Le Fosse Ardeatine di Atene Un giallo di 2.650 anni fa
Enigmi Scoperte in un sobborgo della capitale greca le ossa di giovani uccisi con colpi alla testa nel VII secolo avanti Cristo. Si ritiene che siano i seguaci di Cilone, sterminati sugli altari di un tempio dopo il fallito tentativo del loro capo di prendere il potere
- La Lettura
- Di LIVIA CAPPONI
Il fallito colpo di Stato dell’aristocratico Cilone, vincitore nella corsa alle Olimpiadi che tentò di occupare l’Acropoli e di farsi tiranno di Atene, avrebbe forse suscitato scarso interesse anche fra gli antichi, se non si fosse concluso con una strage dei ciloniani nell’area sacra alla dea Atena, che costò ai responsabili dell’eccidio il marchio infamante di sacrileghi. Questa maledizione pesò nella memoria collettiva e ricadde sugli Alcmeonidi, la famiglia da cui discendeva in linea materna Pericle, simbolo della democrazia ateniese.
Il racconto più dettagliato, dopo quello vago ed enigmatico di Erodoto, lo offre Tucidide nelle Storie. Secondo lui l’aristocratico Cilone, interpretando erroneamente un responso dell’oracolo di Delfi che gli aveva indicato la festa di Zeus come buona occasione per un colpo di Stato ad Atene, aveva occupato l’Acropoli durante i giochi olimpici. Era sostenuto da un club di coetanei, ma si appoggiava anche alle truppe di Teagene, tiranno di Megara, di cui aveva sposato la figlia. Gli Ateniesi, però, erano intervenuti in massa dai campi per assediare i ciloniani sull’Acropoli, e poi l’assedio era stato gestito collettivamente dai nove arconti di Atene, fra i quali spiccava Megacle, della potente famiglia degli Alcmeonidi. Infine, quando molti congiurati erano già morti di fame e di sete, Cilone e il fratello erano scappati, e i sopravvissuti si erano posti come supplici nel tempio di Atena. Gli arconti avevano persuaso i ciloniani a uscire dal tempio con la promessa che li avrebbero sottoposti a regolare processo, ma poi avevano fatto una strage, lapidandoli e sgozzandoli sugli altari dove si erano rifugiati. Il sacrilegio era inaudito, una macchia indelebile su Megacle e sui suoi discendenti, che da allora vennero chiamati «empi nei confronti della dea».
All’inizio della Costituzione degli Ateniesi, Aristotele sottolinea che Megacle e gli altri autori del sacrilegio erano stati poi processati ed espulsi da Atene, o meglio i vivi erano stati esiliati, e persino le ossa di quelli che nel frattempo erano morti erano state esumate e gettate fuori dai confini. Più tardi anche Plutarco, nella biografia di Solone (638-558 a.C.), ricorda il processo e l’esilio dei sacrileghi vivi e l’esumazione dei morti, mentre Diogene Laerzio precisa che Solone aveva chiamato da Creta il saggio e veggente Epimenide per purificare la città da una pestilenza, quest’ultima vista come conseguenza diretta del sacrilegio. Epimenide aveva eseguito alcuni riti e preghiere, permettendo a Solone di richiamare gli Alcmeonidi dall’esilio: Clistene, autore di importanti riforme che di fatto fondarono la democrazia ateniese, era del loro ceppo. Ma la maledizione continuò ad essere usata come arma politica per molto tempo.
La data e la sequenza dei fatti di Cilone sono discusse. La maggior parte degli studiosi pone il colpo di Stato e il sacrilegio fra il 640, presunta data della vittoria olimpica di Cilone, e il 621, data delle leggi di Dracone sugli omicidi, leggi che regolamentavano i giudizi per assassinio, limitando l’autorità delle grandi famiglie a favore dello Stato, e che furono forse un modo di rispondere alle ri- percussioni dei tragici fatti. Il processo e la condanna degli Alcmeonidi sono invece posti una generazione dopo l’accaduto, intorno al 600-590 a.C., il che giustificherebbe il riferimento all’espulsione delle ossa dei sacrileghi che al momento del processo erano già morti e sepolti. Permangono tuttavia numerosi dubbi, non solo perché la vicenda subì continue deformazioni e condizionamenti in senso filo o antidemocratico, ma anche perché si tratta di uno dei più antichi episodi della storia greca propriamente detta — al di fuori del mito — e pertanto presenta forti problemi di sovrapposizioni e confusioni nella memoria collettiva.
Nel maggio 2016, durante gli scavi per la costruzione della National Library of Greece e della National Opera di Atene, è stata rinvenuta nella zona del Falero (Fàliro), un sobborgo a sud-ovest di Atene, sito del più antico porto e della più grande necropoli della città, una sepoltura di massa con ottanta scheletri umani ed equini ben conservati. Gli scheletri sono stati trovati allineati uno vicino all’altro, con le mani legate da ceppi di ferro, alcuni con la faccia rivolta a terra, cosa che li ha fatti considerare prigionieri o schiavi. Le loro ossa e i denti in buone condizioni sono indizio di buona estrazione sociale e suggeriscono che essi morirono in giovane età. Probabilmente furono uccisi con colpi alla testa, tutti insieme, vittime forse di un’esecuzione politica. Uno scenario che ricorda le Fosse Ardeatine o Srebrenica. Due piccoli vasi trovati nella sepoltura sono stati datati intorno alla metà o all’ultimo quarto del VII secolo a.C. (650-600 a.C.) La direttrice dei servizi archeologici regionali, Stella Chrysoulaki, pensa che si possa trattare della fossa comune in cui vennero gettati i seguaci di Cilone.
Spettacolo macabro Gli scheletri sono stati trovati allineati uno vicino all’altro, con le mani legate da ceppi di ferro, alcuni con la faccia a terra, il che li ha fatti considerare prigionieri o schiavi
Subito dopo la strage, i corpi degli uccisi, legati per l’arresto e poi lapidati a tradimento, saranno certo stati rimossi dall’area sacra e posti in una tomba nella necropoli del Falero, cinque chilometri a sud-est del tempio di Atena. Anche se tecnicamente erano nemici dello Stato, erano ritenuti degni di sepoltura. Si deve notare che la zona del Falero, dove è stata rinvenuta la fossa, è posta in collegamento con le vicende di Cilone già dalle fonti antiche. Infatti, Diogene Laerzio riporta che, per purificare Atene dal sacrilegio, Epimenide eresse altari anonimi (noti anche a san Paolo che li chiama «al dio ignoto») e pronunciò una preghiera propiziatoria nella zona portuale della città. In quell’occasione Epimenide svolse un ruolo fondamentale anche come creatore del pensiero storico, cioè come primo interprete del passato, nei suoi snodi complessi, in relazione al presente: come diceva Aristotele nella Retorica, «egli non divinava sul futuro, bensì su ciò che è passato, ma è oscuro». Salvata Atene, il saggio tornò a Creta senza accettare ricompensa.
Ora gli scheletri sono sotto stretta sorveglianza nella American School of Classical Studies di Atene, ed è già iniziato un progetto di studio da un milione di euro, finanziato da istituzioni private greche e americane, che per qualche anno li analizzerà con le più sofisticate tecnologie, indagandone il Dna di provenienza, l’età e la parentela, la dieta e lo status, il tempo e il modo della morte. Gli studiosi si dividono fra i sostenitori dell’ipotesi ciloniana e gli scettici, secondo cui potrebbero esserci stati molti altri eccidi di gruppo agli albori della democrazia ateniese, di cui gli antichi non hanno potuto o voluto dare conto. Non resta che attendere il responso delle indagini che, come un Epimenide redivivo, potrebbero finalmente sciogliere uno dei più antichi misteri della storia greca.
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