giovedì 6 luglio 2017

Fitzgerald e Via col vento

Irene Bignardi per la Repubblica

Francis Scott Fitzgerald non scriveva solo le cose bellissime e ammirevoli che ci siamo portati dietro dalle letture giovanili e dalle riletture dell' età adulta. Non scriveva solo "Belli e dannati", "Tenera è la notte", "Il grande Gatsby", "Gli ultimi fuochi", una serie di titoli così emozionanti che da soli basterebbero a qualificarlo come un grande poeta. Fitzgerald, anima infelice, tormentata, insonne, dannata come i suoi personaggi, scriveva ogni giorno per affrontare la vita che gli si presentava difficile, tormentosa, ardua.

Scriveva al suo agente, all' editor, agli amici. Scriveva con tenerezza, con rabbia, con humour, cercando di far quadrare quel cerchio impossibile che era la sua vita di uomo innamorato di una donna difficile e infelice, bella e dannata, esigente e snob, in una parola di Zelda Sayre, la sua Zelda, che gli ha condizionato il destino e lo ha trascinato con lei in un vortice di dolore. Scott scriveva fino a trenta lettere al giorno: ai suoi collaboratori, al suo agente Harold Ober, al suo editor, l' ottimo Maxwell Perkins, a personaggi celebri di cui cerca il sostegno e l' approvazione, all' amata Zelda.

«La mia vita è la storia di una lotta tra l' impetuoso desiderio di scrivere e una serie di circostanze tendenti a impedirmelo ». O, peggio, circostanze che gli consentono solo di scrivere dei racconti buttati giù in tutta fretta, roba da pentirsene il giorno dopo, se sei F. Scott Fitzgerald, e se non ci fosse la necessità di sopravvivere.

Ragion per cui Scott, in queste corrispondenze, fa continuamente i conti di quanto sarà pagato, di come, di quello che deve guadagnare per pagare lo strascico di spese che si lascia dietro Zelda, l' amatissima Zelda, l' egoista, la folle Zelda. Sono le situazioni e il ritratto di scrittore che emergono da Sarà un capolavoro.


Lettere all' agente, all' editor e agli amici scrittori, a cura di  Leonardo G. Luccone (minimum fax, traduzione di Vincenzo Perna). Queste lettere chiariscono anche la relazione tormentata che l' autore ebbe con Hollywood. Sul finire degli anni Trenta, assediato dai debiti, Fitzgerald tenta brevemente l' avventura come sceneggiatore nella mecca del cinema.

Nel 1937, tre anni prima della morte, arriva un' offerta dalla Metro Goldwyn Mayer: 1000 dollari a settimana per sei mesi, più un' opzione di rinnovo a 1250. Gli esiti di questo rapporto, però, saranno umilianti e produrranno un solo un film, Tre camerati, adattato dal romanzo di Remarque e diretto da Frank Borzage.

Prima di essere licenziato, l' autore ha il tempo di lavorare per una settimana o poco più a Via col vento. Per lo script gli viene chiesto di non usare parole diverse da quelle del bestseller di Margaret Mitchell. Il 10 gennaio 1939, scrive al produttore David O. Selznick (pubblichiamo in pagina la lettera completa) alcuni suggerimenti per la prima scena del film: «apriamo con un' attrice in crinolina e due giovani sconosciuti [...]. Poi possiamo passare a una storia d' amore deluso, sorveglianti che tradiscono, negri che sgobbano e ragazze che litigano, necessari alla trama perché semplici episodi su questo sfondo di bellezza».

Le suggestioni verranno riprese davvero: l' attrice in crinolina, vestita di bianco, sarà ovviamente Vivien Leigh, ma per Scott non ci sarà alcun posto nei crediti del kolossal da otto Oscar. La porta di Hollywood si chiude: «Sapevo che non dovevo accettare», scrive all' agente Harold Hober. «L' improvvisa ricaduta nel bere è stata il tentativo di conservare energie per uno sforzo di cui non ero capace ». Si riaccende qualche inutile speranza: «Quell' inglese, quell' Hitchcock, pare avesse messo me in cima alla lista per fare Rebecca ».

Scott continua a scrivere lunghe lettere ad amici e meno amici che rivelano i punti di sutura, gli intrecci sotterranei della sua vita. Perseguitato dalla malattia mentale di Zelda, vive nell' ansia. Invia alla figlia Scottie lettere dolorosissime sul rapporto con la moglie, ormai perduta: «L' unica cosa che mi importava era bere e dimenticare».

Scrive a Hemingway parole altamente elogiative dedicate a Per chi suona la campana. E si interroga: perché ho scelto questo maledetto mestiere fatto di giornate sedentarie, notti insonni e perenne insoddisfazione?

Oggi potrebbero rispondere per lui i milioni di lettori, gli adattamenti per il cinema dai suoi romanzi e persino John Grisham. Il re del legal thriller, con il suo nuovo libro, Il caso Fitzgerald (Mondadori), si diverte a creare un meccanismo diabolico attorno al furto dai caveaux di Princeton, alma mater di Francis Scott Fitzgerald, di cinque preziosi, fragilissimi manoscritti dell' autore del Grande Gatsby, assicurati per venticinque milioni di dollari.



2 - LA STORIA DI ROSSELLA DOVREBBE INIZIARE COSÌ

Lettera di F.Scott Fitzgerald pubblicata da la Repubblica

A David O. Selznick Appunti dattiloscritti 10 gennaio 1939 VIA COL VENTO

Giusto una parola sull' inizio. Per evocare istantaneamente il romanticismo del vecchio Sud suggerisco di prendere a prestito dai trailer. Sopra le pagine del libro che si sfogliano vedrei un montaggio di due o tre minuti delle più belle immagini scattate prima della guerra accompagnate dalle canzoni di Stephen Foster. Vedrei inquadrature di giovani a cavallo, negri che cantano, persone che cucinano su una griglia in campo lungo, immagini di Tara e Twelve Oaks, carri e giardini, felicita e allegria.

In alternativa, apriamo con un' attrice in crinolina e due giovani sconosciuti. L' aspettativa sarebbe allo stesso tempo placata e acuita da questo montaggio. Poi possiamo passare a una storia di amore deluso, sorveglianti che tradiscono, negri che sgobbano e ragazze che litigano, necessari alla trama perché semplici episodi su questo sfondo di bellezza. E su questo sfondo visto o rievocato che mettiamo in scena il film, e ciò che mi è mancato fin dall' inizio è stato un senso di felicità.

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