Lorenzo Vita - il Giornale
La Corea del Nord è ormai al centro del dibattito mondiale e dell’attenzione della diplomazia internazionale. I test missilistici di Pyongyang rappresentano, per gli Stati Uniti e i loro alleati, una grave minaccia per la sicurezza nazionale e per la stabilità mondiale, e le cancellerie di Asia, Europa e Nord America stanno lavorando instancabilmente per evitare il conflitto. Un conflitto che, nel caso della Corea del Nord, potrebbe trasformarsi nel primo conflitto con utilizzo di armi nucleari dai tempi di Hiroshima e Nagasaki. Per ora, l’unica certezza è che Kim Jong-un, con tutti i suoi limiti, sia un personaggio ambiguo ma non folle. Il leader coreano sa perfettamente che una guerra con gli Stati Uniti non avrebbe alcuna conseguenza positiva per lui se non l’annientamento del suo governo, il cambiamento di regime e la morte di milioni di persone. La Corea del Nord non può intraprendere un conflitto, perché sa che, pur mietendo un numero infinito di vittime, non otterrebbe nulla. Ed è lo stesso motivo per cui dal Pentagono frenano sulle ipotesi una cosiddetta “guerra preventiva”: non c’è strike preventivo che possa annientare tutte le testate nel giro di pochi secondi e anche nella migliore delle ipotesi, ci sarebbe tempo per Pyongyang per lanciare anche un solo missile in grado di devastare una città già solo sul territorio della Corea del Sud. In questo senso, è interessante constatare come sia proprio questa situazione di costante rischio a garantire sul fatto che sembra escludersi una guerra aperta, perché nessuno vuole mettere a repentaglio la propria esistenza.
La Corea del Nord è ormai al centro del dibattito mondiale e dell’attenzione della diplomazia internazionale. I test missilistici di Pyongyang rappresentano, per gli Stati Uniti e i loro alleati, una grave minaccia per la sicurezza nazionale e per la stabilità mondiale, e le cancellerie di Asia, Europa e Nord America stanno lavorando instancabilmente per evitare il conflitto. Un conflitto che, nel caso della Corea del Nord, potrebbe trasformarsi nel primo conflitto con utilizzo di armi nucleari dai tempi di Hiroshima e Nagasaki. Per ora, l’unica certezza è che Kim Jong-un, con tutti i suoi limiti, sia un personaggio ambiguo ma non folle. Il leader coreano sa perfettamente che una guerra con gli Stati Uniti non avrebbe alcuna conseguenza positiva per lui se non l’annientamento del suo governo, il cambiamento di regime e la morte di milioni di persone. La Corea del Nord non può intraprendere un conflitto, perché sa che, pur mietendo un numero infinito di vittime, non otterrebbe nulla. Ed è lo stesso motivo per cui dal Pentagono frenano sulle ipotesi una cosiddetta “guerra preventiva”: non c’è strike preventivo che possa annientare tutte le testate nel giro di pochi secondi e anche nella migliore delle ipotesi, ci sarebbe tempo per Pyongyang per lanciare anche un solo missile in grado di devastare una città già solo sul territorio della Corea del Sud. In questo senso, è interessante constatare come sia proprio questa situazione di costante rischio a garantire sul fatto che sembra escludersi una guerra aperta, perché nessuno vuole mettere a repentaglio la propria esistenza.
Ma mentre tutto il mondo parla di Corea del Nord come di un elemento in grado di far piombare il mondo nuovamente nel caos atomico, si svela anche l’ipocrisia, come un vaso di Pandora, del sistema politico internazionale. Perché se i test missilistici di Pyongyang sono considerati una minaccia per il mondo, c’è un altro scenario, tra altri due Paesi, dove la situazione è notevolmente più complessa e incandescente di quella coreana. Scendendo, infatti, più a sud, verso l’oceano Indiano, due Stati in guerra fra loro continuano a sviluppare programmi nucleari all’avanguardia e a testare missili balistici in grado di trasportare testate atomiche l’uno contro l’altro: parliamo di India e Pakistan. I due Paesi asiatici vivono in stato di guerra continuo e non hanno firmato il trattato sulla non proliferazione nucleare. Negli ultimi mesi, i test balistici sono aumentati e hanno manifestato, nell’indifferenza mondiale, il fatto che si sia ben lontani da una pace fra queste due nazioni.
L’India, nel dicembre dell’anno scorso, ha effettuato l’ultimo test per il lancio di un missile Agni-V. Pesante 50 tonnellate e lungo 17 metri, il vettore è capace di trasportare testate nucleari fino a 2500 chilometri di distanza. Un missile che consegna all’India le chiavi di accesso al club dei Paesi in grado di condurre una guerra nucleare intercontinentale. Un test di fondamentale importanza per la stabilità dell’Asia, che però nessuno del consesso internazionale ha deciso di condannare. Eppure, va ricordato, l’India è attualmente in guerra con il Pakistan per il controllo del Kashmir e continua ad aumentare le frizioni con la superpotenza rivale della Cina. E dunque non è da sottovalutare che a Nuova Delhi vi siano test di tale portata, soprattutto se si pensa che sia un Paese in possesso di almeno 120 testate nucleari.
Il Pakistan, allo stesso tempo, ha una potenza nucleare anche maggiore di quella dell’India e continua anch’esso a condurre test balistici non particolarmente utili alla stabilità della regione e per la pace con il vicino indiano. Il suo arsenale consta di circa 140 testate nucleari e, al pari dell’India, anche dalle parti di Islamabad stanno lavorando per ampliare il numero delle testate. Gli ultimi test missilistici pakistani hanno inoltre dimostrato l’aumento delle capacità balistiche: nel gennaio del 2017 è stato, infatti, testato “con successo” il lancio di un missile da crociera Babur-3 che può trasportare una testata atomica a circa 450 chilometri di distanza. La differenza, rispetto al test indiano, è che questo è stato compiuto da un sommergibile, quindi ciò rende i 450 chilometri una gittata decisamente più pericolosa.
A rendere ancora più inquietante lo scenario nucleare fra India e Pakistan, sono arrivate le recenti dichiarazioni dell’ex leader pakistano Musharraf che ha rivelato come nel 2002, dopo l’attacco al Parlamento indiano da parte di gruppi terroristici islamici, si sia arrivati a un punto di tensione per cui per giorni si è seriamente penato di attaccare con testate nucleari l’India. E anche l’India, dal canto suo, non ha mai negato di aver espressamente inviato un ultimatum al governo di Islamabad con minaccia dell’uso di testate nucleari sul suolo pakistano. Uno scenario di guerra che fu poi riconfermato nel 2008, quando il gruppo islamista di Lashkar-e-Taiba uccise centinaia di persone a Bombay, il governo indiano aveva già deciso di mobilitare l’esercito per invadere il Pakistan. E sono scenari che potrebbero ripetersi nei prossimi anni, soprattutto a causa della crescente alleanza fra Pakistan e Cina e il sempre più stretto rapporto fra India e Stati Uniti in chiave anti-cinese. L’ostilità fra India e Cina è ormai sempre più rilevante nella geopolitica asiatica, e il conflitto tra Nuova Delhi e Islamabad potrebbe essere solo il preludio di una guerra ad ampio spettro, dove gli ordigni nucleari potrebbero sì, effettivamente, essere utilizzati. Un rischio che trasforma le minacce di Kim Jong-un in qualcosa di decisamente meno preoccupante, ma che svela tutte le ipocrisie della percezione del problema delle armi nucleari nel mondo.
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