Camilla Tagliabue per L’Espresso
Votate per Isidoro. Lecca la fica in modo strepitoso... Gennaro lecca il membro. Romula lo succhia al suo amato qui e dovunque si trova»: non sono scritte oscene lette nei bagni dell’autogrill, ma graffiti dell’antica Pompei. Il sesso è vecchio come il mondo anche se oggi se ne ciarla tanto, ed esplicitamente, come se fosse una invenzione dell’altroieri. Da Dagospia al cinema d’autore, la pornografia è onnipresente e i pornodivi sono i nuovi maître e maîtresse à penser, ospiti fissi in tv e online accanto a blasonati colleghi delle fiction a sfondo erotico.
Se sul piccolo schermo, dopo Master of sex e Californication, va per la maggiore “I love Dick” - in cui due sposi si innamorano entrambi del professor Dick, nomen omen per indicarne i genitali - in teatro si sono appena visti un Pinocchio sodomizzato (al Piccolo di Milano) e una versione tedesca delle “50 sfumature” di E.L. James (al Festival delle Colline Torinesi).
Il porno spopola anche in libreria: c’è la “Metafisica della puttana” di Laurent de Sutter (Giometti & Antonello); la Milf di Rosa Montero (Salani); i pedofili di Inge Schilperoord e Walter Siti (Fazi e Rizzoli); l’inchiesta di Emily Witt, “Future Sex” (minimum fax), che ha sperimentato personalmente le nuove frontiere della sessualità. Persino il defunto Jean Baudrillard è stato tirato per la giacchetta e lasciato con le pudenda al vento, pubblicando una raccolta di suoi scritti con l’ammiccante titolo “Pornografia del terrorismo” (FrancoAngeli); senza contare la ricca manualistica, come le “Guide erotiche” di Alessandro Bertolotti (Odoya).
Ma è tutto déjà vu e déjà lu perché - come si è detto - il porno è un classico: quale miglior luogo allora per stanarlo, e recuperarne l’antico sapore, se non i classici della letteratura? Non quella di genere, però, smaccatamente erotica, tipo Sade, Miller, Nin, Bataille... ma la Letteratura maiuscola, quella che si studia a scuola e che nessuno si sognerebbe di “vietare ai minori di”, considerandola a torto più polverosa che pruriginosa, quando invece è zeppa di zozzerie e sensualità.
Romeo e Giulietta, ad esempio, è stato ristampato da Mondadori tra gli Oscar per ragazzi, dai 12 anni in su, ma è una miniera di doppisensi e oscenità: «Datemi una guaina per metterci dentro il mio viso», dice Mercuzio parlando d’amore, non proprio cortese, e tessendo le lodi della regina Mab, «che se trova supine le ragazze le costringe all’abbraccio».
Dal Bardo il minimo che ci possa aspettare è la malizia, il massimo (forse) la zoofilia, come Titania nel “Sogno di una notte di mezza estate”, che si eccita per un tizio orribile con la testa di asino. Tutto è travestitismo in Shakespeare, non solo perché gli interpreti erano uomini. Nella “Dodicesima notte”, addirittura, il gioco è al quadrato: l’attore protagonista, infatti, recita la parte di una ragazza, Viola, che a sua volta si camuffa da ragazzo e seduce un’altra donna. Degli scandalosi e ambigui amori adolescenziali racconta anche Frank Wedekind in “Risveglio di primavera”, una «tragedia di fanciulli» più volte censurata perché a risvegliarsi, innanzitutto, è la sessualità, se non la depravazione.
Più convenzionale, benché altrettanto stigmatizzato, è l’amplesso tra adulteri nell’“Amante di Lady Chatterley”: «Quando entrò in lei, Connie sentì su di sé la sua carne nuda... sciogliendola tutta dentro». Oggi diremmo con sufficienza che è “straight”, banale sesso eterosessuale, al massimo un po’ rude e campestre, così come in un’altra opera di David Herbert Lawrence, “La volpe” (Marsilio), o nei “Sillabari” di Goffredo Parise.
Che il matrimonio sia spesso più perverso dell’adulterio lo spiega Tolstoj nella “Sonata a Kreutzer”, laddove la moglie è definita dall’uxoricida «un animale», mentre Balzac, nella “Fisiologia del matrimonio”, sentenzia: «La moglie non è che un’appendice dell’uomo; perciò tagliate, mutilate, rosicchiate. Non fate caso a lamentele, gemiti e sofferenze».
Il Goethe delle “Affinità elettive” è il teorico dello scambismo come scienza esatta: «Pensi a una A che sia intimamente legata a una B; quindi pensi a una C che si comporti analogamente con una D. Ora metta in contatto le due coppie e vedrà A volgersi a D e C a B». Tradotto: all’inizio del romanzo Eduard è sposato con Charlotte e Ottilie viene spinta tra le braccia del capitano. Alla fine, Eduard si innamora di Ottilie e Charlotte del capitano. Interessanti anche le pagine in cui i primi due vanno a letto insieme pensando però ai rispettivi amanti: da quell’unione nascerà un figlio “mostruoso”, con le fattezze dei concubini e non dei genitori!
A Emma Bovary piaceva il sesso in movimento: così almeno ce la descrive Flaubert, mentre viaggiava in carrozza con Léon, tra lo stupore dei passanti e del cocchiere, che «non comprendeva che furore di locomozione spingesse quegli individui a non volersi mai fermare».
On the road, ma questa volta su un treno, è anche il trastullo erotico che Emmanuel Carrère propone alla partner in “Facciamo un gioco”, guidandola in una sessione di autoerotismo: «Allora? È bagnata? Un po’ me lo immaginavo... Quindi hai il diritto di pensare al mio cazzo. Ma senza saltarci sopra. Senza fretta».
A girare sulla giostra, in un perverso tourbillon, sono gli amanti delle “Relazioni pericolose” di Laclos, un concentrato di libertinismo, intrighi, mercimoni e sadomasochismo spinto: «Allora ditemi, o languido amante, le donne che avete posseduto, credete forse di averle violentate?... Per conto mio, una delle cose che mi eccitano di più è un attacco fisico diretto, metodico e rapido», scrive la puntigliosa marchesa de Merteuil.
Protagonisti, loro malgrado, di uno sputtanamento planetario sono i divi del jet-set degli anni 50-60, perfidamente ritratti da Truman Capote in “Preghiere esaudite”, che gli costò l’ostracismo dai salotti americani. Per capire il tenore della parodia bastano poche citazioni, tipo: «Non c’è niente di meglio del pompino per rassodare le mascelle». Memorabile è anche il gossip su Greta Garbo e Cecil Beaton. Lui: «La cosa più penosa dell’invecchiare è la scoperta che i miei genitali stanno rimpicciolendo». Lei: «Ah, potessi dire lo stesso anch’io!».
Del succhiare seni ci parla Joyce nel monologo finale dell’“Ulisse”, per bocca di Molly («Credo che li abbia fatti diventar più sodi lui a forza di succhiarli in quel modo per tanto tempo che mi faceva venir sete lui le chiama tettine»), mentre del succhiare genitali ci raccontano Moravia ne “La vita interiore” («Mi piaceva l’idea di fare con la bocca ciò che si fa col sesso») e Pasolini in “Petrolio”, in cui Karl pratica una fellatio a venti ragazzetti, oltre a masturbarsi in pubblico e ad avere rapporti incestuosi con la madre, le sorelle e la nonna.
Non solo PPP si è occupato di omoerotismo; al di là dei classici di genere come “Il libro bianco” di Cocteau o il “lesbo” “Gamiani” attribuito a de Musset, capolavori sono i romanzi di Jean Genet (il Saggiatore), tra cui spicca “Querelle de Brest”: «Conoscerò la pace soltanto quando mi scoperà, ma in modo tale da tenermi, una volta dentro di me, sdraiato sulle sue cosce, come una Pietà tiene il cadavere di Gesù». Fan della sodomia eterosessuale fu invece Céline, che nelle “Lettere alle amiche” (Adelphi) avverte: «Niente amore senza preservativo, altrimenti da dietro... Attenzione ai bambini e alle malattie».
Maestro di voyeurismo è Proust: nella “Recherche” il narratore scopre il lesbismo spiando da una finestra la signorina Vinteuil e la sua amica, intente ad amoreggiare e a sputare su una foto del padre della prima; poi assiste all’incontro sodomitico tra Charlus e Jupien e, infine, è lui stesso a essere sorpreso mentre si dedica al piacere solitario in gabinetto.
Campioni di feticismo sono Witold e Federico in “Pornografia” di Gombrowicz, libro che, nonostante il titolo, ha poco o nulla di pornografico, ma molto di perverso: i due, infatti, sono irresistibilmente attratti da una coppia di adolescenti, Enrichetta e Carlo, tanto da eccitarsi quando li vedono schiacciare insieme un lombrico e disposti a tutto, anche all’omicidio, pur di farli accoppiare. Altalenante è pure l’attrazione tra Tomáš e Tereza nell’“Insostenibile leggerezza dell’essere” di Kundera: lei «si rifiutava di fare l’amore da dietro», mentre lui «registrava il ripido e stretto cammino della conquista sessuale: la prima aggressione verbale, la prima oscenità che lui aveva detto a lei, tutte le piccole perversioni alle quali lui l’aveva pian piano costretta». Per le orge è meglio darsi alla lettura di Bret Easton Ellis e Michel Houellebecq, da scegliersi in base al numero dei partecipanti: in “Glamorama” ammucchiate a tre (una donna, due uomini), mentre in “Lanzarote” a quattro (due donne, due uomini).
Per un folcloristico Bunga Bunga torna utile Dostoevskij: nelle sue opere c’è tutto, dal sadomasochismo alla prostituzione, dalla sodomia allo stupro. Una versione ante litteram del Bunga Bunga è contenuta nei “Karamazov”, laddove si narra di una festicciola animata da tipacci, musicisti e ragazze alticce quanto discinte, «che divoravano lo champagne con gli occhi» e che, «a mano a mano che si beveva, diventavano un po’ troppo volgari e licenziose. E pure le loro danze: due ragazze si erano vestite da orso, e Stepanida, con un bastoncino in mano, recitava la parte dell’ammaestratore. Gli orsi alla fine si rotolarono sul pavimento in maniera ormai indecente». Tra i più «lussuriosi» della saga ci sono il patriarca Fëdor e il primogenito Dmitrij, uno per cui «si incomincia con l’ideale della Madonna e si finisce con l’ideale di Sodoma... La bellezza è proprio in Sodoma... Amavo la depravazione e la vergogna della depravazione. Amavo la crudeltà». I due sono rivali in amore, chiamiamolo così, nel contendersi Grušen’ka, donna dai modi espliciti e dalla lingua infuocata: «Da ora in poi sarò la tua schiava! Picchiami, tormentami, fa’ di me quel che vuoi... Oh, io merito di soffrire».
Che dire poi dei “Demòni”, «gente dedita alla più bestiale lussuria? È vero che lo stesso marchese de Sade avrebbe potuto imparare qualcosa da lei? È vero che lei seduceva e pervertiva bambini?», chiedono a uno della combriccola, mentre un altro, Stavrogin, con i bambini ci era andato davvero: lo confessa lui stesso in un capitolo censurato. Stavrogin (che sposa una zoppa, altra perversione) racconta come ha sedotto Matrëša, «quattordici anni, ancora una bambina nell’aspetto... Mi cinse il collo con le braccia e cominciò a baciarmi furiosamente», ma, alla fine, a violenza avvenuta, si impiccherà.
Dei rapporti tra Humbert Humbert e Lolita non è dato sapere molto: ci provò, anni fa, Pia Pera a ricostruire gli abusi nel “Diario di Lo”. Nabokov dice del suo prim’attore che era «ingenuo come sanno esserlo solo i pervertiti». Qua e là, tuttavia, spunta qualche descrizione dell’amplesso: «Dopo essermi saziato di lei, la prendevo tra le braccia con un muto gemito di umana tenerezza... e al culmine di questa tenerezza umana, angosciata, altruistica, tutto d’un tratto, ironicamente, orribilmente, la lussuria si gonfiava di nuovo, e “oh, no” diceva Lolita con un sospiro rivolto al paradiso, e tutto andava in pezzi».
Nel 1956, un anno dopo la pubblicazione di “Lolita”, Nabokov aggiunse una sardonica postfazione: «Che il mio romanzo contenga varie allusioni agli impulsi fisiologici di un pervertito è verissimo. Ma dopotutto non siamo bambini, non siamo delinquenti minorili analfabeti, né collegiali inglesi che dopo una notte di baldorie omosessuali devono subire il paradosso di leggere i classici in edizione espurgata».
Purgata fu invece Marguerite Duras, espulsa dal Partito comunista con l’accusa di «reputazione di ninfomane e donna di facili costumi»: anche lei si cimentò con il tema della pedofilia, affabulando nell’“Amante” la storia (autobiografica) tra una quindicenne e un giovane uomo cinese, «innamorato in modo abominevole. Prima c’è il dolore. Poi quel dolore viene sopraffatto, trasformato, portato verso il piacere». La situazione è ribaltata in “Occhi blu capelli neri”, dove la liaison si consuma tra un ragazzotto e una donna adulta, riferimento all’ultima relazione della Duras con un toy-boy bisessuale di nome Yann.
Stuprata da adolescente è pure Séverine della “Bestia umana” di Zola, che diventa amante del protagonista Jacques. I due vivono una passione brutale: «Si possedettero, ritrovando l’amore in fondo alla morte, nella stessa dolorosa voluttà delle bestie che si sventrano quando sono in calore». A lui, ogni volta che va a letto con qualcuna, piglia la fregola di ammazzarla: «Possedere e uccidere si equivalevano?».
Se il sesso è foriero di morte lo è anche di resurrezione: così lascia intendere Saramago nel “Vangelo secondo Gesù Cristo”, quando descrive un amplesso sacro quanto profano. «Dio, che è dappertutto, era anche lì, ma non poteva accorgersi come la pelle dell’uno sfiorasse quella dell’altro, come la carne di lui penetrasse quella di lei, e forse ormai non era più lì quando il seme sacro di Giuseppe si riversò nel sacro interno di Maria».
Di sesso, insomma, si è sempre parlato e sempre si è scritto, in tutta la Storia della Letteratura: non è un genere a sé, né una conquista dell’altroieri, né un argomento a uso e consumo dei soli pornografi, pornodivi e youporner vari. Perciò, smettiamola di fare «Molto rumore per nulla», che, poi, quel «nulla» sta per le pudenda femminili: ovvio, è Shakespeare.
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