lunedì 21 agosto 2017

Abbazia Palermo

L’abbazia insanguinata dove esplose il Vespro

I monasteri cistercensi sono per eccellenza dei luoghi di pace. Ma a Palermo, davanti a uno di essi, la collera di un marito geloso diede il via a una guerra lunga e sanguinosa
In questa caldissima estate, «andar per Medioevo» in Italia può riservare qualche freschissima, se non inattesa, sorpresa. Una di queste sono le abbazie cistercensi. L’ordine nacque nell’abbazia di Cîteaux (Cistercium in latino), in Borgogna, fondata nel 1098 da Roberto di Molesmes. Lo scopo: imprimere una spinta ancor più forte alla congregazione benedettina cluniacense (protagonista del rinnovamento della Chiesa), ritornare ad una maggiore austerità, rinverdire la regola di San Benedetto, proseguire nel percorso di riforma. Il successo fu immediato, pure in Italia. Il primo monastero cistercense nella Penisola fu Santa Maria e Santa Croce di Tiglieto, sorto nel 1120 alle pendici dell’Appennino ligure, nell’attuale provincia di Genova, sul versante del rilievo che guarda al Piemonte. Dopo di esso, la fama dell’ordine si sparse dal Nord fino all’estremo Sud, isole comprese, con esempi mirabili di abbazie, da Chiaravalle al celeberrimo San Galgano, da Casamari a Fossanova; monasteri di cui è possibile seguire oggi un itinerario omogeneo e suggestivo nel volume di Carlo Tosco Andare per le abbazie cistercensi, nella collana del Mulino «Raccontare l’Italia».
Una abbazia, però, per la sua storia, colpisce più di tutte. È tra le più lontane dalla casa madre borgognona: si chiama Santo Spirito e si trova a Palermo. A guardarla, si capisce che ha poco a che vedere con le sue consorelle. Sono troppi infatti gli influssi che ne caratterizzano la fisionomia. Si sente, fortissimo, l’eco normanno, accompagnato da ascendenze arabe e bizantine, sia a livello planimetrico sia decorativo: e non poteva essere diversamente in quel melting pot che è Palermo nel momento della consacrazione della chiesa, il 22 giugno 1172. La intitolano al Santo Spirito, fatto abbastanza anomalo. Non è anomalo invece che nasca appena fuori le mura, sul lato meridionale della città, in un’area di orti e giardini. L’ideale del rifiuto del mondo e del desertum come spazio di elezione per le abbazie cistercensi era stata in effetti una caratteristica delle origini. Dopo, i monaci bianchi intrecciano rapporti con il mondo urbano, soprattutto nell’Italia settentrionale, dove le città avevano assunto un ruolo politico decisivo, con la nascita dei
governi comunali. Chiaravalle ad esempio era stata fondata alle porte di Milano. Come anche le abbazie dell’Emilia, del Piemonte o della Liguria avevano stabilito legami durevoli con città come Piacenza, Vercelli o Genova. E allora, perché non crearne anche con Palermo, una delle grandi capitali del Mediterraneo? Fu così che l’abbazia cistercense di Santo Spirito sorse non a metà tra Cielo e Terra, ma tra la città e il suo hinterland: uno degli emblemi del nuovo regno cristiano di Sicilia, beneficata con larghezza dai re normanni.
Dopo i momenti iniziali, per tutto il Duecento l’abbazia scompare dai riflettori. Vive una vita normale, senza sussulti. Dall’anonimato esce però di forza, con uno shock per il Mezzogiorno, in un giorno preciso. È il 31 marzo 1282, un martedì dopo Pasqua di una primavera incipiente. A Palermo, per strada, ci sono persone le più diverse. Tanti i siciliani ma, tra essi, guardandosi in cagnesco, i francesi, la gente di re Carlo I, l’usurpatore angioino, non sono pochi. Comunque, il clima sembra festoso. E grandi tensioni, per ora, non si avvertono. Escono numerosi da porta Sant’Agata e si dirigono verso Santo Spirito, per ascoltare la messa del Vespro. Sembra, per tutti, quasi una scampagnata. Come al solito, sul sagrato si ferma gente. D’un tratto, la tragedia. Un soldato francese si avvicina a una donna. La vuole perquisire? «Farle villania»? Rapire? Non si capisce. Però l’aggressione c’è. Dura, proterva. La donna urla. Il marito reagisce, con violenza. La colluttazione si trasforma in assassinio. Il sagrato di Santo Spirito in un istante diventa teatro di una zuffa, tra palermitani e francesi. È la scintilla. Il pretesto che tanti aspettavano per dar vita ad una rivolta antifrancese. Che parte proprio da qui, dall’abbazia cistercense. Con un grido che rimbomba, cresce, si amplifica, tanto da muovere Palermo a urlare «mora, mora», come scrive Dante. Insomma, morte ai francesi! La caccia agli angioini dilaga per la città, casa per casa, quartiere per quartiere. E, da qui, si diffonde in tutta l’isola. Il massacro trabocca, diventa carneficina e non risparmia nessuno.
I fatti di Santo Spirito inaugurano la guerra del Vespro: lunga, intricata, a tratti terribile, decisiva per i destini del Sud Italia. Terminerà solo vent’anni dopo, con la pace di Caltabellotta del 1302 che consegna la Sicilia allo spagnolo Federico III d’Aragona, ma avrà strascichi per quasi cento anni. Mentre l’abbazia diventa per la memoria collettiva Santo Spirito «del Vespro»: il luogo di partenza di una delle più drammatiche fratture vissute dal Sud, con l’emergere di due contrapposte entità, le «due Sicilie» (da una parte l’isola, dall’altra il Mezzogiorno continentale), caratterizzate da distinti sentimenti comunitari, difficilmente ricomponibili.

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