giovedì 31 agosto 2017

Lady D

Fulvio Abbate per www.linkiesta.it

lady diana dodi al fayedLADY DIANA DODI AL FAYED
Nel mito mediatico pop di Diana Spencer (conosciuta anche come Lady Diana, Lady D, Lady Di, 1961- 1997) c'è la conferma del candore planetario. Lo spettacolo plateale, a volo di gabbiano reale, dei semplici che scelgono una mediocre fan dei Duran Duran come propria martire glamour.

Già, come possa una ragazza del tutto banale diventare una (presunta) icona di stile, gusto e taglio di capelli risulta davvero incomprensibile, se non mettendo la sordina alla vera complessità e perfino al senso del limite e del ridicolo. Tuttavia, terribile a dirsi, questo paradosso pop risulta chiaro soprattutto a chi, in luogo di Lady Diana, e ovviamente dei Duran Duran, ha sempre preferito il Frank Zappa di Tengo una minchia tanta, cioè le armi dell'ironia a fronte di un personaggio che mostra la stesso spessore di un cartonato da "coiffeur pour dames", sia pure d'altissimo rango.
Lady DianaLADY DIANA

In ogni caso, davanti a questo genere di santificazioni pop non c'è intelligenza che tenga, vincerà sempre e comunque il kleenex accluso al rotocalco lacrime e gossip. D'altronde, in altri tempi, pensando a miti non meno privi di nota, uno scrittore implacabile come Louis-Ferdinand Céline, riflettendo proprio sul tema dell'afflizione che produce fama, era stato chiaro: "Inutile lottare contro Aznavour, tutte le midinette sono con lui". Le "midinette", per chi lo ignori, sono le modiste, le sartine. Senza offesa per queste ultime, in termini di fantasia c'è però da sperare in qualcosa di meglio, di più.
LA VITA DI DIANALA VITA DI DIANA

Nel vertiginoso serpentone spettacolare che ne contempla l'esistenza mondana in vita, Diana, porella, esordisce con un gonnellone anerotico da babysitter, anzi, come si sarebbe detto al tempo dei romanzi rosa di Barbara Cartland, sua nonnastra, da maestra giardiniera, aria compita, occhi bassi, collettino da alto educandato, Austin "Metro" rossa come oggetto di locomozione.

Ma eccola presto selezionata dalla Regina Madre affinché sposi il nipote erede al trono Carlo, e, mi raccomando, "che sia vergine!". Dunque, Diana presentata a palazzo, Diana che impara l'uso delle posate, soprattutto del coltello da pesce, Diana con i completini abbottonati e stretti al collo da un fiocco giallo, Diana e il suo naso da tucano britannico, Diana e il suo naso d'improvviso forse rifatto dai chirurghi, seguiranno assai presto, davanti ai primi dissapori coniugali, le occhiaie di Diana, "principessa triste", ergo Diana infelice, Diana che piange perché Carlo ha da sempre un'altra, Camilla.
LA VITA DI DIANALA VITA DI DIANA

Carlo, intanto che Diana frigna, sogna il paesaggio toscano, sogna Masaccio, Rosso Fiorentino, Piero Della Francesca, il Chianti; Diana sogna invece sempre i Duran Duran, e poi eccola fotografata con l'amico Elton John. Carlo, sempre lui, lo immaginiamo proprio insieme a Camilla e, tra un acquarello e l'altro, sembra dirle sottovoce: amore mio, sapessi quanto è stupida mia moglie, e che vita di merda essersela dovuta accollare... S'intende che Carlo non dice proprio così, ma il senso è quello.

Diana con William, il principino, appena nato, Diana che vomita, Diana bulimica, Carlo che torna ancora una volta da Camilla e, rassettandosi il kilt da vero principe di Galles, ribadisce: te l'ho già detto quanto è limitata mia moglie?
LA VITA DI DIANALA VITA DI DIANA

Carlo che giustamente preferisce Camilla, nel frattempo giunge la nascita di Harry, il piccolo Harry con la sua gorgiera nelle foto di gruppo, e la regina che, pensando sempre alla nuora, sembra dire a se stessa: ma questa chi ce l'ha portata a Balmoral? Diana e i suoi molti amanti, Diana che si consulta con la cartomante, contessa Rosanna Mazzaglia Cutelli, come una Anna Oxa qualunque, Diana in compagnia dell'amico Gianni Versaci (come da pronuncia anglosassone!), Elton John che intanto dice a Diana: ma come cazzo ti sei vestita?

 Diana che chiama i fotografi, Diana che fornisce ai giornalisti ogni dettaglio per sputtanare la cordiale famiglia reale, Diana che si separa, le occhiaie di Diana, lo zigomo dolente, Diana che nell'intervista chiaroscurale dice: sapesse quanto mi hanno fatto soffrire questi signori Windsor.

LADY DIANA NELL'ASCENSORE DELL'HOTELLADY DIANA NELL'ASCENSORE DELL'HOTEL
Carlo che pensa: ma chi me l'ha fatto fare a sposare 'sta scema, non sarebbe stato meglio lasciarla a fare la maestra giardiniera? Diana che va a dare una carezza agli ammalati di AIDS, il frangettone di Diana tra le mine antiuomo, Diana con i figli al luna park, Diana vestita da Valentino, Diana vestita da Armani, Diana che piange al funerale di Gianni Versaci, Diana che ritelefona alla cartomante, Diana che consegna la coppa al capitano Hewitt, suo amante, presunto genitore biologico di Harry, "... ma che non l'hai visto che so' uguali, eh?", così la vox populi, e ancora, e infine, tutti noi, gli appassionati di Frank Zappa, e non certo di Simon Le Bon, che ci domandiamo quanto Diana Spencer dovesse essere legnosa a letto.
diana insieme a martin bashirDIANA INSIEME A MARTIN BASHIR

Lo sguardo cinico di Andy Wharol su Carlo e Diana, così come traspare dal ritratto che ne ha fatto, utilizzando le foto ufficiali di corte: entrambi cartonati viventi. Le candide stupide che, in certi anni, chiedevano al coiffeur la pettinatura spiovente laterale come Diana.

Un passo indietro, dai.

Diana e le sue nozze in mondovisione alla cattedrale di Saint Paul, 29 luglio 1981, Diana che balla con John Travolta indossando "un sensualissimo abito di velluto blu notte, da allora conosciuto come 'Travolta dress' venduto poi all'asta del 2011 per oltre 500.000 dollari" (sic), Diana al festival di Cannes, Diana con Madre Teresa di Calcutta, Diana con messa in piega e collettone bianco alzato nuovamente tra le mine antiuomo, Diana, che intervistata nel 1995, racconta della sua relazione con il maggiore Hewitt, le nuove occhiaie di Diana, le guance scavate di Diana, il camino "vittoriano" alle spalle di Diana durante l'intervista alla BBC, la faccia da vittima mentre si racconta autolesionista, Diana con la borsa griffata "Luigi Vuittone", sorta di svastica-monogramma del glamour internazionale, il faccione di Dodi, il faccione levantino del papà di Dodi, le immagini delle telecamere a circuito chiuso con Diana e Dodi dell'Hotel Ritz di Parigi, l'autista ubriaco, i fotografi all'inseguimento, le foto di Diana morta che, prima o poi, verranno fuori, il tunnel dell'Alma a Parigi, la torcia della statua della libertà di New York diventata il monumento a Diana, "porella", la regina che scende da Buckingham Palace per far finta di leggere, dolente e compresa, i biglietti che accompagnano i fiori, lo smile implicito dei fiorai di Londra che non hanno mai venduto così tanto in vita loro, Tony Blair che parla di "principessa del popolo", dove "people" sta in realtà per "gente", ossia i lettori di "The Sun”, vent'anni dopo, vatti a fidare proprio della Gente, in pochi vanno a visitare la sua tomba ad Althorp.
diana james hewittDIANA JAMES HEWITT

"Innocent Victims", il tarrissimo memoriale all'interno di Harrods dedicato a Diana e Dodi con tanto di gabbiano afro-pakistano che si libra nel cielo degli affari della City, e via con il complottismo. Nei giorni della morte di Diana, "l'Unità" del mio amico Piero Sansonetti così titolò: "Scusaci, principessa". Un titolo che ancora adesso resiste nella memoria perfino più del ricordo di Diana stessa, rinfacciato ai "comunisti", e allo stesso Piero, al pari, se non di più, del panegirico tessuto dal medesimo giornale per la morte di Stalin nel 1953.

Che futuro avrebbe avuto Diana in assenza di una fine così tragicamente ingiusta? "Temo che andrebbe immaginata come accompagnatrice di ricchi gay del jet set internazionale", parola della scrittrice Gaia Servadio, che assai bene conosce il mondo all'ombra dell'Union Jack. Sipario. Abbasso i Duran Duran, viva sempre Frank Zappa!

Stanford University

Michele Masneri per Il Foglio

la famiglia stanfordLA FAMIGLIA STANFORD

Senza la malasanità italiana Silicon Valley non esisterebbe. Fu infatti un’epidemia tifo malcurato a Napoli e poi Firenze a creare l’università di Stanford e i suoi derivati. Il morbo come tutti sanno colpì il giovane Leland Stanford nel 1884, mentre compiva come tutti i gentiluomini dabbene il suo grand tour europeo. Erede di una grande fortuna costruita dal padre, Leland Stanford Senior, Senatore degli Stati Uniti, Governatore della California, baron robber in purezza: poi inconsolabile per la morte di quel figlio unico, figlio tanto atteso, cui destinare le fortune di casa.

Fortuna ferroviaria, la prima locomotiva della Pacific Union si intitolava “Governor Stanford”, poiché il Governatore aveva fondato la Southern Pacific Railroad (ma poi, a cascata, nei consigli di amministrazione di Wells Fargo, industrie, compagnie di battelli a vapore). Tutto questo toccava al figlio, compresa la vasta fattoria dove il padre allevava cavalli e vacche, diciassette chilometri quadrati in una zona famosa per le albicocche.
stanford university quando era facolta di agrariaSTANFORD UNIVERSITY QUANDO ERA FACOLTA DI AGRARIA


Ed è ancora chiamata “The Farm” questa augusta università che sforna talenti e start-up come nessun’altra (sessantaquattro premi Nobel, incubazioni tecnologiche infinite). Primipari attempati, gli Stanford: 44 anni lui, 40 la moglie Jane; poiché avevano perso il loro, avrebbero allora allevato in questi tremila ettari “tutti i figli della California”. La “farm” doveva essere inizialmente solo facoltà di agraria. Poi si estese ad altre materie, aprendo alle donne, soprattutto alla interazione tra vari studi, con laboratori e dipartimenti diversi uno attaccato all’altro, una novità per l’epoca.

stanford university in costruzioneSTANFORD UNIVERSITY IN COSTRUZIONE
Sonnecchiando però fino agli anni Quaranta, quando grazie alla seconda guerra mondiale diventa l’università tecnologica per eccellenza: il professor Frederick Terman, genere “Attimo fuggente” ma balistico, incoraggia gli studenti a brevettare e vendere le proprie invenzioni. Mette su un team di 800 studiosi per capire come funzionano i radar tedeschi.

Soprattutto inventa il modello universitario-militare-startupparo che è il segreto di Silicon Valley; i suoi allievi William Hewlett e David Packard mettono su una piccola compagnia chiamata HP (il garage oggi è monumento nazionale o almeno comunale, bisogna attraversare il vialone con le palme, prendere un Uber e arrivare fino a una sequela di villette basse con giardini perfettamente curati ed ecco la targa: “qui nacque Silicon Valley”).

Senza quella febbre tifoide, oggi la fattoria produrrebbe ancora albicocche, sarebbe stata magari espropriata, lottizzata, deprezzata, invece d’essere inestimabile come valori morali e immobiliari. E il computer l’avrebbero magari inventato sull’altra Costa, con cui si è sempre rivaleggiato. Invece basta uscire dal vialone tipo Champs Elysées però con palme che porta direttamente in paese, a Palo Alto, alle strade dei venture capital di Sand Hill, alla grande Brianza californiana tra accademia e fabbrichette.
stanford university e la silicon valleySTANFORD UNIVERSITY E LA SILICON VALLEY

Qui tutto intorno è tutto un fiorire di colossi (Google, Hp, Apple, Facebook), di futuri colossi (Tesla), ma anche “nomi importantissimi ma che nessuno conosce nel settore aerospaziale”, ci dice un illustre concittadino, il professor Marco Pavone, neanche quarantenne, docente qui di astronautica, da Catania: dirige il laboratorio di Sistemi autonomi, è stato premiato da Barack Obama come uno dei 100 scienziati più promettenti d’America.

Nel suo edificio di laboratori cartelli “basta col regime fascista di Trump e Pence!”, anche se Stanford non è mai stata gruppettara come Berkeley, l’altro grande ateneo della California del Nord. Il professore ha fatto il suo dottorato all’altrettanto prestigioso Mit, sull’altra costa. Però, spiega, “Stanford ha due vantaggi.
stanford universitySTANFORD UNIVERSITY 

Primo, qui c’è meno competizione. Non c’è l’idea che ognuno deve diventare un luminare nel suo campo, c’è più spirito di collaborazione. Non che gli studenti non siano ambiziosi, chiaro: ma l’obiettivo loro è fondare la nuova Google, e sanno che questo non si fa da soli”. “Secondo, è un’università e non un istituto di tecnologia; ci si può quindi confrontare così tra studenti di materie diverse e affrontare problemi sotto diversi aspetti: scienze politiche, economia, legge, filosofia, questo è importante soprattutto in un momento in cui l’ingegneria sta diventando sempre più centrale nella società”.

Auto senza conducente, droni, tutto qui si assembla, ma a Stanford c’è anche l’umanesimo. Pavone gestisce quindici collaboratori nel suo studio in cui si aggirano robot sperimentali (c’è anche una rete tipo campo da calcio perché i droni non volino via), e fa parte del Cars, il gruppo di ricerca di Stanford che collabora con le case produttrici studiando gli sviluppi dell’auto del futuro.

stanford universitySTANFORD UNIVERSITY
“Stanford è anche una delle università più ricche”, dice. L”’endowement', cioè il capitale o tesoretto, è di 22,4 miliardi di dollari”. Quando nacque, però, ci si trovò subito di fronte a problemi di bilancio; l’immensa ricchezza degli Stanford, calcolata in 1 miliardo attuale, non bastò, era il famoso passo più lungo della gamba di fronte a un’opera anche urbanisticamente colossale. Quando il fondatore muore (1893) l’impresa barcolla, va avanti la moglie con piglio da rezdora, completa il grandioso masterplan affidato al primario studio di archistar bostoniane Shepley, Rutan, and Coolidge, esperti di stazioni, biblioteche, uffici dei telefoni, con una monumentalità laterizia-celebrativa ispirata naturalmente ai rivali di Harvard.
steve jobs il discorso famoso di stanfordSTEVE JOBS IL DISCORSO FAMOSO DI STANFORD

Il risultato però è un villaggio tra il messicano e il Coppedé, con un romanico californiano che svetta con le palme e le Prius che sfrecciano. Arrivando da Palo Alto da questi campi elisi del microchip ecco una rotonda e poi la ciclopica entrata con arco a tutto sesto.  Ecco la Memorial Court con questi portici molto bassi e enorme arco neogotico un po' Neuschwanstein; mentre in un angolo un gruppo bronzeo di Rodin: e nelle vastissime aiuole rotonde svettano palme altissime.

In fondo, l'enorme chiesona eretta dai religiosissimi coniugi Stanford, cattolici romani, come culmine della memorialistica filiale: chiesona però un po’ romanica e un po’ bizantina tipo Santa Maria in Trastevere con facciata d'oro e figurine a girali d'acanto. Sopra, un'ultima cena molto pop, e al vertice un Gesù assai biondo, surfista, con le braccia aperte e dietro palme e montagne che pare Palm Springs.

Giù, la prima di tante lapidi, questa dedicata al giovine Stanford perito in Italia; dentro, invece, tanti omaggi lapidei dalla moglie al marito (1824- 1893) dietro la stessa colonna in caratteri dorati, alla vecchia suocera Elizabeth Stanford (1791-1873). Tra le finestre con scene del Vangelo opera della vetreria veneziana Salviati, sull’altare, un coro di mosaico dorato termale. La cappella è pronta nel 1903, dunque grandi inaugurazioni, ma dopo soli tre anni viene giù tutto col famoso terremoto.
graduation di stanfordGRADUATION DI STANFORD


Studenti morti, anche. La vedova Stanford non si perde d’animo e rifà però tutto coi vetri veneziani e il resto; il risultato è ancora più novecentesco e Disney; pianta a croce greca e due navatine laterali con sopra dei loggioni già da cinema-varietà.  Un pianoforte a coda col suo panno sopra. Scranni con microfoni incorporati. Alle pareti scolpite nella pietra iscrizioni di buon senso di casa Stanford (“la religione è una cosa molto importante nella vita di un ragazzo” con una font tipo Garamond). Nell’atrio il calendario annuncia fittissimi programmi di messe in “rito cattolico romano”. Una targa d’ottone nell’atrio ricorda i benefattori dell’ultimo terremoto, quello del 1989. Signore e signora Hewlett e Packard ovviamente in testa. Dentro, solo cinesi a farsi delle foto, e una sola famiglia di americani in canottiera, con un volpino nel passeggino.
graduation di stanfordGRADUATION DI STANFORD 


Fuori, le vie hanno tutte nomi latinos (Escondido, Duenas), lasciato questo surreale sagrato nel deserto agostano; sembra un labirinto di Fontanellato ideato da un seguace del Nome della Rosa. Le pietre e gli archetti nascondono centraline elettriche, depositi attrezzi, anche dei bellissimi bagni pubblici d’epoca fine Ottocento, con le piastrelline bianche e fughe nere e box di legno. Di fronte a tutta questa meraviglia, i soliti rimpianti: ah, perche non essere nati a Palo Alto, invece che a Brescia.


chelsea clinton si diploma a stanfordCHELSEA CLINTON SI DIPLOMA A STANFORD
Però “entrare a Stanford è molto difficile, il numero di ammessi è intorno al 4 per cento del totale” dice il professore. Devi essere miliardario? “No, quello no, anzi. E’ una delle più eque d’America. Quasi tutti gli studenti non pagano, le ammissioni vengono fatte indipendentemente dal reddito, se la famiglia guadagna fino a 125 mila dollari hai sia la retta che l’alloggio gratis”. “Stanford ha anche molti programmi per integrare studenti disagiati” dice il professore.

E nella patria del caro-immobiliare l’università prevede non solo l’alloggio gratuito (peraltro in queste bellissime palazzine di stile messicano-versiliano all’ombra delle palme). Per i docenti c’è anche la possibilità di una casa in Silicon Valley nelle enormi proprietà dell’accademia. “Ci sono mutui agevolati, soprattutto c’è questo sistema per cui il terreno del campus rimane di proprietà dell’ateneo, ma tu puoi comprare la casa con un lease di novantanove anni, come in Inghilterra” dice il professore. “In questo modo i prezzi vengono calmierati e si può vivere qui anche se non si è miliardari”.

STANFORD UNIVERSITYSTANFORD UNIVERSITY
E’ noto infatti che la terra e le case hanno prezzi micidiali qui intorno (7,5 milioni di dollari all’ettaro, tipo Brunello di Montalcino). Così, tenere i professori a chilometri zero è difficile.  “L’Università sta avendo problemi ultimamente a conservare i propri docenti, perché le aziende offrono stipendi molto più alti. E spesso comunque se scegli l’azienda non cambi veramente lavoro, vai a dirigere comunque un gruppo di ricerca, seppur in una startup o in una grande compagnia; è comunque ricerca, anche se più applicata. In certi settori come intelligenza artificiale, robotica, ci sono ancora pochi esperti e dunque sono profili molto competitivi: le aziende ti possono offrire anche un milione di dollari l’anno, e parliamo di uno studente di dottorato”, dice Pavone.

STANFORDSTANFORD

L’università è stata comunque ben frequentata fin dall’inizio: lo studente numero uno si chiama Herbert Hoover ed è l’eroe più celebrato di Stanford. Trentunesimo presidente degli Stati Uniti, gli è dedicato un memorial, oltre a una torre campanaria di 87 metri pinnata come un cofano Cadillac, che svetta sul campus (se non ci fosse la micidiale nebbia siliconvallica godrebbe della miglior vista della regione), al pianterreno tutti dei cimeli hooveriani, comprese le pagelle. Naturalmente, una storia stupenda.

steve jobs stanfordSTEVE JOBS STANFORD
Famiglia povera, dall'Iowa viene sulla costa ovest a fine Ottocento per la corsa all'oro, e si iscrive al primo giorno del primo anno di vita di quella università sconosciuta e però vicina a tutte le miniere, il 1 ottobre 1891. Nel 1895 è il primo laureato della scuola; tutti buoni voti tranne inglese, in cui continuerà per sempre a andare male.

Scriverà poi diversi manuali tra cui un “principles of mining”, farà i soldi, diventerà presidente, verrà commemorato. Ma soprattutto da amministratore dell’Università negli anni Venti rimetterà a posto per sempre i bilanci rendendola indipendente. I soldi sono evidenti ovunque, dalle golf car che sfrecciano al sistema di pullmini gratuiti elettrici (si chiamano “Marguerite”), con lo stemma verde della università, un grande pino, e portano ovunque, ai giardinieri che tosano e innaffiano senza tregua.

STANFORD FOOTBALLSTANFORD FOOTBALL
Nel mausoleo di Hoover oggi tra turisti stralunati una mostra celebra l’America nella Grande Guerra. I soldatini della Silicon Valley si sono battuti tanto anche per noi: l’ateneo perse 77 studenti in Europa; molti dei quali piloti, perché l’aviazione era una disciplina appena nata, e considerata molto cool: col risultato che non solo Stanford e Berkeley, ma anche i rivali di Harvard e le migliori università d'America perdono la loro meglio gioventù.

Le associazioni di signore di San Francisco spingono soprattutto i figli della California a combattere per la Francia. Ma Stanford, già all’avanguardia nel settore automobilistico, oltre a tutti i giovani tristi che qui si vedono in foto e diari di guerra, manda in Europa anche cinque ambulanze speciali: costruire sul telaio della Ford T.

2- Stanford University2- STANFORD UNIVERSITY
C’è anche tutta la comunicazione di massa coi poster: è il 1917, finora gli americani non s’erano mai sognati d’intervenire, soprattutto non esistevano Internet né tv, ecco allora i cartelloni come arma di informazione di massa, in attesa dei Facebook e twitter e fake news sempre qui a filiera corta.

Nasce lo zio Sam con il celebre “I want you for U.S. Army” prodotto nel 1917 e disegnato da James Montgomery Flagg con la sua stessa faccia (cinque milioni di esemplari). La posteristica di guerra non tralascia niente: “Da quale parte della finestra stai?” dice uno slogan con un signore dandy riluttante nel suo salotto e dietro i soldati in strada; Boy Scout d'America (“ti aiuteremo a vincere la guerra, papà”), donne (“every girl pulling for victory!”, una ragazza vestita alla marinara che rema verso il largo) e addirittura “Gee! Vorrei tanto essere uomo per entrare in Marina!” (e chissà cosa direbbero oggi le signore antisessiste della Valle, capitanate da Susan Fowler, ex ingegnera a Uber, che ha fatto dimettere il suo fondatore: naturalmente, anche lei ha studiato qui a Stanford).

domenica 27 agosto 2017

Terremoto al Colosseo

Laura Larcan per ''Il Messaggero''

Un terremoto di intensità devastante, i crolli, quella montagna di travertini ridotti in macerie, i lavori sulla piazza e la trasformazione in fortezza. E' la storia più inedita del Colosseo che ora riaffiora da strati di terra mista a marmi, frammenti di travertino, mattoni laterizi e ossa di animali.

COLOSSEO FORTEZZA FRANGIPANECOLOSSEO FORTEZZA FRANGIPANE
E' bastato scavare fino a quasi due metri di profondità per intercettare una serie di reperti che fanno luce su quella parabola cruciale dell'Anfiteatro Flavio, che coincide con la sua fatale decadenza, lontana ormai dai fasti imperiali e gladiatori che ne avevano fatto per cinque secoli la più grande macchina da spettacoli dell'antichità. Siamo di fronte alle tracce storiche di quel momento in cui il Colosseo perse la fronte meridionale, assumendo la fisionomia asimmetrica ormai entrata nell'immaginario collettivo.

Perché quello che stanno riportando alla luce gli archeologi dell'équipe della Soprintendenza del Mibact sono i resti delle porzioni di Colosseo crollate. Le prove sono tutte lì, nell'area di scavo esterna al monumento, oggi transennata, aperta sul lato della piazza verso il Celio, ai piedi della facciata Sud del Colosseo. Quello che diventa chiaro ora è che all'inizio dell'XI secolo (anno Mille) tutta la facciata meridionale del Colosseo non c'era più: crollata. I materiali, spiegano dagli uffici del Colosseo, sono ancora in corso di studio, ma ricostruiscono oggi l'esatta fase medievale di crollo ma anche di intervento davanti al monumento.

COLOSSEO FACCIATACOLOSSEO FACCIATA
Lo scavo ha riportato alla luce, infatti, fitti depositi di detriti che fanno pensare proprio ai lavori della famiglia dei Frangipane per sistemare l'esterno del Colosseo: «come se avessero spianato la montagna di detriti in modo da liberare lo spazio antistante, e ricavare la giusta visuale e l'accesso al palazzo fortezza costruito nel Colosseo», dicono gli archeologi. La presenza dei Frangipane è fatto noto.

LE DATE CORRETTE
Lo scorso marzo la direttrice del Colosseo Rossella Rea aveva annunciato la scoperta della ronda delle sentinelle dei Frangipane, il camminamento dei militari al servizio della fortezza della nobile famiglia romana, edificata nel monumento. Le nuove scoperte confermano quello che scrive Rossella Rea nel suo saggio appena pubblicato nel catalogo della mostra Colosseo, Icona: «Quando nell'847 un terremoto devastò Roma, quel che restava del fronte meridionale dell'Anfiteatro dovette cedere generando la cosiddetta coxa, ossia la montagna di travertini, le cui origini sono state finora ricondotte al sisma del 1349».
colosseoCOLOSSEO

La datazione va rivista, dunque. Come scrive la Rea: «La scoperta del cammino di ronda connesso ai Frangipane, insediatisi alla fine dell'XI secolo conferma che il camminamento prospettava su un'area libera da strutture». Quindi, macerie e detriti della facciata crollata erano stati ormai eliminati. Non solo.

Lo scavo ha restituito anche il cuore più autentico del Colosseo. Il lungo e gigantesco blocco di marmo che gli archeologi misurano con emozione è la sommità delle fondazioni originali del monumento (da immaginare come una grande ciambella marmorea profonda circa 14 metri): quella che appare oggi è parte superiore rivestita di uno strato spesso di malta su cui sono rimaste le impronte dei blocchi della pavimentazione di duemila anni fa. Poco più in là, ecco uno dei tanti condotti idraulici che all'epoca dei fasti smaltivano all'esterno le acque del Colosseo. E dagli sterri ecco spuntare i frammenti dei tripodi di marmo originali che puntellavano l'arena al servizio dei gladiatori, che contenevano la sabbia per detergere sudore e sangue. Se non è emozione questa.

I Borgia e le false notizie

1. MACCHÉ INCESTI E OMICIDI, I BORGIA ERANO PERBENE
monaldi e sorti i dubbi di salaiMONALDI E SORTI I DUBBI DI SALAI
Paolo Bianchi per ''Libero Quotidiano''

Secondo un vecchio proverbio "Nessun uomo è grande per il suo maggiordomo". Ogni essere umano è compresso nei propri limiti fisici, psichici, caratteriali. Anche i più grandi, quindi. Anche Leonardo da Vinci, per dire.

Leonardo a 36 anni cominciò a prendersi cura di un bambino, Giangiacomo Caprotti, poi soprannominato Salaì, contrazione di Saladino, uno scherzo per indicarne il carattere a dir poco irrequieto. Salaì, che lo stesso Leonardo nelle sue note manoscritte definì «ladro, bugiardo, ostinato, goloso», lo derubava e gli mentiva con impudenza, e tuttavia gli restò vicino per tutta la vita. Gli fu garzone di bottega, domestico, amico. Probabilmente dipinsero insieme.

Fra le opere della scuola leonardesca ve ne sono di attribuite a Salaì (vedi fra l' altro a Milano, alla Pinacoteca Ambrosiana).
Su questa figura è imperniato un libro tanto storicamente approfondito quanto gustoso da leggere, del duo Rita Monaldi e Francesco Sorti (di qui in poi Monaldi & Sorti). Secondo la tradizione consolidata del "manoscritto ritrovato", si immagina che appaia dalla biblioteca di una casa di riposo di Grugliate, una ricca mole di lettere inviate da Salaì da Roma, nel 1501, a un destinatario di Firenze del quale però mancano le risposte (e la cui identità si scopre alla fine).

monaldi e sortiMONALDI E SORTI
Lo stile delle missive è esilarante. Eccone un esempio: «quando me à adoctato a Fiorenza tutti ànno detto che me aveva preso perche io ero un jovanetto molto carino et asomigliavo ad Antinoo et lui me se voleva fare, anche perche me regala sempre un muchio de braciali anelli et altre cose belle, invece povereto Lionardo se è fidansato con la sciensa et l' arte sua et pensa solo a li dissegni suoi et a farsi li penzieri zozi davanti a li ritracti de femine che à dipincto opure davanti a lo spechio perche se crede molto bello, et è così che poi li vengono la tristeza et le ochiaie».

tacitoTACITO
Attenzione, però. A fianco dell' intento parodistico e comico del libro, anzi a suo fondamento, c' è l' imponente ricerca storica e bibliografica dei due autori. Oltre a umanizzare la figura di Leonardo (messo tra l' altro a indagare sull' omicidio di uno scrivano papale), gli autori si sono prefissi uno scopo molto ambizioso: far piazza pulita di svariate false notizie tramandatesi fino a oggi.

Fake news storiche. Innanzitutto: la "leggenda nera dei Borgia"(specie Lucrezia) a partire da Rodrigo, cioè papa Alessandro VI. Intrighi, incesti e avvelenamenti sono stati presi per buoni in quanto descritti nel diario di Johannes Burckard (Giovanni Burcardo), cerimoniere papale. Ma ci sono possibilità che il manoscritto sia un falso, in toto o per interpolazioni.

E nessuno ha tenuto in conto l' autorevole e monumentale ricerca dell' americano Peter De Roo (1924) che riabilita l' operato di Alessandro VI, vittima di luoghi comuni e iniziatore di un processo politico inviso ai potenti che in Germania speravano in un distacco dalla Chiesa, favorito dalla Riforma luterana.

lucrezia borgiaLUCREZIA BORGIA
Non solo ( altre clamorose fake news, secondo Monaldi & Sorti): l' umanesimo alsaziano, poi germanico, fino all' ideologia del Terzo Reich, poserebbe sul pilastro ideologico della Germania di Tacito, corposa opera del Primo secolo dopo Cristo che afferma l' esistenza di una "razza" germanica forte e pura contrapposta alla decadente stirpe romana. Ma pure sul manoscritto della Germania, affiorato nel XV secolo, ci sono forti dubbi. Le verità bibliografiche sono infestate dai falsari.

Ecco dunque che cosa abbiamo: un giallo storico posato su basi di rigorosa ricerca delle fonti; l' elaborazione di personaggi sia esistiti sia fantastici, inseriti nel loro contesto accuratamente ricostruito; uno stile beffardo e giocoso ricalcato sulla lingua maccheronica (alla Teofilo Folengo e Luigi Pulci); il sostegno a tesi non ortodosse, cioè la messa in dubbio di certezze conclamate, ma fondate su basi smentibili; intuizioni formulate in tempi non sospetti (questo libro è uscito per la prima volta in Olanda nel 2007, e, best seller, viene proposto nell' originaria lingua italiana ora).
alessandro sesto borgiaALESSANDRO SESTO BORGIA

Un esempio: secondo la testimonianza del Vasari, in Vaticano sarebbe esistito un dipinto del Pinturicchio in cui Alessandro VI si inchina a Gesù Bambino sorretto da una Madonna con il volto di Giulia Farnese, presunta amante papale. Nella mostra Pinturicchio pittore dei Borgia, in corso adesso a Roma, è esposto un frammento di quel dipinto, ma la Madonna ha il volto di tutte le altre Madonne del Pinturicchio. Insomma, i Borgia vittime del gossip e delle fake news, un po' come Belen che fuma in aereo.


2. I «FAKE»? STORIA (MOLTO) VECCHIA PAROLA DI MONALDI&SORTI...
Stefania Vitulli per 'il Giornale'

 Solo a leggere la lista dei comprimari del nuovo romanzo storico I dubbi di Salaì (Baldini&Castoldi, pagg. 400, euro 22; in uscita il 31 agosto) di Monaldi&Sorti, si può sbiancare: a parte Salaì medesimo, di cui tra poco vi daremo ragione e storia, troviamo Leonardo da Vinci, Papa Alessandro VI Borgia e suo nipote Cesare, Niccolò Copernico e pure l' altro Niccolò, Machiavelli.
cesare borgiaCESARE BORGIA

Sarebbe più che sufficiente, non fosse che tutti servono solo da sfondo a un ben più nutrito gruppo, che attraversa i secoli di storia della Germania. Intesa come il testo di Tacito, ovvero l' opera che affermava che i Germani sono moralmente e fisicamente superiori ai Romani corrotti e che appartengono a una razza pura. Proprio i principi che, dopo la rielaborazione avvenuta durante la Riforma, vennero poi accolti dal nazismo.

Ora, com' è possibile ficcare tutto questo in un magistrale intreccio condito con lazzi e frizzi picareschi e un io narrante dall' ortografia improbabile e dunque gustosissima? E com' è possibile che lo scopo non sia soltanto una doppia e tripla ricostruzione storica, ma soprattutto l' analisi della diffusione del «fake», a partire dalla falsificazione dei documenti storici e dei manoscritti greci e latini, passando attraverso umanesimo, crisi del potere della Chiesa, Riforma protestante, continuità tra mondo classico e ideologia nazista, scoperta dell' America e complottismo?

Ecco qui: intanto, I dubbi di Salaì è costruito come una raccolta di 68 lettere fittizie scritte appunto da Salaì, al secolo Giangiacomo Caprotti, nato a Oreno nel 1480 e morto a Milano nel 1524.

RITA MONALDI E FRANCESCO SORTIRITA MONALDI E FRANCESCO SORTI 
Pittore, apprendista e ragazzo di bottega di Leonardo da Vinci e suo figlio adottivo dall' età di 10 anni, Caprotti viene soprannominato da Leonardo «Salaì», cioè il feroce Saladino, per il suo carattere incontenibile. Questa voce narrante, attraverso le lettere, racconta in prima persona le sue peripezie a un anonimo corrispondente di Firenze (che alla fine si scoprirà essere Niccolò Machiavelli) a cui deve rendere conto della sua missione.

E le peripezie son talmente tante e intricate che Monaldi&Sorti partono con i dubbi di questo primo volume e proseguono poi con L' uovo di Salaì e La Riforma di Salaì in arrivo in primavera e autunno 2018: dal (vero) viaggio compiuto a Roma con Leonardo da Vinci nel 1501 si passerà per Firenze e poi per la Germania, fino alla misteriosa morte, dovuta a un colpo di archibugio sparato da ignoti.

RITA MONALDI E FRANCESCO SORTIRITA MONALDI E FRANCESCO SORTI 
Salaì dunque è un personaggio storico, mentre le sue lettere non sono mai esistite. Alla coppia letteraria però servono, eccome, per sbugiardare l' autenticità del libro madre di tutti i cult germanici, ovvero appunto la Germania. Rita Monaldi e Francesco Sorti, infatti - marito e moglie nella vita, ri-creatori del genere romanzo storico con titoli come Imprimatur e Dissimulatio seguendo le orme di filologi illustri, ammantano innanzitutto di sospetto il ritrovamento del testo di Tacito: nel 1455 ne arrivò in Italia l' unico manoscritto sopravvissuto al Medioevo e mentre Poggio Bracciolini lo pubblicò subito, il manoscritto originale scomparve.

monaldi e sorti i dubbi di salaiMONALDI E SORTI I DUBBI DI SALAI
E qui scattano i lazzi di Salaì: quando decifra l' etnografia di Tacito, sghignazza a più non posso per via dei travestimenti queer dei preti germanici, che leggevano il futuro nel vapore che sbuffava dalle froge dei loro cavalli; delle descrizioni dei Catti, simili a una mandria di mostri pelosi e di quella bevanda derivata dai cereali che Tacito fatica a chiamare «birra». Un Tacito, quello letto da Salaì, che fa sbellicare, ma che non si ritrova affatto nelle versioni puriste - o purgate? o false? che esaltano la lode della razza.

E allora i due autori-sbeffeggiatori ri-costruiscono intrigo a uso di intrigo: nei diari del cerimoniere papale Burcardo di Strasburgo vengono imputati al papa Borgia ultrasessantenne delitti e orge, balletti di prostitute in Vaticano, la nomea di avvelenatore e la paternità del suo stesso nipote. Ma proprio Burcardo era a Strasburgo un falsario di manoscritti e lo stesso suo diario sarebbe un falso.

monaldi e sortiMONALDI E SORTI 
E quindi anche il Tacito della Germania - che accusa i Romani corrotti - sarebbe stato costruito ad hoc per avallare l' idea di una Roma pontificia puttana di Babilonia dalla quale la Germania deve separarsi. Il cerchio pare chiudersi. Manca solo Leonardo: che c' entra in tutti questi fake e fakemaker? Il suo pecoreccio discepolo Salaì trasforma l' eroe kitsch di Dan Brown in un imbranato, che siccome non riesce a terminare nessun dipinto, copia, e pure male, le sue macchine da antichi manoscritti greci e si ritrova con aggeggi inservibili per l' eternità.
tacito la germaniaTACITO LA GERMANIA

Ammirevole per apparato critico, lungo apologo finale, linguaggio delle lettere, il primo volume di questa trilogia (già uscita in Olanda, dieci anni fa) conquista soprattutto per l' audacia della coppia di autori nel far crollare le costruzioni storiche, vacillare cattedre e mettere alla gogna le edizioni filologiche. Ma soprattutto nell' indicare al contemporaneo credulone digitalizzato quanti antenati analogici lo abbiano preceduto, quanto illustri siano stati e quanto liberatorio sia riderne persino per uno zotico, anche se il più grande genio universale lo chiama «Salaì».

sabato 26 agosto 2017

I Romanov

Andrea Velardi per Il Messaggero

ROMANOVROMANOV
Il successo delle fiction dedicate ai Tudor e i Borgia dimostra come le vicende delle dinastie reali conservano un fascino irresistibile che potremmo assimilare a banale morbosità, a fatuo desiderio di gossip travestito da passione per la storia. Ma anche lo sguardo dello studioso serio, come Simon Sebag Montefiore ne I Romanov 1613-1918, sa bene che la storia non si esaurisce in un catalogo arido di eventi solenni, ma è lo specchio imprevedibile della vita ribollente degli esseri umani.

E del resto non è Tolstòj ad avere dimostrato come la letteratura può raccontare meglio gli accadimenti storici propria a causa di una mimesi più interna, sviluppatasi dal cuore delle cose? Non sono i contenuti bassi del gossip a essere il problema, ma la loro fuga incontrollata senza riscontri documentari. Per questo I Romanov di Montefiore, uno dei massimi esperti di storia russa e sovietica, entra nei meandri morbosi, negli intrighi che spiegano il perdurare del potere, attingendo ai materiali inediti dell' ex Unione Sovietica, con un volume gremito di dignatari, ministri e cortigiani in un contraltare perfetto della anime morte di Gogol.

CALICE AVVELENATO 
Ecco allora i Romanov, una delle famiglie imperiali più potenti d' Europa, resa leggendaria dai tumulti della Rivoluzione comunista e dall' uccisione dell' ultimo zar Nicola II insieme alla famiglia e al piccolo Alessio, malato di emofilia. «Raramente un calice è stato tanto prezioso e tanto avvelenato».
ROMANOV RASPUTINROMANOV RASPUTIN

In un capitolo di traboccante commozione Montefiore intreccia in parallelo i destini opposti di Alessio e di Michele, i due zarevi agli antipodi dell' era Romanov in preda a sommovimenti analoghi. Michele sopravvissuto al periodo dei Torbidi, figlio del patriarca Filarete, divenuto monaco per ordine di Boris Godunov e deportato per anni in Polonia, diviene Zar a soli 17 anni nel 1613 inaugurando la dinastia con un regno in frantumi e un popolo nella disperazione dopo la disintegrazione successiva alla morte di Ivan il Terribile. Alessio invece soccombe.

Michele è in preda ad una vita di corte dai rituali grandiosi e tremendi. Per scegliere la sposa si svolge una vera e propria rassegna (smotriny) che dura giorni con varie selezioni oggetto di brogli e maneggi politici per far giungere le candidate alla fase finale cui partecipa lo Zar. La vince Marija Chlopova, figlia della media nobiltà la cui famiglia scalfisce il potere Michail Saltykov, nipote della madre dello zar detta suora Marta.
TESCHI ROMANOVTESCHI ROMANOV

Davanti agli svenimenti di Marija viene incaricato di prendersi cura di lei. Le fa somministrare farmaci che inducono a pensare che abbia nascosto una malattia incurabile e i Chlopov passano dal trono alla polvere in pochissimo tempo. E Michele perde la donna di cui è innamorato senza potere opporre alcun veto.

Montefiore offre un' analisi imperdibile della parabola della follia e arroganza del potere assoluto, della vita di corte con le sue regie e i suoi intrecci oscuri. I venti sovrani dei Romanov regnano per 304 anni, dal 1613 sotto il regno di Ivan il Terribile fino a quell' inizio del Novecento dove la presenza spettrale di Rasputin prepara il crollo nell' imperversare furia bolscevica.

Rasputin era fallicamente dotatoRASPUTIN ERA FALLICAMENTE DOTATO 
La storia di questa dinastia non si riduce alle sdolcinate leggende partorite da Hollywood su Anastasija, la quartogenita dello zar Nicola II, ma è un romanzo familiare e sociale pieno di colpi di scena, congiure di palazzo, voluttà di complotto, strategie delicate di successione, bramosie inconsulte di potere, rivalità, ambizioni spasmodiche, perversioni sessuali.

Una tregenda di faide e di esaltazione passionale si svolge attorno alla sacralità dell' autocrazia dello Zar tanto che Madame de Staël ironizza: «In Russia il governo è autocrazia temperata da strangolamenti». Si «avvelenavano spose, padri torturavano a morte i figli, figli uccidevano i padri, mogli assassinavano i mariti, barbieri e contadini acquisivano posizioni di dominio; c' erano imperatrici ninfomani e un imperatore che scriveva le lettere più erotiche mai uscite dalla penna di un capo di Stato».

L' AUDACIA 
Dopo Pietro il Grande e le due audaci e brillanti zarine Elisabetta e Caterina, con le loro corti di favoriti, Alessandro I respinge e incalza Napoleone fino a Parigi. Il granduca Costantino rinuncia ad un trono tanto pesante e lo scettro va a Nicola II, poi ad Alessandro II che teorizza la pace fuori con l' esercito e dentro con le riforme, come l' abolizione della servitù della gleba, che gli costa sei attentati.

ll mistico Raspuntin era ossessionato dal sessoLL MISTICO RASPUNTIN ERA OSSESSIONATO DAL SESSO 
Scandalizza tutti perché, alla morte della moglie, vuole fare imperatrice l' amante principessa Caterina Dolgorukova. Il suo assassinio il 13 marzo 1881 riporta in auge il patriottismo slavo, la fede ortodossa.

Alessandro III è il primo zar con barba e baffi, segno di appartenenza e devozione. Ossessionato dalla fine del padre rafforza l' autocrazia, muore troppo presto di reni a 49 anni. E il figlio Nicola singhiozza al suo capezzale, perché allo Zar di tutte le Russie è affidato un fardello troppo pesante. Nel mentre la grandezza dell' Impero e dell' esercito crescono, la cultura russa vive le sue massime espressioni con Pukin, Tolstoj, Dostoevskij, allo straordinario filosofo Vladimir Solov' ev e alla musica di Cajkovskij. Fino all' incombere del totalitarismo e dell' autocrazia diabolica e sanguinaria, dello zarismo oscuro di Stalin.

IL PANE

  Maurizio Di Fazio per il  “Fatto quotidiano”   STORIA DEL PANE. UN VIAGGIO DALL’ODISSEA ALLE GUERRE DEL XXI SECOLO Da Omero che ci eternò ...