domenica 18 febbraio 2024

BELLEZZA

 La più parte della gente si veste come vestono, nei carceri, i galeotti. La più parte della gente parla con un vocabolario di trecento parole e una sintassi per sordomuti. Subiamo una continua violenza da parte dei nostri simili, generata dalla bruttezza della loro anima e della loro veste esteriore. Il brutto è signore sovrano della nostra vita. Le case sono cubicoli che annunciano i colombari dei cimiteri, gli arredi qualcosa fra il grottesco e l’insopportabile. Le città uno scarabocchio che si ripete identico ovunque; potresti essere ovunque perché sei sempre nello stesso scarabocchio.

Poiché l’unica cosa che rende sopportabile questa nostra vita è la contemplazione del vero, ossia di Dio, ed essa ha come condizione a priori la meraviglia di ciò che è bello, ne consegue che la qualità della vita che facciamo non è scadente, è diabolicamente pervertita.
Cosa ci ha fatto sprofondare in questo carcere cieco, dove ogni luce è tolta e vivere è accumulare gettoni di vita, ovvero sperare di non morire oggi ma domani? La matematica. Sembra un’idea pazzoide, ma è la risposta vera. Se guardiamo al mondo, chiamato dagli scolarizzati di regime, “prescientifico”, ossia ai Greci, ai Romani, agli uomini del Sacro Romano Impero e a quelli delle grandi monarchie medioevali, vediamo che il bello è il fine di ogni azione concreta, persino di quella di un artigiano, come un vasaio dell’Attica, un costruttore di mosaici romani, un tessitore medioevale di arazzi.
Il bello non solo è lo scopo, ma il risultato implicito di ogni manifestazione superiore dello spirito. Belle devono essere le parole con quali esortiamo o celebriamo i nostri simili, belle le azioni di chi guida gli uomini in battaglia o difende l’onore della sua persona e della sua stirpe. Belli i monumenti, le case, gli edifici, le città. Cosa rendeva possibile tutto ciò? La matematica. La matematica antica non era calcolo, ma misura. Misurava attraverso la spazializzazione del numero, ossia usando la geometria come strumento analogico di misura. Con questo sistema era tranquillamente possibile misurare con precisione la distanza del sole dalla terra, costruire un ponte sul Guadalquivir, alzare il Partenone, erigere la cattedrale di Reims. Misurare per figure geometriche ci imponeva la simmetria come regola aurea e la simmetria, ovvero l’equilibrio quantitativo fra le parti generava il bello, quello che è inscritto nel profondo della nostra anima e che chiunque intuisce immediatamente in ciò che vede. Cosa rende assolutamente belle le sculture di Skopas o di Michelangelo? La simmetria delle parti, l’assoluta rispondenza delle misure fra le parti a quelle che sono le proporzioni da sempre inscritte nella nostra anima.
Cosa ha distrutto tutto ciò? La matematica, quella che calcola per funzioni.
Se voi prendete un piano cartesiano, potete fare a meno dello spazio, la posizione di qualsiasi punto su di esso può essere espressa in una funzione matematica fra l’asse delle X e quella delle Y. Il mondo può fare a meno dello spazio, può essere risolto in un rapporto numerico. Lo scopo della matematica non è più misurare ma calcolare quanto ci vuole per arrivare, in tempo o energia, da A a B. La forma del mondo è soppressa e sostituita dal calcolo funzionale del risparmio che comporta ottenere uno spostamento. L’utile diventa così il Dio mostruoso che guida la nostra vita, la ragione per cui tutto è eguale a tutto e tutti sono eguali a tutti. E ciascuno di noi un nulla.

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