APOCALISSE
di Alfredo Morosetti
Il contesto di fondo che abbraccia e regola la teologia islamica è quello dell’apocalisse. Nel linguaggio di senso comune, quello dell’europeo medio senza particolari studi alle spalle, apocalisse vuol dire essenzialmente disastro, catastrofe, crollo e rovina. Ma è un significato completamente errato, o meglio l’apocalisse porta con sé, necessariamente, il crollo, la fine, dell’esperienza abituale quotidiana, l’assurdo e abominevole non senso dell’esistenza così come essa si presenta ai nostri sensi. Tuttavia, apocalisse è una parola greca che significa disvelamento, è il giorno nel quale finalmente il mistero, dentro il quale la nostra ordinaria esperienza di vita si nasconde, si risolve e il nascosto si mostra. Il giorno dell’apocalisse è perciò anche quello del giudizio finale, quello in cui a ciascuno sarà dato il suo. Ogni cosa venuta all’esistenza sarà giudicata e ciascuna di esse avrà esattamente ciò che ha meritato, secondo l’infallibile giudizio di Dio. Il musulmano vive intensamente questa attesa e sa che deve operare affinché essa possa realizzarsi quanto prima, quando finalmente le antiche profezie si saranno avverate e il mondo, totalmente sottomesso all’islam, non avrà più ragione di durare nella sua forma ingannevole nella quale si presenta agli occhi della vita quale la conosciamo attraverso i sensi. Un sogno ingannevole, crudele, malevolo che sconvolge le anime nobili e rende i tristi sempre più smaniosi delle cose che li rendono tristi e bestiali.
In altre parole, non essendoci più ragione per il jihad, che è la vera missione del musulmano, non c’è neanche più ragione perché il mondo si presenti nella sua forma ingannevole e crudele.
Questo, nel suo concetto sintetico, il senso che spiega il vero e profondo scopo della vita, cioè del jihad. Arrivare, attraverso di essa alla verità finale, liberare tutti dall’inganno di quel miraggio che gli stupidi e i malvagi chiamano realtà, ossia la famosa grotta platonica, consentire ai giusti di ricongiungersi con Dio, far sprofondare per sempre nelle tenebre dell’inferno i nemici di Dio.
Se visitate qualunque grande cattedrale europea, vedrete sui suoi portali la riproduzione in pietra della profezia dell’Apocalisse e con essa la scena del Giudizio finale. Cristo sta in alto, ieratico e immobile in una inaccessibile severità di sguardo, nonostante che la Madonna e Pietro intercedano per la sua misericordia. Sotto, a destra per chi guarda, i diavoli si impadroniscono delle anime dei dannati e li precipitano nell’inferno. A sinistra, gli angeli indicano la via del cielo ai salvi. Particolare di non poco conto, i dannati e i diavoli sono completamente e oscenamente nudi, gli angeli e i salvi avvolti in una candida tunica (quello in foto, il portale della cattedrale di Amiens, la più grande di Francia, alla quale Ruskin dedicò un suo celebre volume).
Quindi nulla di cui preoccuparsi, anzi forse essere contenti, giacché a prima vista nessuna sostanziale differenza nel vedere le cose fra Cristiani e Musulmani. Forse anche giusto ringraziarli per provare a salvare l’Europa dal paganesimo ormai dilagante.
Ma c’è una differenza di fondo. Si dicono più o meno le stesse cose, ma in un significato completamente diverso. La redenzione del mondo sarà, per i musulmani, opera di un manipolo di santi e di martiri che, con la spada, imporranno al mondo intero di sottomettersi e non importerà se i sottomessi saranno sottomessi per timore e opportunismo, quando sarà poi Dio a giudicare della loro destinazione finale, in base al vero segreto che nascondono nel loro cuore. Ma, in ogni caso, la volontà di Dio sarà fatta da qualcuno in nome di tutti, piaccia o non piaccia loro.
La prospettiva cristiana è, invece, diametralmente opposta. Non c’è nessuno che può salvare nessuno. Non c’è il settimo cavalleria che arriva alla carica e salva gli assediati dietro l’anello dei carri dai diavoli scatenati. Chi si salva, lo può fare solo da sé, per un intimo e misterioso convincimento della anima. Come infatti si dice giustamente, nessuno nasce cristiano, ma qualcuno lo diventa. Non puoi dunque essere un apostata, se prima non hai deciso, di tua volontà, che Cristo è la verità, semplicemente perché nessun simbolo, nessun rito, certifica la tua vera appartenenza, solo il tuo cuore e forse neanche quello, sa chi veramente sei. Al contrario, l’idea dei fedeli, nel mondo musulmano è quella di un gregge dal quale nessuno ha diritto di uscire e il compito dei veri credenti quello di impedire a chiunque di scegliere la sua via personale.
E’ una differenza che spiega la grandezza della civiltà cristiana e fronte del conformismo devastante di quella musulmana.
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