giovedì 27 luglio 2017

Il problema del potere

GRECIA ANTICA LABORATORIO DELLA POLITICA

Nelle Supplici di Euripide l’araldo di Tebe chiede a Teseo: «Chi è il signore di questa terra?». Nessuno, risponde Teseo, «Atene è governata democraticamente dal popolo». Da queste parole e dalla discussione che ne segue (l’araldo sostiene la monarchia, Teseo la democrazia) prende il titolo e le mosse il nuovo, bellissimo libro di Mario Vegetti — Chi comanda nella città (Carocci, pagine 128, 12) — dedicato a un problema la cui centralità nel dibattito pubblico ateniese fa della Grecia «uno dei più straordinari laboratori di pensiero politico dell’Occidente»: il problema della legittimazione del potere.
La società e la cultura greca, spiega Vegetti, si sono formate a partire dal IX secolo a. C. in uno spazio vuoto, definito da un sistema di assenze. Per cominciare, una crisi di sovranità, che rende impossibile la trasmissione dinastica del potere. Non a caso a Itaca ben 108 pretendenti aspirano alla mano di Penelope nella speranza, grazie al matrimonio con lei, di ereditare di fatto il potere di Ulisse. E così come non esiste tra i mortali, non esiste un criterio di trasmissione neppure del potere divino, caratterizzato (ci racconta Esiodo) da atroci crimini di sangue tra padri e figli. Accanto a questa prima assenza si pongono poi, non meno rilevanti, quella di un’autorità sacerdotale in grado di consacrare le dinastie e quella di un libro sacro di natura o ispirazione divina. Sono le circostanze dalle quali discende la necessità di legittimare il potere, spiega Vegetti, che quindi organizza i tentativi di farlo in cinque tipologie, rispettivamente basate sul principio di maggioranza (plethos), su quello di legalità (nomos), su quello della forza (kratos), su quello della eccellenza (aretè) e su quello della competenza (episteme). Ciascuno dei quali, peraltro, ha delle controindicazioni, che Vegetti analizza, a partire da quello di maggioranza, prendendo le mosse dal famoso colloquio tra Pericle e il giovane Alcibiade nei Memorabili di Senofonte: la legge approvata a maggioranza, sostiene Alcibiade, mettendo in non poche difficoltà Pericle, è violenza, è prepotenza di una parte su un’altra parte della popolazione. E a questa critica se ne aggiungono altre, quale, su un piano diverso, ma non meno significativa, quella sul valore di plethos: cosa si deve intendere con questo termine? Forse l’intero corpo civico deliberante, riunito in assemblea? O, invece, la parte più numerosa e meno fortunata della popolazione? La democrazia è forse il governo dei poveri, secondo l’opinione di Platone? A questa critica vi era chi rispondeva affermando che «la città educa gli uomini» (andra polis didaskei, secondo una celebre frase di Simonide): la città educava i cittadini, formandoli grazie alla partecipazione alle assemblee, alle giurie dei tribunali, ai festival teatrali…
Impossibile qui, purtroppo, riferire per intero il dibattito su ciascuno dei diversi criteri di legittimazione del potere, analizzati da Vegetti in un’appassionante sequela di pro e di contro e descritti con un’imparzialità che rende difficile (per dichiarata volontà dell’autore) risalire alla soluzione da lui preferita. Ma quanto si è visto, sia pur brevemente, è più che sufficiente a dar conto della importanza di questo libro, con il quale un grande accademico, con autorevolezza pari alla chiarezza e piacevolezza di linguaggio, affronta un tema che, accanto agli specialisti, interesserà tutti coloro che, inevitabilmente, si interrogano sui problemi odierni legati alla legittimazione del potere. E che conferma, una volta di più, l’insostituibile importanza dello straordinario, inesauribile «laboratorio» greco. 


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