lunedì 17 luglio 2017

Moravia e la politica

Intervista del 1980 ad Alberto Moravia "Come si può amare la politica", contenuta nel libro di Igor Patruno "Le parole ritrovate" pubblicata da il Fatto Quotidiano


Bompiani ha appena pubblicato Impegno controvoglia, la tua raccolta di scritti politici, curata da Renzo ParisPerché questo titolo?
Perché non mi piace la politica. Allora voi mi chiederete perché non mi piace la politica? Perché non mi piacciono i mestieri male esercitati.

Se si scrivessero libri, se si costruissero case, si esercitasse la professione del medico, così come si fa politica, allora i libri sarebbero delle porcherie, le case cascherebbero, e i medici manderebbero all' altro mondo tre quarti dei loro pazienti. La politica, sia quella esercitata nell' ambito della costituzione, sia quella praticata dalle bande armate, è pessima in Italia. E allora come si può amare la politica?

Eppure Alberto Moravia è uno scrittore che viene considerato anche per la sua ininterrotta attenzione alla politica. Perché non hai mai scelto di praticare la militanza politica?
Evidentemente nonostante questa mia idea negativa della politica, io sono un animale politico, ho cioè degli interessi politici, interessi che però non sono stati abbastanza forti da spingermi a fare il politico. Credo che sostanzialmente si tratti di un fatto artigianale; io so fare meglio il mestiere dello scrittore che quello del politico.

Però è innegabile il fatto che mi sono occupato anche di politica e questo fondamentalmente per due motivi. Il primo è che c'è una richiesta reale che viene fatta dalle masse agli intellettuali, richiesta alla quale delle volte è impossibile non rispondere. Scrittori come Proust o come Joyce potevano benissimo sottrarsi dal fare politica perché le masse non erano ancora uscite dal loro sonno storico.

In questa epoca un atteggiamento del genere sarebbe invece artificioso, antistorico; il secondo motivo che ha determinato il mio impegno è che spesso le ragioni dei miei interventi non erano propriamente politiche, erano umanitarie, sociali, culturali, insomma parapolitiche.

Questo tuo giudizio crudo del fare politica ai nostri giorni può in qualche modo collegarsi alle notizie di attentati, di morti, che proprio in questi ultimi giorni sono tornate a riempire le cronache italiane?
Io sono contrario per principio all' uso della violenza in politica. Qualunque sia la ragione per cui si uccide, un omicidio è fondamentalmente una ferita non cicatrizzabile nel corpo dell' umanità.
Detto questo però non è che io mi lasci impressionare dai delitti, nel senso che non giudico la politica in base ai morti.

Alle radici del terrorismo c' è un' idea estrema di massimalismo, di intolleranza, tu cosa ne pensi?
In Italia è storicamente provato che l' intolleranza e, dunque, la violenza hanno origini cattoliche. Io credo che questo tipo di prassi politica si possa far risalire alla Controriforma, nella quale ci sono due elementi interessanti: il primo è l' elemento dell' intolleranza che sbocca immediatamente nella violenza, l' altro elemento è l' idea della restaurazione.


Non dobbiamo dimenticarci infatti che la Controriforma ha il volto girato all' indietro, gli italiani di allora si illusero di poter ripristinare la grandezza medioevale della Chiesa. Un movimento regressivo dunque, così come era regressivo il fascismo, dove c' era da una parte l' elemento dell' intolleranza e dall' altra l' idea della restaurazione della res publica compromessa dal tempo, dalla vecchiaia dell' Italia.

Parimenti nel terrorismo l' elemento dell' intolleranza si fonda con quello di una restaurazione comunista di tipo staliniano. Rispetto alla politica del terrorismo, la politica del compromesso storico è più moderna, certo discutibile, ma sicuramente tiene conto dello sviluppo storico dell' ultimo cinquantennio.

Tu hai visto finire lo Stato liberale, lo Stato fascista e forse stai per veder finire lo Stato democristiano, in che periodo sei stato meglio?
Sicuramente negli anni Cinquanta. Sì perché da una parte c' erano le speranze, un' enorme spinta verso l' avvenire, dall' altra non c' era più una cosa orribile come il fascismo.

In 'Impegno controvoglia' sono stati raccolti trentacinque anni di tuoi interventi politici. Quali sono stati, a tuo parere, i momenti più importanti della vita politica italiana?
Intanto occorre fare una premessa. Qui in Italia la politica non incide molto sulla vita.
Certo eventi come la guerra fredda e il '68 hanno avuto la loro importanza, ma non hanno determinato in maniera consistente la vita delle grandi masse, le quali cambiano certo ma non per le rivoluzioni politiche.

In questo senso sono state più importanti rivoluzioni come quella dell' automobile, del consumismo, del nudismo, della televisione ecc. Sono rivoluzioni silenziose ed apolitiche, quelle che cambiano la faccia dell' Italia e questo è significativo se non altro del conservatorismo, diciamo così antropologico, di questo paese.


Detto questo, bisogna riconoscere che, dopo la fine della guerra, il momento più importante è stato il '68. () Io il '68 lo spiego in un modo forse non molto favorevole, con una specie di malinteso politico esistenziale, nel senso che l' Italia è un paese talmente povero che alla fine degli anni Sessanta ha confuso il necessario con il superfluo. Quella del '68 è stata, almeno in Italia, una rivolta moralistica contro l' indispensabile scambiato per superfluo.

Le origini storiche del terrorismo italiano le fai coincidere con gli avvenimenti di quegli anni?
Certo! Anche se va precisato che il terrorismo è una rivolta tutta italiana, che ha poco a che vedere con il comunismo reale. Gli manca lo sfondo internazionalistico, cosmopolita. (…) Il terrorismo è figlio della crisi della piccola borghesia, che in Italia è la classe più sensibile e più aggressiva e quindi, in un certo senso, anche quella più rappresentativa. La piccola borghesia è la classe egemonica che sta vivendo una crisi di avvicendamento. Il discorso sulle patrie, sulle nazionalità, era normale sotto il fascismo. Allora non si parlava d' altro che delle differenze tra nazioni. Con la fine del fascismo c' è stata una reazione in senso contrario, non si è più voluto parlare di nazionalità. (…)

Nel '68 alcuni studenti di architettura ti fecero una sorta di processo. Ora alcuni di quei personaggi hanno fatto, diciamo carriera, uno soprattutto è un importante esponente del Pci; ripensando a quella vicenda cosa hai da dire? 
Sì, so che alcuni di loro dopo il '68 sono diventati più codini del papa. Però direi che il problema è un altro e sta nel fatto che gli italiani sono leggeri, e lo sono in due modi: quando va bene sono leggeri in una maniera molto graziosa, come nel Settecento, quando va male sono leggeri in una maniera molto sinistra, nel senso che aggrediscono la gente per motivi che neanche loro riescono a comprendere molto bene. (…)

Perché la morte ha perso quel suo carattere di stupore.
Quello che svuota la morte non è il fatto che sia utilizzata per scopi politici, ma il fatto che dietro questi scopi politici non c' è vera chiarezza. Insomma se tu uccidi una persona per sbaglio è chiaro che svuoti la morte, ma se la uccidi sbagliando le idee è ancora peggio. Quello che fa paura è che chi uccide lo fa in base a dei qui pro quo intellettuali, ovvero a dei pseudo concetti, a delle idee superate.

E qui torna quel discorso sulla leggerezza che avevo fatto prima, cioè si uccide senza indagare minimamente i motivi per i quali si uccide. Io direi che queste forme di violenza hanno la caratteristica di una ferocia privata.

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