giovedì 29 febbraio 2024

ANNO BISESTO

 L’anno bisestile è stato inventato a Roma. Giulio Cesare […] in qualità di Pontefice Massimo nel 46 a.C. sostituì il calendario lunare fino ad allora in uso con quello solare. “Riformò il calendario – si legge nelle Vite dei Cesari di Svetonio – sconvolto da molto tempo per colpa del Pontefici che abusando della facoltà di inserire giorni intercalari avevano creato una tale confusione che le feste del raccolto non cadevano più in estate e quelle della vendemmia non cadevano più in autunno.

 

anno bisestile 4ANNO BISESTILE 4

Regolò l’anno sul corso del sole e lo fissò di trecentosessantacinque giorni, (…) inserendo un giorno ogni quattro anni”. Il giorno aggiuntivo andava a raddoppiare il 23 febbraio, il sesto prima delle calende di marzo che davano inizio al nuovo anno: di qui il nome bi-sextus, “bisestile”. Questo serviva a risolvere un problema di divergenza tra anno civile e anno solare, la cui durata è in realtà di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. Tanto è il tempo che impiega la terra a girare intorno al sole.

 

[…] A suggerire la soluzione fu l’astronomo greco Sosigene di Alessandria, ma il suo calcolo non era perfetto e nel tempo gli errori continuarono a sommarsi: si perdeva in questo modo un giorno ogni 128 anni. Si arrivò così a una differenza di circa 13 giorni nel XVI secolo.

 

anno bisestile 1ANNO BISESTILE 1

Per la Chiesa, anche nei secoli precedenti, la discrepanza tra le date del calendario e la durata effettiva delle stagioni era un serio problema: la Pasqua infatti, come stabilito dal Concilio di Nicea nel 325, deve cadere la prima domenica che segue il plenilunio successivo all'equinozio di primavera. Per questo nel 1582 papa Gregorio XIII pose di nuovo mano al problema, dopo diversi tentativi da parte di dotti e religiosi. Il Papa eliminò dieci giorni di sfasatura accumulati nei 15 secoli precedenti facendo saltare le date per quell’anno direttamente dal 4 al 15 ottobre.

 

Il suo calendario, detto appunto gregoriano, ridusse a un giorno ogni 3323 anni l’errore, modificando la regola che voleva un giorno in più ogni 4 anni. Così questo calendario, quello che ancora oggi usiamo, introduce il 29 febbraio negli anni divisibili per 4 tranne quelli secolari: tra questi sono bisestili solo gli anni divisibili per 400.

 

sfortunaSFORTUNA

LA BRUTTA REPUTAZIONE DEL 29 FEBBRAIO

[…] La singolarità del 29 febbraio è testimoniata dalla quantità di superstizioni e convinzioni popolari che lo accompagna. La più nota e diffusa è che l’anno bisestile porti sfortuna: “anno bisesto, anno funesto”, si dice. Un’idea poco scientifica ma che alcuni supportano enumerando una serie di disgrazie avvenute negli anni bisestili, dal naufragio del Titanic nel 1912 allo Tsunami nel 2004, per finire con la pandemia di Covid nel 2020.

 

[…] Il legame con la mala sorte risale a sua volta all’epoca romana: allora febbraio era il mese dedicato alla celebrazione dei defunti, che nella credenza popolare potevano ritornare sulla terra: un mese cupo, non meritevole di essere allungato. […] Ma non tutti sono figli della cultura latina, e nei Paesi anglosassoni invece l’arrivo dell’anno bisestile è visto con favore: è ancora attuale in Irlanda e in Gran Bretagna il rito del “giorno dello scapolo”, il 29 febbraio, quando solo le donne possono fare la proposta di matrimonio all’amato, e questi deve accettare, pena una multa riparatrice. […]

 

La confusione che Cesare voleva eliminare già 2000 anni fa in realtà è durata ancora molti secoli e ancora non abbiamo una precisione millimetrica, ma ci vorranno circa tremila anni prima che il calendario gregoriano si discosti di un giorno da quello solare. Prima di allora, forse, avremo trovato altre soluzioni.

mercoledì 28 febbraio 2024

ISLAM E CRISTIANESIMO

 Islam e Cristianesimo.

Il primo a tentare un dialogo fra le due religioni fu Francesco d'Assisi. Nell'estate del 1219, mentre era in corso la quinta crociata, il frate si mise in cammino e raggiunse Damietta (in arabo Dumyåt), a 200 chilometri dal Cairo. La città era sotto l'assedio dei crociati da un anno.
Francesco si era messo in testa di parlare con il sultano al-Malik al-Kamil.
I capi crociati cercarono di scoraggiarlo. Ma lui non si arrese. Intanto il sultano aveva saputo dell'arrivo del frate e mandò due musulmani a prenderlo.
Il colloquio fu lungo e rispettoso. Alla fine Francesco disse al sultano: "Prego Dio che ti faccia convertire al Cristianesimo". Il sultano, nell'accomiatarsi dal frate, replicò: "Prega il tuo Dio di farti convertire all'Islam". Un dialogo fra sordi.

martedì 27 febbraio 2024

FELICITA'

 


Qual è il segreto per la felicità? […] Lo psichiatra americano Robert Waldinger, che […] dirige lo storico Study of Human Happiness di Harvard, ha rivelato l'importanza di avere almeno due persone fidate a cui rivolgersi nel momento del bisogno.

 

I RISCHI DELLA SOLITUDINE

Condividere preoccupazioni e stress con gli altri aiuta il corpo a ritornare a uno stato di equilibrio. Perché la solitudine cronica può portare ad alti livelli di stress e influire negativamente sulla nostra salute. […]

 

FELICITAFELICITA

LA QUALITÀ DELLE RELAZIONI

Lo studio ha rivelato che la qualità delle relazioni è essenziale. Avere legami forti e significativi con gli altri migliora felicità e salute. […] Ed è questo il motivo per cui incoraggia tutti, indipendentemente dalla personalità, a coltivare amicizie profonde e a impegnarsi in attività che appassionino: così da espandere la propria cerchia sociale.

 

[…] Ma c'è anche una componente genetica nella felicità. «Secondo uno studio della psicologa Sonja Lyubomirsky, il 50% dipende dal nostro Dna, dal nostro temperamento innato - dice Waldinger -. Senza quindi che possiamo controllare nulla». Un dato importante. «Vuol dire che noi possiamo controllare il resto», prosegue lo psichiatra.

 

I PENTIMENTI

FELICITAFELICITA

Di cosa si pentono maggiormente le persone? «Di aver lavorato troppo e non aver passato tempo con i propri cari», spiega Waldinger nell'intervista. Lo studioso specifica che sono le risposte di coloro che si avvicinano alla fine della vita e che hanno intorno agli 80 anni[…] Alla domanda "cosa ti rende più felice?" nessuno ha detto "sono ricco" oppure "ho vinto un Nobel". Eppure ha partecipato allo studio gente ricca e famosa. Tutti si sono concentrati, invece, sulle relazioni. «Sono stato un buon padre, una buona madre, una buona guida», spiega lo studioso elencando le risposte. Quando arriviamo alla fine della nostra vita, sostanzialmente, prestiamo attenzione a ciò che conta davvero.

lunedì 26 febbraio 2024

SOPRANOS

 Dice che la notte prima di morire a soli 51 anni nel 2013, in vacanza a Roma con il figlio, l’attore James Gandolfini si era fatto fuori al ristorante dell’hotel otto drink, quattro shot di rum, due Piña Colada, due birre, una doppia porzione di frittura di pesce con molta maionese e un grande piatto di foi gras.

 

 E il suo cuore ha fatto crack, mettendo fine alla vita di un bravo ragazzone del New Jersey, caratterista di lusso per molti film di successo fino all’incoronazione come volto e corpo di quell’indimenticabile boss della mafia, Tony Soprano, che va in analisi per sconfiggere gli attacchi di panico.

 

jennifer melfi, la psicologa di tony sopranoJENNIFER MELFI, LA PSICOLOGA DI TONY SOPRANO 

Nata dalla geniale penna dello sceneggiatore David Chase, al secolo Davide DeCesare, italoamericano pure lui, “The Sopranos” è ritenuta unanimemente la serie tv migliore di tutti i tempi, l’inizio della cosiddetta terza “golden age” della televisione americana cominciata grossomodo alla fine degli anni 90 e durata fino a oggi.

 

E dice che inizialmente Chase aveva pensato a Robert De Niro per farci un film, ma questa “nouvelle vague” del piccolo schermo ha preso forma solo quando il suo ideatore ha adattato il personaggio del boss depresso e sensibile, oltreché naturalmente violento e razzista, al volto malinconico e al corpo possente di James Gandolfini.

david chase e james gandolfiniDAVID CHASE E JAMES GANDOLFINI

 

Se Shakespeare vivesse oggi avrebbe ideato “The Sopranos”, che è stata definita dal New York Times “la più grande opera della cultura pop americana dell’ultimo quarto di secolo”. Andata in onda sul network americano via cavo a pagamento Hbo dal 1999 al 2007, 86 episodi per 6 stagioni, “The Sopranos” riesce in un’impresa epocale: innalza gli standard produttivi, e di conseguenza gli investimenti da parte dei network e, contemporaneamente, porta l’estetica della tv ad assomigliare sempre di più al cinema.

 

SopranosSOPRANOS

La “televisione di qualità” permette agli autori di osare con forme narrative inedite e a volte sperimentali (già in passato David Lynch con “Twin Peaks” o, in tempi più recenti, “Lost” e “Breaking Bad”) ma, allo stesso tempo, permette ai network di intercettare pubblici disposti a pagare per avere prodotti evoluti, contrapponendosi alla tradizionale modalità di sfruttamento pubblicitario che interrompe in continuazione i programmi della tv generalista.

 

Nonostante Martin Scorsese, il Maestro indiscusso del “mafia movie”, abbia dichiarato di aver provato più volte a “entrare nella storia” senza mai riuscirci, la potenza di fuoco della scrittura e della messa in scena di questa serie davvero unica hanno reso David Chase una specie di Re Mida della tv.

 

i sopranosI SOPRANOS

Tutto questo e molto altro lo si legge con gusto nel libro “The Sopranos. Creata da David Chase. Analisi della struttura drammaturgica della serie”, scritto da Franca De Angelis e Damiano Garofalo appena uscito nella collana “Drama” per Dino Audino Editore.

 

Già trent’anni fa l’intraprendente editore romano aveva fondato la rivista Script (pubblicata dal 1992 al 2011) con l’intento di rimettere al centro dell’attenzione il lavoro degli sceneggiatori, sia di cinema che di tv, le loro abilità drammaturgiche di moderni raccontastorie.

ERRORI DELLA SINISTRA

 Il presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume ama mettere il dito nella piaga, sollevare le questioni più scomode, quelle a cui in pochi provano a dar risposta. Aveva fatto discutere con il recente La mutazione. Come le idee di sinistra sono migrate a destra (Rizzoli), in cui cercava di spiegare i più inaspettati sconvolgimenti politici: ovvero come mai destra e sinistra si sono scambiate la base sociale e, mentre i più poveri e gli operai votano a destra, i più abbienti si volgono a sinistra.

 

LUCA RICOLFI - LA MUTAZIONELUCA RICOLFI - LA MUTAZIONE

Adesso […] Ricolfi scende nuovamente in campo e ripropone questo excursus tra vecchie e nuove povertà (che uscirà a marzo) con una nuova e polemica introduzione, Un'altra sinistra è possibile?, in cui si rivolge direttamente ai riformisti italiani.

 

Professore, la sinistra è impegnata soprattutto nelle cosiddette "battaglie di civiltà": unioni civili, eutanasia, liberalizzazione delle droghe, diritti Lgbtq+. La parola d'ordine è "inclusione". Basta per convincere gli strati popolari a votarla?

«Ne dubito, se non altro perché fra le categorie di cui – in nome dell'accoglienza – si auspica l'inclusione vi sono anche gli immigrati irregolari, che ai ceti popolari creano almeno tre problemi: pressione al ribasso sui salari (il cosiddetto "dumping"), insicurezza nelle periferie, competizione nell'accesso al welfare, specie sanitario.

 

È il caso di ricordare inoltre che il tasso di criminalità degli irregolari è di 20-30 volte maggiore di quello degli italiani, e che l'immigrazione irregolare è essenzialmente un costo, perché non paga né le tasse né i contributi.

 

alessandro zan e elly schlein manifestazione per le coppie omogenitoriali a milano, piazza della scala 1ALESSANDRO ZAN E ELLY SCHLEIN MANIFESTAZIONE PER LE COPPIE OMOGENITORIALI A MILANO, PIAZZA DELLA SCALA 1

La sinistra ha tutto il diritto, anzi il dovere, di proporre soluzioni diverse da quelle della destra, ma non può ignorare o minimizzare il problema, almeno se vuole recuperare una parte del voto popolare».

 

Lei ha sempre considerato un suo punto di riferimento L'età dei diritti di Norberto Bobbio. Lo è ancora oggi?

«Sì, perché Bobbio istituisce una distinzione cruciale […] fra legittime aspirazioni e diritti in senso proprio. Oggi si tende a chiamare diritti, e a trattare come diritti naturali e universali, aspirazioni (ma talora Bobbio le chiama pretese) che non hanno ancora un riconoscimento giuridico che ne garantisce il godimento effettivo.

 

giorgia meloni a porta a porta 18GIORGIA MELONI A PORTA A PORTA 18

È un punto molto importante, perché spiega due cose. Primo, come mai nel nostro sistema sociale sono così diffusi vittimismo, frustrazione, aggressività, rabbia. Secondo, come mai da decenni non si osservano più grandi movimenti sociali e grandi lotte, come quelle del ciclo 1967-1980».

 

Perché mai la rivendicazione di diritti dovrebbe ostacolare le lotte?

«È semplice: perché se pensi che hai diritto a qualcosa il tuo atteggiamento è di esigerla dallo Stato, questa cosa cui hai diritto; se invece pensi che la tua sia solo un'aspirazione, […] ti poni il problema di portare dalla tua parte chi non è d'accordo, e di lottare per ottenere ciò cui aspiri, come mezzo secolo fa è successo per divorzio e aborto.

 

immigrati lavoro in italia 3IMMIGRATI LAVORO IN ITALIA 3

Le aspirazioni producono impegno, i diritti presunti risentimento. In questo, […] mi sento più in sintonia con Simone Weil, che tendeva a ragionare in termini di doveri e di conquiste più che di diritti».

 

Secondo lei l'accettazione acritica della modernizzazione è un problema?

«Lo è perché i progressi tecnologici in campo bio-medico, militare, elettronico, informatico, hanno ricadute pesantissime sulla vita quotidiana e sulla salute. Di recente, statistici e psicologi hanno documentato i danni mentali (fino all'autolesionismo e al suicidio) che i social stanno provocando sui ragazzi […]. Altre ricadute della tecnologia, invece, le vedremo solo fra un po', quando l'intelligenza artificiale e l'automazione verranno sfruttate estensivamente da organizzazioni criminali e stati-canaglia  […]».

 

In cosa sbaglia la sinistra in crisi? […]

NORBERTO BOBBIONORBERTO BOBBIO

«Ho scritto La mutazione anche per denunciare lo sconcerto che in tanti, a sinistra, proviamo di fronte all'involuzione dell'establishment progressista. Di fatto […] negli ultimi decenni la sinistra ha abbandonato tre bandiere fondamentali: la difesa dei ceti popolari "nativi", in omaggio all'accoglienza; la difesa della libertà di pensiero, in nome del politicamente corretto e delle minoranze Lgbtq+; l'idea gramsciana dell'emancipazione attraverso la cultura, con la distruzione della scuola e il rifiuto del merito.

 

POVERTA' IN ITALIAPOVERTA' IN ITALIA

Il guaio è che le prime due idee sono migrate a destra, e la terza lo sta facendo, con la decisione di Giorgia Meloni di attuare gradualmente l'articolo 34 della Costituzione, che prevede borse di studio per i "capaci e meritevoli" ma "privi di mezzi" […]. Tutto questo ha fortemente depauperato il patrimonio ideale della sinistra, e ha finito per arricchire quello della destra: il valore sottratto al campo progressista si è tramutato in valore aggiunto per il campo conservatore».

 

È una situazione irrimediabile?

«Spero proprio di no, non dobbiamo rassegnarci. E a giudicare da quel che sta accadendo in Europa qualche speranza di cambiamento possiamo nutrirla. In Germania, Francia, Regno Unito, Danimarca, Svezia sono in corso diversi esperimenti politici per costruire una "sinistra blu" (da blue collar), meno sorda alle istanze popolari.

 

luca ricolfi 1LUCA RICOLFI 1

Questo tipo di sinistra contende efficacemente il sostegno popolare alla destra perché incorpora sacrosante istanze securitarie, diffida del politicamente corretto, privilegia i diritti sociali rispetto a quelli civili, non ignora gli effetti anti-popolari della transizione green».

 

L'ascensore sociale si è bloccato? […]

«L'ascensore è bloccato perché – con l'illusione di includere – si è drasticamente abbassato il livello degli studi nella scuola e nell'università, e nulla si è fatto per premiare i "capaci e meritevoli ma privi di mezzi". […]».

mercoledì 21 febbraio 2024

GIORDANO BRUNO

 Alfredo Morosetti

G. Bruno il nemico della libertà
La raffigurazione fatta di giordano bruno è storicamente falsa. Un filosofo insignificante, a giudizio dei maggiori storici della filosofia, tanto è vero che nessuno dei suoi dogmi (sono dogmi non idee) è mai stato utilizzato da qualsivoglia altro pensatore.
Era un gran plagiatore, una spia, un falsario che, più che in campo filosofico, dove appunto usava una sorta di mistica neoplatonica che faceva molto effetto sugli ingenui e sugli stupidi, era determinato a una carriera di agente politico per lo stato assoluto francese e come mestatore di professione in un'epoca di grande sconvolgimento religioso. E' comprovato il suo ruolo di spia in Inghilterra con delazione di numerosi cattolici inglesi, finiti poi impiccati e squartati per tradimento. E' nota la sua dottrina della religione come braccio ideologico dello stato (del sovrano) che avrebbe avuto il compito di piegare la mente degli umili e degli stolti (parole sue), un teorico ante litteram dello stato totalitario di cui lui si candidava (in Francia) alla parte di ministro divino della propaganda come papa in pectore di nuova religione d'ispirazione egizia (sic!). Imbroglione e plagiatore, fu denunciato dagli studiosi Oxford di avere tratto buona parte dei suoi scritti da opere di filosofi e scrittori greci, latini ed ermetici. Del resto leggere la sua opera più strampalata (De causa, uno....) per vedere che razza di demenziale rifrittura del Timeo fosse, con l'aggiunta di divagazioni da Ermete Trimegisto e altre fantasie dal pensiero magico, diffusissimo nel secolo XVI e di cui Michel Foucault ci lasciato una bellissima analisi di come funzionasse e su quali presupposti facesse leva (Le parole e le cose). Il massimo fu il fatto che lasciò intendere che la dottrina eliocentrica fosse quasi opera sua e non di Copernico. Bruciarlo è stato troppo poco e soprattutto incredibile questo accanimento contro il Santo Tribunale dell'Inquisizione che ci mise otto anni per arrivare alla sentenza, dopo avergli offerto infinite possibilità di uscita che lui non accettò non per eroismo ma perché non ne capiva la sottigliezza. Da tenere presente che nella liberissima Ginevra, dove Bruno aveva cercato di farsi un nome, Calvino fece bruciare per eresia il medico Serveto con un processo della durata di un'ora e una quantità di eretici del calvinismo ginevrino furono poi bruciati con sentenze ancora più rapide. Però Ginevra era la patria della libertà e della tolleranza, Roma della intolleranza e del fanatismo religioso. Un'altra di quelle storie incredibili che si regge sul serio sul conformismo di massa, propalato nelle scuole medie, da un lato, e, dall'altro, dalla volontà di non mettersi 'nei guai' con il pensiero dominante da parte di chi ha i mezzi e gli studi per andare alla radice delle questioni.
Ora il fatto che massoneria italiana lo abbia eletto a suo beniamino e lo abbia innalzato a simbolo delle libertà di pensiero (pensa lui che era per una religione di stato sotto il controllo del monarca) allo scopo di dare botte alla Chiesa, non giustifica il fatto di doverlo considerare qualcosa quando non era letteralmente nessuno.

martedì 20 febbraio 2024

DAKOTA

 Si insegnava ai bambini a restare seduti immobili e a prenderci gusto. Si insegnava loro a sviluppare l'olfatto, a guardare là dove, apparentemente, non c'era nulla da vedere, e ad ascoltare con attenzione là dove tutto sembrava calmo.

Un bambino che non può stare seduto senza muoversi è un bambino sviluppato a metà.
Noi respingevamo un comportamento esagerato ed esibizionista poiché lo giudicavamo falso. Un uomo che parlava senza pause era considerato maleducato e distratto.
Un discorso non veniva mai iniziato precipitosamente né portato avanti frettolosamente.
Nessuno poneva una domanda in modo avventato anche se fosse stata molto importante.
Nessuno era obbligato a dare una risposta. Il modo cortese di iniziare un discorso era di dedicare un momento di silenzio a una riflessione comune.
Anche durante i discorsi facevamo attenzione a ogni pausa, nella quale l'interlocutore rifletteva.
Per i Dakota, il silenzio era eloquente. Nella disgrazia come nel dolore, nei torbidi momenti della malattia e della morte, il silenzio era prova di stima e di rispetto. Era così quando ci capitava qualcosa di grande e degno di ammirazione.
Luther Standing Bear, Orso In Piedi- Lakota Oglala L'educazione al Silenzio

ISLAM

 Quando la maggior parte degli occidentali, specialmente quelli laici, pensano alla religione, pensano a qualcosa che hanno visto nelle loro culture e società, cioè cristianesimo, giudaismo, induismo e buddismo.

Naturalmente, poiché la maggior parte di loro non ha l'intuizione e la conoscenza per capire bene l'Islam, tende a collegarlo alle altre religioni. Questo è un grosso errore.
L'Islam può essere descritto come uno stile di vita totalitario e un sistema di conquista altamente efficace, mascherato da religione.
L'Islam è totalitario, non solo nel senso di regimi teocratici e dittatoriali, ma anche nel senso che praticamente non c'è parte della vita di un credente che non sia toccata o influenzata in qualche modo da essa.
Praticamente tutto quello che fa un musulmano è influenzato o guidato dalla sua fede, dalla legge della Sharia o da entrambe le cose.
In questo senso, il libero arbitrio come lo comprendono gli occidentali e gli altri non musulmani, è anatema per coloro che abitano Dar al-Islam, la "Casa dell'Islam". ”
Allo stesso modo, non esiste un vero analogo alla nozione occidentale di libertà o libertà. La parola araba che più corrisponde a "libertà" è tipicamente detta "hurriya", ma questo è falso perché il termine non corrisponde a "libertà" o "libertà" nel senso che un americano, ad esempio, lo capirebbe.
Significa invece "libertà" di fare come "Allah vuole" per quell'individuo.
Molte fedi e sistemi religiosi tradizionali hanno leggi o codici di legge che li allegano.
Ciò che rende unica la legge sharia (islamica) è che in teoria non vale solo per i musulmani ma anche per i non musulmani. Almeno questo è ciò che comandano il Corano, l'Hadith e il Sira.
Ai non musulmani o kafir, conosciuti anche come infedeli, ~ viene negato il più elementare dei diritti umani sotto la sovranità islamica.
Sono più spesso simili a schiavi, servi o supplicanti, e anche quei dhimmi non musulmani che servono uno scopo utile al sultano o al califfo e sopravvivono su queste basi, sono ancora trattati con brutalità disumana e possono essere picchiati o uccisi per capriccio di qualsiasi maschio musulmano.
La maggior parte degli occidentali conosce la storia della schiavitù, ma quanti sanno che i musulmani sono stati i più grandi schiavisti della storia?
Ovvero, i più prolifici compratori, acquirenti e venditori di schiavi della storia.
Ancora oggi, in molte parti del mondo islamico, la parola araba per schiavo, "Abd", è sinonimo di gergo o parola informale per un uomo di colore.
Anche se i musulmani hanno preso molti milioni di africani neri come schiavi, hanno preso molti milioni di europei e altri popoli come schiavi dai climi temperati più a nord, avventurandosi fino a nord fino all'Irlanda e all'Islanda in raid di schiavi.
Come alcuni di voi sapranno, la primissima guerra combattuta dagli Stati Uniti come nazione indipendente fu la guerra barbaresca del 1801-1805 (con un breve razzo nel 1815), combattuta contro i razziatori islamici e i pirati al largo delle coste del Nord Africa.
Questi jihadisti nautici avevano sequestrato le navi americane e trattenuto passeggeri e carichi per un riscatto.
Il presidente Thomas Jefferson si stancò delle loro richieste e inviò la Marina degli Stati Uniti e il Corpo dei Marines a Tripoli per dar loro una lezione.
Vari potentati islamici, governanti e signori della guerra hanno infamemente ucciso infedeli dalle moltitudini nel corso dei secoli.
Secondo il lavoro di storici e politologi che hanno studiato tali fenomeni, il più grande o più grande genocidio nella storia umana è stato commesso dall'Impero Islamico Moghul in quello che oggi è il subcontinente indiano per un periodo di anni nel XV secolo.
Durante quel periodo, circa 270 milioni di indù e altri non musulmani furono messi a spada.
Così tanti furono uccisi che le strade scorrevano di sangue e piramidi giganti di teschi umani furono erette dai soldati di Allah.
Certo, molti altri imperi e nazioni hanno commesso atti di genocidio, ma un salasso di sangue così sconvolgente è impressionante anche per gli standard dei peggiori tiranni del XX secolo, che avevano a disposizione la guerra industriale moderna e le armi ma non riuscivano nemmeno ad avvicinarsi al totale di l'Impero Moghal.
Gli storici considerano il genocidio armeno (1915-1921) come il primo genocidio "moderno" poiché fu la prima atrocità di questo genere ad essere stata registrata dalla fotografia di fotografia cinematografica.
L'impero ottomano sunnita musulmano in quella che oggi è la Turchia moderna ne era responsabile e ancora oggi, sotto il governo di Recep Erdogan, presidente della Turchia, è ancora un crimine parlare o scrivere dello sterminio di armeni e greci, la maggior parte dei quali erano cristiani.
Chiunque abbia visto le foto inquietanti di ragazzine, vergini cristiane, crocifisse dai loro carcerierieri e muoiono lentamente sotto il sole cocente nel deserto, non le dimenticherà mai.
Questi fatti storici fondamentali sull'Islam erano molto conosciuti e insegnati in tutto l'Occidente, ma sono stati gentilmente eliminati dalla nostra storia negli ultimi decenni, e ora pochi li conoscono .... o il pericolo presentato dai soldati di Allah.

lunedì 19 febbraio 2024

CORSERA

 ERANO I “NOBEL” IN CORRIDOIO

L’ORGOGLIO DEI CORRIERISTI
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Solo chi ci lavorava arrivava a spiegarsi il mito del Corriere. In nessun altro giornale, d’Italia e forse del mondo, poteva capitarti di avere un premio Nobel (Montale) vicino
di stanza, incontrare il grande narratore (Buzzati) all’uscita della toilette e vedere il presidente del Senato (Merzàgora) che viene a consegnare il suo fondo al direttore. Realtà ineguagliabile nell’Italia di oggi.
Essere assunti dal Corriere della Sera era una fortuna, una sessantina d’anni fa, non solo per lo stipendio, che in media superava del venti per cento i minimi contrattuali, ma anche perché entravi nel milieu dei monumenti della letteratura, del giornalismo, dell’arte, della politica. In certi momenti, quel corridoio al primo piano di via Solferino era un crocevia di glorie, di personalità, di star d’ogni ambiente e settore. Sul lucido pavimento di marmo chiaro scivolavano, senza alterigia, i padroni intellettuali dell’Italia.
E fra i nuovi assunti, felici, si sprecavano i “sai chi è quello?”
Ecco Maner Lualdi, giornalista, pilota avventuroso, uomo di teatro, insieme al conte Bonzi aveva trasvolato l’Atlantico su un trabiccolo per beneficenza; oltre a scrivere per la terza pagina, era il dominus del teatro Sant’Erasmo, tempio della prosa milanese. Ecco Giovanni Testori, l’autore del Il ponte della Ghisolfa, che Luchino Visconti suo amico aveva trasformato nel film “Rocco e i suoi fratelli” e che aveva messo in scena l’Arialda al Manzoni. Ecco Eugenio Montale, uno dei massimi poeti del Novecento; tenore mancato, si sfogava gorgheggiando alla toilette “Ooooooh, la mia bella Leonora”, dalla Forza del Destino di Verdi. Con l’umiltà dei veri grandi, faceva redazione come tutti, dietro a una scrivania a rileggere una sua bozza o davanti a un bancone a impaginare.
Noi ragazzi di bottega, ci sentivamo minimi, di fronte a tante celebrità: non strisciavamo lungo i muri, ma quasi. E capivamo perché era di rigore andare al giornale in abbigliamento formale, indossare la giacca e stringersi il nodo della cravatta quando si usciva dalla propria stanza. In corridoio non sapevi mai chi si incontrava. All’epoca il dress code di via Solferino imponeva che si indossasse la giacca anche per andare in tipografia a impaginare: al bancone, altare laico dei giornalisti, bisognava avvicinarsi correttamente vestiti. Sfumature che oggi fanno sorridere, ma allora insegnavano a trattare con rispetto il proprio lavoro.
Non di rado le star si divertivano a mettere in imbarazzo gli sbarbatelli. La prima volta che incontrai Montanelli, fu nella vecchia redazione romana di via della Mercede. Nella stanza del capo Ugo Indrìo, oltre Montanelli, c’erano Bartoli e Laurenzi, le meglio penne del giornale. Fui invitato a entrare e presentato. “Questo è de Felice, uno degli ultimi acquisti...” disse Indrìo. Da praticante venticinquenne, ero molto intimidito. Ascoltavo in silenzio. Fu Montanelli, il più sensibile e gigione, a rivolgermi la parola per tirarmi nella conversazione. “Sono d’accordo con lei...” riuscii a dire, prima di essere fulminato da una finta occhiataccia del toscano che, fingendo di guardarsi intorno, chiese a Indrìo: “Ugo, tu vedi una signora nella stanza?” E poi, rivolto a me: “Non lo capisci, bìschero, che
se da collega mi dài del lei, mi dici che sono vecchio?” Per tutto il tempo che rimasi non usai più il lei né per Montanelli né per gli altri. Ma neanche il tu. Costruivo frasi impersonali, in terza persona. Più tardi corsi a informarmi su gli usi di buona creanza corrieristica dal filiforme Gervaso, praticantino anca lü, che con Montanelli era in maggior dimestichezza. E Robertino mi fornì il protocollo: “Io gli do del tu, perché lui lo pretende, ma non lo chiamo mai Indro, dico Maestro”. Formula alla quale mi attenni per sempre.
Potenza e grandezza di quel Corriere erano nella disponibilità delle grandi firme ad abbassarsi a cronisti, purché il fatto emozionasse i lettori e ispirasse la propria sensibilità. Per raccontare il suicidio di Marilyn Monroe venne incaricato Dino Buzzati. Ricordo quel 5 agosto 1962. Era una domenica. Buzzati aveva appena parcheggiato la sua convertibile verde Anni Quaranta e si avviava col disegnatore Patitucci al bar di Largo Treves, quando lo raggiunse trafelato Borgato, il commesso della direzione: “Scusi, il direttore Mottola la prega di andare subito da lui”. Erano le 15. Buzzati, in arrivo dai monti, non sapeva niente. Alle 20 lo vidi scendere dal secondo piano con un mazzo di fogli in mano. Era il “coccodrillo” di Marilyn. Tutto scritto a penna. Buzzati non sapeva dattilografare.
Non che il corridoio al primo piano di via Solferino fosse un esclusivo un parterre di primedonne. A consumarne il pavimento, in certe lunghe serate d’inverno, si impegnavano anche anziani colleghi non popolari e tuttavia di autorevolezza indiscussa. Come quel redattore di esteri con i capelli bianchi fino alle spalle e il fiocco “alla Lavallière” al collo, sembrava uscito dalla Tosca ed era il taciturno “anarchico” Gibelli. O come l’arguto venessiàn, Vezio Monticelli, che misurava il corridoio a grandi passi, le mani allacciate dietro la schiena, testa bassa, e un perenne rosario di lettere e numeri a fior di labbra. Pregava? No, era uno scacchista e ripassava partite giocate o da giocare. Grande campione internazionale, sapeva giocare 46 partite contemporaneamente a occhi bendati. E vincerle.
Oppure come il mastodontico inviato mancato, che passeggiava poco a causa di una imponente ernia inguinale, che lo obbligava a sedere su due sedie opportunamente distanziate. E che incuriosiva perfidamente noi giovani per la leggendaria disavventura occorsagli nella trasferta più importante della carriera. Inviato a Norimberga per il processo ai nazisti, al rientro in albergo dalla prima udienza fu colto da un’imperiosa esigenza intestinale che durò fino al mattino seguente e gli impedì di mandare il “servizio” atteso in via Solferino. Richiamato, fu sostituito da Montanelli. E la sua storia di inviato internazionale finì lì.
Naturalmente c’era anche qualche eccezione. Appena istituita e affidata a un collega forse più incline all’aratro che alla penna, la pagina dell’Agricoltura esordì con un fondo che aveva questo bizzarro incipit: “Il malcontento serpeggia viscido nel mondo del pomodoro”. Non ebbero futuro né la pagina dell’Agricoltura né il suo agricolo capo. Allora chi raggiungeva il gradino fatale della Legge di Peter, usciva di scena: non c’erano sindacati o raccomandazioni che potessero salvarlo. Lo standard del giornale era tutelato con severo controllo qualità. I nuovi assunti si vedevano consegnare un manualetto dal titolo “Come si scrive al Corriere della Sera”. Autore, Guglielmo Di Giovanni. Un grande che, dietro la qualifica di capo del servizio stenografico, nascondeva la sostanza di appassionato e dotto linguista. Da quel che tocca leggere oggi, suppongo che quel manualetto sia ormai un ammasso di polvere.
Gianni de Felice

domenica 18 febbraio 2024

MCDONALD'S

 Per quanto strano una società che vende panini è quotata a Wall Street. Anzi, come Coca-Cola che produce bibite, è una delle più sicure per un investimento azionario tranquillo e senza sorprese. Warren Buffet ne ha il portafoglio pieno di entrambe.

Naturalmente i panini che vende fanno schifo, però piacciono, come del resto i jeans. Fanno schifo, ma piacciono, perché li portano tutti, perché sono comodi, perché sono un’uniforme. Lo stesso i panini Mc Donald’s. Eppure chiunque si rende conto che una michetta calda con due belle fette di autentica Bologna non ha confronti con quel gommoso panino riempito di macinato di merda. Come chiavarsi Brigitte Bardot e poi passare nel letto di Hillary Clinton.
Quindi è evidente che Mc Donald’s non vende panini. Non avrebbe potuto, con una merda simile, trionfare a Wall Street. Cosa vende, allora? Conformità, la merce politicamente più preziosa che il mercato possa offrire. L’aspetto davvero paradigmatico di Mc Donald’s, quello che ne fa il modello d’eccellenza della dimensione spirituale nella quale vive l’uomo della cura, insomma l’uomo qualunque, è l’indistinguibilità, che è poi il valore di fondo al quale il coglione senza qualità si aggrappa come fosse un salvagente.
L’aspetto esemplare e qualificante, quello che ne fa una sorprendente merce immateriale, è infatti la totale uniformità di ogni Mc Donald’s. Totale uniformità di ciò che viene servito, ma anche e soprattutto dell’ambiente interno, degli arredi e della struttura architettonica esterna.
I materiali, i colori, i suoni che si sentono, e persino il personale, che oltre alla divisa, ha il volto, i capelli, la struttura corporea praticamente intercambiabile. Ragazzine bassotte grassocce di chiara ascendenza contadina; ragazzini incolori, anzi pallidi fino all’inespressività, di chiara ascendenza proletaria. Anche l’ambiente esterno, nel quale sono collocati, è nella sostanza la ripetizione di un risaputo, è la ripetizione di una costante ambientale, della sua essenza estetica e morale. E’ la raffigurazione dell’immensa periferia dove l’attuale proletariato impiegatizio naviga la zattera del suo vivere.
Si tratta infatti del deserto rutilante e sorvegliato dei grandi centri commerciali, delle isole infelici dove palazzine e villette si dispongono l’una accanto all’altra, ripetendo, guarda caso, la loro infame banalità. E poi ancora fra gli spiazzi dove svincoli autostradali e serpenti di catrame si torcono quasi a mordersi la coda, offrendo un punto di ritrovo a automobilisti anonimi e motociclisti da parata.
Naturalmente la domanda diventa come sia possibile che un modello comportamentale del genere, dove squallore e volgarità ideologica sono il vero prodotto in vendita, sia uno strepitoso successo mondiale. Un bisogno collettivo, e forse anche giusto, di auto cancellazione. Essere nessuno in mezzo a un’infinita serie di indistinguibili e sentire conforto in tutto ciò. Sentire qualcosa di dolce nello sprofondare in quel mare dove ogni virilità è cancellata. Pensate cosa voleva dire una serata in taverna. Nessuno era sicuro di poterne uscire vivo o con tutti denti, ma nessuno rinunciava a una nottata in taverna.

CHI E' POVERO

 Socrate mangiava un giorno sì e uno no, spesso grazie ai suoi amici aristocratici, era povero?

Diogene viveva in una botte e si permetteva di mandare a fare in culo Alessandro Magno, era povero?
San Francesco aveva solo un saio rattoppato e un paio di ciabatte, era povero?
Santa Caterina da Siena, nemmeno le ciabatte, era povera?
Bakunin era conte, ma lasciò tutto e visse a spese degli amici a cui predicava il suo verbo. Era povero?
Marx aveva solo un paio di pantaloni. Se la moglie li lavava non poteva andare al British Museum. Era povero?
Wittgenstein fu per dieci minuti l'uomo più ricco d'Austria, regalò tutto e non ebbe più niente. Visse grazie a un misero stipendio che gli fecero avere gli amici di Cambridge. Era povero?
Allora proviamo per una volta a stabilire cosa vuol dire essere poveri. Essere poveri significa vivere senza uno scopo, ma come viene viene. Significa non essere in grado di elaborare informazioni e le poche ricevute dall'esterno metterle insieme come viene viene e per lo più come dicono i padroni.
Quindi? Essere poveri è essere senza idee, senza progetti, senza capacità, ma avere tanta voglia di salire su di una Porsche e dormire al Ritz. Cosa ci può importare di gente così?

I NORMALI

 Odio le persone normali e perbene. Sono loro che hanno reso possibile i gulag i lager le commedie musicali e le soap operas. Adesso stanno rendendo normale la guerra atomica.

PAPA BERGOGLIO

 Così abbiamo chiaro il significato di questo papato.

E' stato eletto uno il cui compito è alzare bandiera bianca, rendere pubblica la resa della Chiesa al mondo.
Non ci sarà più ragione di conflitto, i testimoni di Cristo diranno e faranno esattamente quello che il mondo ritiene sia giusto dire e fare.
La Chiesa chiede semplicemente un angolino dove sedersi e fare il suo spettacolino di tanto in tanto, come Domenica In, come Medici senza frontiere. 
Dirà che ci vogliamo tutti bene e che una vita buona è essere in regola con quello che il mondo chiede.
Riempiti tutti moduli e ottemperati tutti gli obblighi di legge verso il nostro Signore sociale, andremo al mare e faremo l'apericena, per poi essere invitati dai coniugi Rossi.
L'estasi sarà sempre il premio della Santità, ma consisterà nel fulgore stupefatto di quanto belle sono le cosine in vetrina.

APOCALISSE

 Il contesto di fondo che abbraccia e regola la teologia islamica è quello dell’apocalisse. Nel linguaggio di senso comune, quello dell’europeo medio senza particolari studi alle spalle, apocalisse vuol dire essenzialmente disastro, catastrofe, crollo e rovina. Ma è un significato completamente errato, o meglio l’apocalisse porta con sé, necessariamente, il crollo, la fine, dell’esperienza abituale quotidiana, l’assurdo e abominevole non senso dell’esistenza così come essa si presenta ai nostri sensi. Tuttavia, apocalisse è una parola greca che significa disvelamento, è il giorno nel quale finalmente il mistero, dentro il quale la nostra ordinaria esperienza di vita si nasconde, si risolve e il nascosto si mostra. Il giorno dell’apocalisse è perciò anche quello del giudizio finale, quello in cui a ciascuno sarà dato il suo. Ogni cosa venuta all’esistenza sarà giudicata e ciascuna di esse avrà esattamente ciò che ha meritato, secondo l’infallibile giudizio di Dio. Il musulmano vive intensamente questa attesa e sa che deve operare affinché essa possa realizzarsi quanto prima, quando finalmente le antiche profezie si saranno avverate e il mondo, totalmente sottomesso all’islam, non avrà più ragione di durare nella sua forma ingannevole nella quale si presenta agli occhi della vita quale la conosciamo attraverso i sensi. Un sogno ingannevole, crudele, malevolo che sconvolge le anime nobili e rende i tristi sempre più smaniosi delle cose che li rendono tristi e bestiali.

In altre parole, non essendoci più ragione per il jihad, che è la vera missione del musulmano, non c’è neanche più ragione perché il mondo si presenti nella sua forma ingannevole e crudele.
Questo, nel suo concetto sintetico, il senso che spiega il vero e profondo scopo della vita, cioè del jihad. Arrivare, attraverso di essa alla verità finale, liberare tutti dall’inganno di quel miraggio che gli stupidi e i malvagi chiamano realtà, ossia la famosa grotta platonica, consentire ai giusti di ricongiungersi con Dio, far sprofondare per sempre nelle tenebre dell’inferno i nemici di Dio.
Se visitate qualunque grande cattedrale europea, vedrete sui suoi portali la riproduzione in pietra della profezia dell’Apocalisse e con essa la scena del Giudizio finale. Cristo sta in alto, ieratico e immobile in una inaccessibile severità di sguardo, nonostante che la Madonna e Pietro intercedano per la sua misericordia. Sotto, a destra per chi guarda, i diavoli si impadroniscono delle anime dei dannati e li precipitano nell’inferno. A sinistra, gli angeli indicano la via del cielo ai salvi. Particolare di non poco conto, i dannati e i diavoli sono completamente e oscenamente nudi, gli angeli e i salvi avvolti in una candida tunica (quello in foto, il portale della cattedrale di Amiens, la più grande di Francia, alla quale Ruskin dedicò un suo celebre volume).
Quindi nulla di cui preoccuparsi, anzi forse essere contenti, giacché a prima vista nessuna sostanziale differenza nel vedere le cose fra Cristiani e Musulmani. Forse anche giusto ringraziarli per provare a salvare l’Europa dal paganesimo ormai dilagante.
Ma c’è una differenza di fondo. Si dicono più o meno le stesse cose, ma in un significato completamente diverso. La redenzione del mondo sarà, per i musulmani, opera di un manipolo di santi e di martiri che, con la spada, imporranno al mondo intero di sottomettersi e non importerà se i sottomessi saranno sottomessi per timore e opportunismo, quando sarà poi Dio a giudicare della loro destinazione finale, in base al vero segreto che nascondono nel loro cuore. Ma, in ogni caso, la volontà di Dio sarà fatta da qualcuno in nome di tutti, piaccia o non piaccia loro.
La prospettiva cristiana è, invece, diametralmente opposta. Non c’è nessuno che può salvare nessuno. Non c’è il settimo cavalleria che arriva alla carica e salva gli assediati dietro l’anello dei carri dai diavoli scatenati. Chi si salva, lo può fare solo da sé, per un intimo e misterioso convincimento della anima. Come infatti si dice giustamente, nessuno nasce cristiano, ma qualcuno lo diventa. Non puoi dunque essere un apostata, se prima non hai deciso, di tua volontà, che Cristo è la verità, semplicemente perché nessun simbolo, nessun rito, certifica la tua vera appartenenza, solo il tuo cuore e forse neanche quello, sa chi veramente sei. Al contrario, l’idea dei fedeli, nel mondo musulmano è quella di un gregge dal quale nessuno ha diritto di uscire e il compito dei veri credenti quello di impedire a chiunque di scegliere la sua via personale.
E’ una differenza che spiega la grandezza della civiltà cristiana e fronte del conformismo devastante di quella musulmana.

IL PADRE

 Dice lo psicoanalista Zoja che, abolito il padre, si torna all'orda. Mi sembra del tutto inconfutabile. E lo si vede da come vive la gente comune, in uno stato di permanente happening emozionale con espressione diretta di pulsioni di morte, una specie di continuo ballo selvaggio, nudi intorno al fuoco. Ogni giorno lo stesso ballo, trovando una musica nuova. Del resto chi l'avrebbe detto che avrebbero fatto parlare, pontificare, dare considerazione una che ha un livello intellettuale da disoccupata organizzata? Certo è che chi alimenta questo interminabile selvaggio ballo notturno emozionale sono le femmine. Quante povere femmine e quanto poche donne.

CONSUMISMO

 Cerchiamo di dire qualcosa che renda comprensibile il fenomeno. Il fenomeno in generale è il consumo e, con esso, la necessità che ci siano dei consumatori. Chi sono i consumatori? Quelli che passivamente sono spinti a sentirsi in bisogno. Si noti, il bisogno raramente, anzi probabilmente mai, è di ordine materiale. Il bisogno è di ordine morale e, subito dopo, di ordine comunicativo: comunica al consumatore che quello che consuma è quello che è giusto consumare.

Il consumatore deve partire dalla premessa morale che suona così: è giusto che anch’io disponga del coso X. In seconda battuta, se è vero che è giusto che anch’io abbia bisogno del coso X, il coso X deve essere quello che la comunicazione di massa mi avverte (advertising, come si dice) essere esattamente quello di cui bisogno. Come faccio a sapere che quello di cui ho bisogno, è esattamente quello di cui ho bisogno e non altro? Attraverso un segno, ossia un marchio, un fregio che lo renda distinguibile, dunque lo renda un bisogno essenziale e non occasionale.
Per secoli le classi dominanti non hanno consumato nulla, hanno semplicemente sprecato, godendo di sprecare e mai si sarebbero abbassate a comprare qualcosa che poteva essere segnato da un marchio, che poteva essere riprodotto eguale per tutti. Sapevano cosa piaceva loro e sapevano come buttare i soldi dalla finestra per averlo. Buttati i soldi dalla finestra, prendevano una spada e se li andavano a riprendere, tagliando le mani a tutti quelli che li avevano raccolti.
Non c’erano dunque consumatori, ma scialacquatori.
La figura del consumatore nasce con la creazione della figura sociale del tapino. Cosa rende il tapino consumatore? Il fatto che non sa quello che vuole, che non sa quello che è bello, che non ha gusto e non ha, soprattutto, nessuna disponibilità a usare la spada, dunque per lui non c’è possibilità né di spreco né l’esaltazione dell’avere quello che nessuno ha. Deve avere quello che hanno tutti e lo deve avere risparmiando, come sempre sottolinea ogni pubblicità. Andrai in aereo in prima classe, ma con lo sconto del 10% se ordinerai il tuo volo prima del 10 dicembre.
La condizione essenziale che distingue il consumatore è dunque quello di uno spesso velo di ignoranza su tutto quello di cui ha bisogno, perché non sa cosa è bello e cosa brutto. Si deve affidare in tutto e per tutto a quello che gli dicono gli “esperti”. Tradizionalmente gli esperti sono stati i pubblicitari attraverso i mezzi di comunicazione di massa a loro disposizione. Oggi, grazie al fenomeno internet e social, si è aggiunta una nuova figura, quella che una volta, nelle vetrine era il manichino che vestiva i modelli di vestiario. Oggi si tratta di un manichino vivente (o quasi) che indossa capi e indica marchi per questa folla immensa di nesci. Quindi perché tanta rabbia contro i manichini e così poco disprezzo per questa folla che si accanisce contro i manichini?

IL PANE

  Maurizio Di Fazio per il  “Fatto quotidiano”   STORIA DEL PANE. UN VIAGGIO DALL’ODISSEA ALLE GUERRE DEL XXI SECOLO Da Omero che ci eternò ...