Antonio Gnoli per Robinson – la Repubblica
Una vita raccontata non è mai come una vita vissuta, ma una vita vissuta senza un racconto che vita sarebbe?
Guardo la compostezza di Elio Pecora - saggista, scrittore, poeta - e mi rendo conto che egli somiglia all'" amico involontario", l' amico che non ti cerca, che non ti promuove, che non sparisce perché da sempre è sulla soglia di un' uscita di emergenza. È strano. Conosco Elio da tantissimi anni ma è come se non avessi mai messo a fuoco la sua figura, se non nei contorni dai margini sfuggenti.
Mi appare oggi sotto una luce diversa, soprattutto dopo aver letto Il libro degli amici ( Neri Pozza), una storia senza risvolti permalosi, senza rancore né vendette postume, ma con qualche punta di spietatezza sulla Roma letteraria tra gli anni Sessanta e l' omicidio di Pasolini: « È come se quel mondo, imborghesito, improvvisamente si fosse risvegliato dall' orrore delle proprie abitudini», dice con la voce cantilenante e un po' incantatrice.
Tu dov' eri quando morì Pasolini?
«A casa, mi telefonò Moravia chiedendomi di accompagnarlo all' Idroscalo di Ostia. Alberto sprofondava nella disperazione. Non trovammo più il corpo ma solo i segni sulla sabbia di qualcosa che era stato rimosso. Notai la confusione, il disordine. Crebbero rabbia e sconforto. Poi il silenzio. Cosa potevo dire se non che quella città, così amata e indicidibilmente bella, spazzando ogni illusione, improvvisamente mi era diventata estranea».
Quando ti trasferisti a Roma?
«Nel 1966, fuggii da Napoli, una prigione dorata, vissuta tra gli anni dell' infanzia e l' università. Roma fu libertà e allegria. Trovai quasi subito un lavoro alla libreria Bocca di via Veneto. Nel 1968 trascorsi alcuni mesi in Germania dove scrissi il mio primo romanzo. Poi tornai a Roma. Il dattiloscritto finì tra le mani di Rodolfo Wilcock».
Un personaggio non facile.
«Per niente. Un misto di sarcasmo e snobismo argentino, la sua patria di origine».
E vi incontraste?
«Fu il figlio adottivo a dirmi che voleva conoscermi. Viveva in una casa, che dico casa, un' abitazione abusiva dalle parti del Mandrione, una zona a sud di Roma popolata da zingari e puttane.
Notai una grande poltrona di pelle sdrucita, moltissimi libri e oggetti delle più diverse specie, frutto dei suoi vagabondaggi tra le discariche dell' Appia Pignatelli, dove amava passeggiare. C' era anche un enorme cane i cui peli si erano depositati ovunque».
Non era proprio un salotto romano.
« Wilcock non aveva nulla dell' intellettuale romano, possedeva grandissime competenze botaniche e zoologiche. Credo che in un' altra vita fosse stato ingegnere. Parlava poco del suo passato.
Una volta accennò al fatto di aver vissuto per lungo tempo a Londra, mantenendosi come impiegato in un' azienda di telefoni».
Non ti disse perché aveva lasciato l' Argentina?
«No, mi parlò in un paio di occasioni dell' amicizia con Bioy Casares e Silvina Ocampo, e quando la coppia venne a Roma lui la incontrò spesso. Se ne prese cura. Aveva uno strano modo di accogliere le persone che gli piacevano».
A chi pensi?
«Anche a me. Ho abitato per qualche mese in una specie di cubo di cemento che Wilcock aveva fatto costruire adiacente a una casa che possedeva a Velletri. Me l' offrì dopo che avevo deciso di lasciare la mia abitazione romana».
Come interpretasti quell' offerta?
«Come un gesto di affetto».
Solo?
«Se alludi al fatto che potesse essere innamorato, non lo so. Certo non c' era da parte mia nessuna corrispondenza in quel senso. Oltretutto, vivevo allora con un compagno un po' più giovane di me. Penso che si sentisse solo e ripagasse il mio affetto per lui con altrettanto affetto. Del resto, la stessa cosa accadde con Elsa Morante. Entrambi volevano in cambio l' unicità dell' altro».
Erano, sia pure diversamente, nature assolute.
«Erano nature possessive. Negli ultimi anni le mie frequentazioni divennero più rare. Wilcock se ne risentì. Resta la sua estrosa grandezza, incastonata dalla sua morte».
Cosa ebbe di speciale?
«Nulla, per carità. Mi telefonò Laura Betti per dirmi che Rodolfo era morto. Lo raggiunsi a Lubriano, dove da anni si era trasferito. Vidi il cadavere supino sul letto. Chiesi a un vicino se erano state chiamate le pompe funebri. Dopo un po' arrivarono degli uomini con la bara. Ma non c' era il carro. Fu trasportato al cimitero su di un camioncino. Sembrava il trasloco surreale verso un altro mondo. Fu così che Wilcock uscì dalla mia vita».
Accennavi alla Betti.
«Laura era dotata di due personalità opposte: tenera e accogliente, ma anche irosa e tirannica. Non aveva sponde. Un solo amore: Pasolini. Non l' ho mai vista piangere, gridare sì, per dolore».
Tu piangi?
«Raramente, piansi due giorni interi per la morte di mio padre».
Fu così importante?
« Lo fu senza che glielo abbia mai detto. Era ufficiale di marina. Avevo due anni, quando con la mamma lo seguimmo prima di stanza in Grecia e poi a La Spezia».
E tua madre?
«Di lei, che proveniva da un' antica famiglia borbonica, sono stato più complice che figlio. Aveva una bellissima voce, piena di malinconia. Mi ha trasmesso l' amore per la musica e il canto».
So che anche tu canti.
« Non l' ho mai fatto in modo professionale. Enzo Siciliano disse che della mia voce amava l' asprezza».
Siciliano fu il ponte di molte vicende letterarie romane.
«Conosceva molti segreti, ma sapeva custodirli. Preferiva edificare anziché distruggere».
C' era qualcosa da distruggere?
«C' è sempre qualcosa non dico da distruggere ma da cui prendere a volte le distanze».
Difendeva il santo sepolcro.
« Aveva fede nella letteratura e in coloro che la incarnavano, come Moravia e Pasolini».
Moravia lo hai conosciuto bene?
« La prima volta che lo incontrai me lo presentò Dario Bellezza, nel 1971. La sua amicizia mi allontanò dalla Morante che dagli amici pretendeva l' assoluta appartenenza».
L' unicità, come dicevi.
«Certo, con Elsa furono anni tumultuosi. Diffidava di quasi tutti».
Qualche nome?
«Per esempio di Bellezza e di Amelia Rosselli. Mi diceva: guardati da quelle persone fanno affiorare la parte peggiore di noi».
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