Malcom Pagani per Il Fattoquotidiano - ARTICOLO DEL 13 LUGLIO 2015
Premesse: “Anni fa mi chiamarono per interpretare me stesso ne L’allenatore nel pallone n.2. Un’ora di riprese e 7.000 euro di ingaggio per un film che non rimarrà nella storia del cinema. Dopo 12 mesi di ricerche e spese affrontate di tasca mia per un libro su Trieste che mi stava a cuore, Bompiani mi retribuì con la stessa cifra”.
Promesse: “Ho offerto due prestazioni professionali. Ci sono cose che si possono vendere e altre che non hanno prezzo. Se qualcuno vuole rinfacciarmi la partecipazione al film con Banfi, sappia che lo prendo a calci in culo”. In una palazzina liberty appoggiata ai bordi di Monteverde, tra imprecazioni, paradossi e fonemi che sfidano lo spesso muro del silenzio pomeridiano, Giampiero Mughini, siciliano del ’41, sopporta l’estate: “L’ho sempre odiata”.
Il suo cane. Quadri, fotografie e volumi. Sono più di 20.000 e tra le pagine brilla anche la prima edizione dei Canti orfici di Dino Campana battuti a macchina “con ragionevole certezza documentale” da suo padre: “Lavorò al comune di Marradi nel 1914. Mi disse che allo scopo di fargli concludere I canti orfici, l’aveva aiutato economicamente. Non gli ho mai creduto. Che a 15 anni mio padre avesse i soldi per aiutare un uomo da tutti considerato il pazzo del villaggio è improbabile”.
Il pazzo del villaggio è il più savio di tutti?
Non necessariamente e Campana non lo era. Era il più geniale. Una cosa diversa. Credere che essere geniali porti vantaggi è un’illusione.
Lei l’ha mai pensato di se stesso?
Con il genio non ho mai avuto a che fare. Ho pensato che quel poco di talento che possiedo unito allo spasmodico desiderio di indipendenza, alla libertà e all’orgoglio, mi avrebbe creato molti problemi.
Le ha creato problemi anche la politica?
Parlai per la prima volta in pubblico a 19 anni. A una commemorazione del 25 aprile, in piano antifascismo totalizzante. Una condizione che per l’avvio della mia generazione è stata incentivo e morbo. Dissi delle puttanate ignobili sostenendo che i conti con i fascisti non fossero stati chiusi nel ’45. E nel dire queste puttanate, estasiato dalla mia cretineria, dimenticavo che mio padre era stato fascista. Mi ravvidi presto.
Un ravvedimento che mutò in abiura. Il suo Compagni addio, nel 1987, le costò astii e anatemi.
In molti mi tolsero il saluto. Erano stati gli amici di una vita. L’immagine da incubo, quella che non posso cancellare, risale però a molti anni prima. Il primo maggio del ’69 ero a Catania. Vidi sfilare i miei compagni di gioventù e il non dimenticabile amore biondo dei miei vent’anni con le insegne dei marxisti-leninisti sotto i faccioni di Mao e Stalin.
Cosa pensò?
Più stronzi di così si muore. I libretti, i faccioni, l’orrore. Mamma mia.
Rimpiange quelle amicizie sepolte dalle opinioni?
Come potrei? Morì un mio vecchio compagno con il quale avevo litigato. Mandai due righe ad Anna, la vedova. Lei le ignorò. Un giorno mi telefonò un amico catanese. Ce l’aveva accanto. Me la passò. “Anna, cara, ti ho mandato due parole, perché non hai risposto?”. “Facciamo parte di due mondi diversi” disse. Vuole che rimpianga? Ma come faccio a rimpiangere questi idioti?
Queste cesure improvvise cosa le hanno lasciato?
L’esercizio orgoglioso della solitudine. Avendo perso per strada la mia generazione, non l’ho sostituita. Non ho fatto come altri che si sono iscritti a un qualche clan. Della solitudine, come della stronzaggine femminile, credo di essere uno dei maggiori esperti contemporanei. È diventata un vizio, la solitudine. Una patologia.
La stronzaggine femminile, diceva.
Ne ho viste di pirotecniche. Per avere un rapporto reale con una donna, Michela, la mia compagna, ho dovuto compiere 50 anni. Prima erano lacerazioni, miraggi, ubbìe, accensioni erotiche, tradimenti, sopravvalutazioni.
Le daranno del misogino.
Con le donne - pur avendo bevuto come acqua fresca bugie romanzesche e avendo constatato sulla mia pelle che l’attitudine eucaristica non è nelle loro corde - ho avuto un atteggiamento leale e a differenza di quelli di Lotta Continua, non le ho mai usate per far girare il ciclostile. Partendo da questa premessa, sentir parlare di donne attraverso miserie come le quote rosa mi deprime. Ho visto che De Luca vuole metterne 6 in lista ed Emiliano lo imita con 3. Non so se sia più patetico o esilarante.
Lei del giornale di Lc fu direttore responsabile.
Per motivi di elementare liberalità, a quelli che non consideravo affatto i miei compagni, offrii la firma. Non sono mai entrato in redazione, ma ho ottenuto 26 processi, 3 condanne e un’infinità di multe. Le basta?
Sul delitto Calabresi lei ha scritto un contestato saggio in cui sosteneva di non avere dubbi. A uccidere il commissario era stato un commando di Lc.
Nell’opinione colta della gauche e dei lettori di Repubblica, il delitto Calabresi è misterioso. Non si sa chi lo abbia compiuto, forse gente venuta dall’oltremondo. Le sentenze dei tribunali italiani raccontano una storia diversa: un commando di Lc, composto da Marino e Bompressi ha compiuto l’atto, voluto da un dirigente milanese di nome Pietrostefani. C’è poi una quarta responsabilità del leader più famoso di Lc, Adriano Sofri, che in un colloquio privato con Marino avvenuto a Pisa avrebbe dato il là all’esecuzione. Nel mio libro sostenevo di non aver dubbi su come fosse andata, esprimendone invece di forti sul fatto che Sofri avesse davvero dato l’ordine di uccidere. Avevo letto 3 volte gli atti giudiziari, molto ricchi e dettagliati e scritto un libro non elegante, ma elegantissimo in cui non chiedevo decapitazioni, ma solo che chi allora era stato giovane riconoscesse i fatti. Sono stato coperto di insulti, querelato, aggredito verbalmente.
L’omicidio Calabresi è un tabù.
In un salotto di sinistra non ascolterà la storia che le ho raccontato. Dario Fo pensa sia un’invenzione. Un complotto dei carabinieri impegnati a dettare la versione a Marino. Cose in cui l’imbecillità e la fantascienza si coniugano. Fo non è solo. Un intellettuale di sinistra tra i più intelligenti, Piergiorgio Bellocchio, si è vantato di non aver mai letto le 600 pagine della sentenza di primo grado. E un altro, Erri De Luca, dopo aver detto: “Vi diremo come sono andate le cose quando ci restituirete il corpo di Sofri”, a restituzione avvenuta, si è rimangiato la dichiarazione preoccupato dall’eventuale calo di vendite dei suoi romanzi nelle librerie Feltrinelli. Non biasimo la viltà intellettuale di De Luca, ma la lobby, anzi preferisco dire la congrega che non difende la memoria della propria giovinezza, ma la realtà concreta delle proprie carriere nel presente.
Sapremo mai tutta la verità?
Non credo. La verità, o almeno una parte, la scrisse Sofri stesso: “Quelli che hanno ucciso Calabresi erano i migliori della nostra generazione”. Più confessione di così? Cosa si può dire d’altro? Niente credo, se non che Claudio Rinaldi, che in Lc era stato, nel suo libro postumo racconta la mattina dell’omicidio. Era con due donne: la sua futura moglie e un’amica che iniziò a dar di matto: “Ah, ecco il complotto, adesso ci accuseranno, ci arresteranno tutti”. Poi parlò al telefono e si rasserenò: “L’abbiamo fatto noi”. Non c’è uno che l’abbia fatto notare. Sono parole di Rinaldi, impegnato a scrivere in prossimità della sua morte. Rinaldi fu l’unico che letto il mio saggio si disse d’accordo con me.
Rinaldi, insieme ad altri grandi interpreti del mestiere, è stato suo direttore.
Modestamente ho avuto i migliori. Arrigo Benedetti, Montanelli, Vittorio Nisticò, il timoniere de L’Ora, Sechi, Zucconi. E che cazzo, mica possiamo scherzare su queste cose. Qualcuno conosce il nome dell’attuale direttore del Corriere della Sera dove ora pensano solo a licenziare? Nessuno. E nessuno lo conoscerà mai. Dopo aver sepolto discografia e fotografia, Internet si avvia a farlo con la pagina scritta. Il giornalismo è un mestiere finito e impraticabile.
Eravamo a Rinaldi.
È stato il più grande direttore della mia generazione. Dopo uno splendido Europeo, fece un magnifico Panorama. Si licenziò quando Berlusconi acquistò Mondadori. Per Panorama, l’arrivo di Berlusconi è stato come il bombardamento di Dresda. Io che ho sempre lasciato l’antiberlusconismo militante ai professionisti a tempo pieno del genere, posso dirlo. Che un settimanale legato all’attualità politica appartenga a uno dei capi dei due schieramenti è inconcepibile. Che la metà dei giornalisti italiani fosse a libro paga della famiglia Berlusconi, una tragedia della nostra recente vita civile. Diciamo la verità.
Diciamola.
Berlusconi è un benefattore. Ha dato da mangiare etai consenzienti et ai dissenzienti. Ha pagato olgettine, calciatori, comici, puttane, mogli, amici infidi, giornalisti. Ha pagato anche Enrico Mentana che faceva l’indipendente e a ogni botta di indipendenza si faceva aumentare lo stipendio. A inizio intervista ha citato il genio. Forse pensava a Caravaggio. Lui è morto povero. A Enrico non succederà. Da domani riveda le categorie. Elimini Caravaggio e lo sostituisca con Mentana. Il genio è Enrico.
Sarà contento. Pensa sia un bravo giornalista?
Bravissimo. Come si fa a dire il contrario? Non mangia pane e giornalismo solo perché il pane non gli serve a niente. Si è inventato il Tg5 di cui a Berlusconi fregava meno di un cazzo e a La7, pur con un eccesso di grillismo immolato al dio dei nostri tempi, lo sciàre, fa miracoli. Se il palinsesto di La7 durasse 48 ore, Enrico presidierebbe il territorio per 49.
Qualche giornalista giovane che apprezza?
Al primo posto, che si parli di giornalisti, tifosi del Torino o mariti di Annalena Benini, metto sempre Mattia Feltri. Poi Christian Rocca, Aldo Cazzullo e Andrea Scanzi. Ha talento. Dove lo tocchi, che scriva di fumettari, calciatori o cantanti, Andrea suona.
Fazio le piace?
È un uomo senza spigoli e anche per questo fa benissimo il proprio mestiere. Per ingenuità porta scritto sulla fronte “sono de sinistra”. Ma su Rai 3 è obbligatorio. Che un’intera rete televisiva appenda il cartello “semo de sinistra” da mattino a sera è pazzesco. Un atto di superiorità razziale.
A lei un programma non lo danno.
Perché non sono un uomo senza spigoli. Esserlo è un’arte. Uno degli uomini più colti e arguti che abbia mai incontrato si chiama Paolo Mieli. L’ho visto ospite a In onda da Barra e Paragone con due signori di cui non facciamo il nome per pietà intellettuale. Li avesse affrontati sul campo da tennis, avrebbe maramaldeggiato per 6-0, 6-0. Paolo li guardava con l’aria di dire “La vostra stessa esistenza è la prova dell’assenza di dio”. Ma non glielo faceva pesare. Nel mettere insieme intelligenza e calcolo delle opportunità, Paolo è superbo. Da ragazzo militava in Potere Operaio. Oggi presiede Rcs libri. Era un mio amico fraterno, non ci vediamo più da anni.
Lei era amico anche di Moretti. Recitò per lui in Ecce Bombo e in Sogni d’oro.
Altro amico fraterno. Io e Nanni eravamo sempre insieme. Poi abbiamo litigato. Anzi, lui ha litigato con me. Per un’inezia. Una cosa che per me sarebbe finita in 2 ore e per lui dura da 30 anni. Nanni è molto orgoglioso. Con lui le cose semplici non esistono. Negli ultimi due decenni credo di averlo visto 3 volte in tutto. Sempre per strada. Sempre per caso.
Incontri civili?
La prima volta mi vide con il mio cane: “È l’unica cosa bella che hai”. La seconda gli dissi: “Dai Nanni, smettiamola di fare i buffoni, vieni a cena da me domani” e lui: “Giampiero, hai ragione, vengo senz’altro, se succede qualcosa ti avverto”. Mai più sentito. La terza volta gli chiesi se credeva ancora che D’Alema dovesse dire qualcosa di sinistra. Proprio il giorno in cui Nanni processò la sinistra in Piazza Navona, passavo di lì. C’era il comizietto e l’atmosfera era così mesta che mi dileguai di corsa perdendomi lo show.
“Con questi dirigenti non vinceremo mai”.
Con quei dirigenti non hanno vinto, ma con Fassina, Civati e Landini, uno che all’umanità apre orizzonti alla Schopenhauer, trionferanno. Sa, io ho conosciuto il sindacato ai tempi in cui era una cosa seria e i dirigenti si chiamavano Trentin, Foa, Garavini e Lama. L’idea che qualcuno possa prestare attenzione a Landini mi pare inverosimile. “La coalizione sociale”, arringa. Ma che vuol dire? Che significa? Usare questo linguaggio privo di senso e addirittura proporlo in politica non si può.
Civati l’ho incontrato in radio. Senta, gli ho chiesto, vorrei capire meglio la sua posizione: “L’anno scorso ho dichiarato 170.000 euro di imponibile e ne ho pagati 70.000 di tasse, le sembra abbastanza?” “Assolutamente sì” ha risposto. Almeno so di cosa si parla. Tassare gli strati alti. Tutti quelli che vanno un passo oltre la sopravvivenza. Ha fatto bene Depardieu. Pagava il 50% di tasse e lo chiamavano evasore. Evasore un cazzo. “Mi volete tassare per il 75%?”. Volevano. Giustamente il buon Gerard se n’è andato da Putin. Adesso Hollande che è intelligente come Civati- e non so se la cosa sia un vantaggio o uno svantaggio- si è pentito. È tardi.
Qualcuno la considera venale. Che peso ha avuto il denaro nella sua vita?
Vengo dalla povertà. Arrivai a Roma nel’70 con 6.000 lire e il problema di dover mettere insieme pranzo e cena. Mi chiamarono da un settimanale e scoprii che mi avrebbero anche pagato. Da allora ho sempre contrattato. La domanda è giusta, ma imprecisa.
Se la ponga allora.
Ha mai messo per denaro una virgola in un posto pur sapendo che sarebbe dovuta andare altrove? Mai. Sono stato sempre libero. Orgoglioso e impudente. Sbattere una porta e rinunciare a una collaborazione giornalistica da 50.000 euro, come è accaduto l’anno scorso, è meno doloroso di doversi sputare in faccia tutti i giorni.
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