenti la moglie del "pistarolo", il grande cronista giudiziario, il bergamasco Marco Nozza, la moglie di Stajano, la fotografa Giovanna Borgese, un tizio che cerco' inutilmente un'autografo da Stajano che si era scorpacciato, con la moglie, tutte le patatine del bar, e poi stava serio, vestito di un vecchio loden verde scuro, quando, in ritardo arrivò Paolo Di Stefano. E allora, finalmente, il volto di Stajano si illuminò in un sorriso soddisfatto. Gli amici, pochi, con cui condividere le strade della cultura civile, letteraria, politica, sociale, da Antonicelli ad Adriano Olivetti, a Romano Bilenchi, sono stati un percorso frequente del lavoro di Stajano.

Paolo Di Stefano, è uno dei critici letterari, giornalisti culturali del "Corriere della Sera".
Ultimo giornale su cui ha scritto Corrado Stajano, prima di cessare la collaborazione. Con Ferruccio de Bortoli, che stimava lo scrittore mezzo cremonese, mezzo siciliano della Val di Noto, c'era intesa; con il nuovo attuale direttore meno. E , l' autorità culturale di Stajano si aspettava che fosse il giornale a chiedergli un "pezzo", all'autore de "l'eroe borghese", e non Stajano a domandare permesso al giornale, per un parere, una collaborazione.....
Adriano Olivetti, Ivrea, il sogno di una industria che fosse una "sorta di paradiso in terra", grazie a un'industria che sapesse progettare il futuro, ricca di cultura, non solo industriale...
Non era un sogno, o fu anche una realtà?
Chi scrive lavorò in sette aziende: nessuna assomigliava, neanche lontanamente all'Olivetti di Ivrea. L"Olivetti apri' un grosso stabilimento nella mia cittadina, Crema, e frequentavo quella fabbrica solo per approfittare dei suoi campi da tennis, le gite domenicali con il pullman aziendale per sciare a Borno, Val Camonica. Gi giravo attorno, alla fabbrica, la guardavo, curioso. Ne ascoltavo i battiti. I rumori. Ma non bussai mai alla sua porta. Forse avrei dovuto. Eppure a scuola, imparai il calcolo a macchina con la "Divisumma". Ricordo un carrello portentoso di una di quelle macchinette, allora grosse e pesanti, che quando andava a destra faceva un bel fracasso: e pensavi: prima o poi, il carrello, finirà che non torna più indietro, ma esce dal binario, come un proiettile....
Olivetti, Olivetti. Poi, lo stabilimento di Crema chiuse i battenti e "ciao Nineto", come dicono in campagna dalle nostre parti. Fini' l'avventura cultural-industriale; ma i dipendenti, se non sbaglio, ottennero generose liquidazioni, altri posti di lavoro, oppure andarono in pensione ben prima del tempo utile, come un mio compagno di banco alle serali di Ragioneria, a Lodi che "la Banca", non dico quale, gli dette cinque anni pagati, stipendio e contributi più un bonus, in anticipo per accompagnarlo alla pensione....
Forse il paradiso in terra olivettiano si era trasferito nella fortuna di quelli che venivano accompagnati in pensione anticipata? E' possibile. Tante cose sono cambiate. Esaurite. Non ci sono più nelle fabbriche, come all'Olivetti, Furio Colombo, Tiziano Terzani, Paolo Volponi. Nemmeno i loro nipoti. Nemmeno uno come Ottiero Ottieri che lavoro' a Ivrea nelle "risorse umane". La cultura stava in ufficio - come ricordò Ottieri: non si sporcava le mani, ma spremeva la mente, forse; e il fine settimana, Ottiero Ottieri preferiva uscire non con le operaie dell"Olivetti, nonostante fossero parte "del paradiso in Terra", ma con le sue amiche borghesi metropolitane, con cui andava al ristorante o a sciare sulle Dolomiti. Le operaie puzzavano, scrisse sincero Ottieri, le sue amiche borghesi parlavano meglio e avevano un buon profumo, costoso...
Paolo Di Stefano ha scritto una cronaca esemplare dell'occasione perduta olivettiana in Italia, scrivendo due pagine fitte che un tempo sarebbero state il fiore all'occhiello dell'inchiesta giornalistica di un quotidiano, non del suo inserto letterario. Ma non ha vissuto invano, l'Ivrea di Adriano Olivetti. Qualcosa comunque ha germogliato, in quella straordinaria città, così poco provinciale, con la Via Jervis, la sua architettura modernista, che piacque così tanto a Le Corbusier che restò meravigliato da Ivrea. Via Jervis è la più bella strada del mondo, disse. A Ivrea, grazie ai semi lasciati da Adriano Olivetti hanno germogliato 400 aziende informatiche.
Paolo Di Stefano: "Viene da immaginare che cos'era questa strada quando, dietro l'interminabile muraglia in vetrocemento, operai, impiegati, dirigenti, ingegneri, progettisti, programmatori continuavano a lavorare, a programmare, a progettare, a sperimentare".
Nei miei vagabondaggi fra le fabbriche, le osservo ancora, oggi più di ieri che entravo e uscivo scappando, come fanno i vecchi con le mani dietro la schiena, imbambolati; e resto li' a curiosare, ad ascoltarne i rumori, il rimbombo, lo stridio metallico dei ponti che trasportano lunghe barre di ferro. Cerco un calore, un piacere, che non provo; una passione riscontrata nei tanti scritti dedicati all'esperienza degli stabilimenti Olivetti, dove entusiasmo e passione ce n'è a profusione.
Ho avuto esperienze diverse, ben lontane da quel sogno passionale della fabbrica umana di Adriano Olivetti. Forse è questo che ha segnato, per sempre, la mia freddezza.
La parabola Olivetti ha toccato l'apice negli anni Ottanta. Poi, la china è stata tutta discendente.
Ma a Ivrea nascono fiori industriali, ancora. Invenzioni. Sotto il segno di Adriano Olivetti? Chissà. Alcune ditte con mille dipendenti, altre con solo due, tre dipendenti...
Forse scampoli di sogno resistono, ancora.
Malintesi, incomprensioni fra cultura e industria sono perdurati a lungo, nonostante Adriano Olivetti. La fabbrica apporto' benessere; e il paesaggio industriale continua a cambiare fisionomia, ma questa è un'altra storia, dell'industria spesso non capita e amata dagli intellettuali, raccontata nello studio di Giuseppe Lupo "La modernità malintesa. Una controstoria dell'industria italiana", Marsilio 2023.

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