mercoledì 12 luglio 2017

L'uomo del petrolio

Giuseppe Oddo per giuseppeoddo.net

Avevo conosciuto Leonardo Maugeri, deceduto in modo prematuro il 10 luglio 2017, tra la fine degli anni ’90 e i primi anni Duemila, dopo che era stato nominato responsabile della pianificazione strategica e dell’ufficio studi dell’Eni.

A promuoverlo in quel ruolo era stato l’allora amministratore delegato del gruppo petrolifero, Vittorio Mincato, che ne aveva apprezzato le qualità e ne aveva fatto un manager di prima linea (uno dei suoi più diretti collaboratori) accanto a dirigenti di punta come Stefano Cao e Mario Taraborrelli e a manager di più lungo corso come Luciano Sgubini, Renato Roffi, Roberto Jaquinta, Mario Reali e all’allora capo della sicurezza Domenico Di Petrillo, che gli è rimasto amico fino alla fine dei suoi giorni.

Da quella posizione Maugeri aveva contribuito ai progetti di sviluppo industriale dell’Eni, la cui produzione giornaliera era ancora inferiore, in quella fase, al milione di barili equivalenti di petrolio.

Mincato aveva ricevuto dal governo il compito di aumentare di almeno il 50% la produzione di idrocarburi e Maugeri fu tra quelli che abbracciarono con più convinzione ed entusiasmo i piani di crescita per “linee esterne” che avrebbero portato da lì a pochi anni il gruppo a raggiungere punte produttive di oltre 1,8 milioni di barili al giorno e a rilanciare l’attività esplorativa nei cinque continenti.

Maugeri era arrivato all’Eni ancora trentenne, a metà degli anni ’90, mentre il gruppo, ancora interamente statale, stava attraversando la bufera di “Mani pulite”. Era stato assunto da Franco Bernabè, che lo aveva nominato suo assistente. Il curriculum di Maugeri (il quale aveva alle spalle anche qualche buon contatto con Giuliano Amato) piacque molto al predecessore di Mincato.

Laureato in relazioni internazionali all’università di Firenze, Maugeri si era appassionato fin dall’inizio degli studi alla geopolitica del petrolio e aveva da poco pubblicato, con un piccolo editore fiorentino (Loggia de’ Lanzi), la sua tesi di dottorato con la prefazione di Ennio di Nolfo. Era stato proprio questo libro, dal titolo “L’arma del petrolio”, a suscitare la maggiore curiosità di Bernabè. Maugeri vi aveva condensato due anni di ricerche condotte negli archivi del dipartimento di Stato americano, ricostruendo e sfatando con documenti inediti la storia dei rapporti tra il fondatore dell’Eni, Enrico Mattei, e le “sette sorelle” del petrolio.

Per Maugeri, le aperture dell’Eni di Mattei ai paesi produttori non preoccupavano più di tanto le major anglo-americane: i contratti di ricerca stipulati dall’Agip con i paesi arabi non erano stati fruttuosi a livello di ritrovamenti; i rapporti di forza con le compagnie internazionali che operavano in Medio oriente continuavano ad essere sfavorevoli a Mattei, anche dopo le concessioni acquisite dall’Eni in Egitto e in Iran.

Maugeri riteneva che le “sette sorelle”, considerate nell’immaginario collettivo come i mandanti occulti e i grandi beneficiari della scomparsa di Mattei dalla scena internazionale, non avrebbero in realtà tratto alcuna utilità dall’ipotetica eliminazione del “petroliere senza petrolio”.

Mattei rappresentava invece un pericolo per il sistema di potere interno alla Dc, che, dopo l’uscita di scena e la morte di Alcide De Gasperi, aveva perso qualsiasi spinta riformatrice, divenendo terreno di scontro tra correnti politiche. Con la forza economica dell’Eni, che finanziava gli investimenti con denaro pubblico, aveva il monopolio delle ricerche in Val Padana e s’era sviluppata nella petrolchimica, Mattei riusciva a condizionare le figure chiave del governo, ampi settori del parlamento, le più alte cariche dello Stato.

Secondo Maugeri, i suoi veri nemici erano dunque, anzitutto, da ricercare in Italia, nel suo stesso partito, negli apparati dello Stato, nei centri economico-finanziari del capitalismo privato, i quali guardavano tutti con crescente preoccupazione alla sua forte intraprendenza nel campo dell’economia e dell’industria e alle sue interferenze sulla politica interna e internazionale.

Peraltro, proprio nel periodo in cui Maugeri approdava all’Eni, la Procura di Pavia aveva riaperto l’inchiesta sulla morte del fondatore dell’Eni, arrivando a conclusioni clamorose che demolivano la vulgata sulle “sette sorelle”. Il pubblico ministero Vincenzo Calia accertò che l’areo a bordo del quale volava Mattei il 27 ottobre 1962 non era precipitato né per il maltempo né per un errore del pilota. Il piccolo jet si era schiantato al suolo, durante la fase di atterraggio a Linate, per una carica esplosiva ad effetto limitato collegata al sistema di apertura del carrello, che avrebbe dovuto far apparire l’attentato come un incidente.

Calia ascoltò centinaia di testimoni e si avvalse anche dei consigli di Maugeri, lasciando intravedere dalla lettura analitica degli atti, dopo la chiusura delle indagini, l’esistenza di una pista interna: una traccia investigativa che collegava l’omicidio di Enrico Mattei a una catena di eventi successivi come il rapimento di Mauro De Mauro e che conduceva ad ambienti politici di governo e dell’industria di Stato.

Dovremmo aggiungere molte altre cose su Leonardo Maugeri: sui suoi innumerevoli scritti per riviste e giornali italiani e internazionali, su un altro suo libro molto importante uscito negli Usa a metà degli anni Duemila e contemporaneamente in Italia per la “Serie Bianca” di Feltrinelli, intitolato “L’era del petrolio”. Maugeri non condivideva la tesi sul superamento del pick oil (l’idea che l’estrazione mondiale di petrolio sia prossima a raggiungere il suo picco di produzione per poi cominciare a declinare, fino ad azzerarsi).

Sosteneva che di greggio ce n’è in abbondanza e che le nuove tecnologie, tra cui quella allora agli albori della fratturazione idraulica, avrebbero modificato e reso ancora più efficiente e competitivo, come poi è effettivamente avvenuto, il mercato del petrolio e del gas. La stella di Maugeri cominciò ad offuscarsi con la nomina di Paolo Scaroni al posto di Mincato. Da allora il suo ruolo in azienda subì una progressiva emarginazione, fino al sofferto addio al gruppo e al periodo successivo trascorso ad insegnare ad Harward.

Non vorrei cadere nei luoghi comuni e nella retorica degli articoli celebrativi di questi giorni, ma di certo Maugeri si colloca nella tradizione dei grandi analisti e studiosi di industria petrolifera. Tradizione che ha sempre trovato solide fondamenta nell’Eni e che ha avuto in Marcello Colitti, in un’altra fase della storia del gruppo, il suo massimo rappresentante.

Mi piace pensarlo, Leonardo, come l’ho conosciuto oltre venticinque anni fa, quando ancora scrivevo di Eni per “Il Sole 24 Ore”: per il rigore, l’intelligenza, la cordialità e per avermi aiutato a capire, durante lunghe e appassionanti conversazioni private, i cambiamenti dell’industria mondiale di settore e il ruolo e le opportunità dell’Eni nella complessa geopolitica degli idrocarburi.

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