venerdì 5 aprile 2024

IL SUCCESSO DELL'ISLAM

 Abū Sulaymān Muḥammad ibn Barhām al-Sijistāni chiamato anche al-Mantiqī, ossia "il Logico" (Sistan, ca. 932 – ca. 1000),uno dei massimi filosofi iraniani, autore di un celebre, “Vascello della sapienza”, una specie di storia della filosofia ante litteram, grande interprete di Aristotele e della sua logica, oltre che profondo conoscitore di tutte le filosofie neo-platoniche, da Plotino fino agli autori suoi contemporanei, sostenne che il Corano fosse totalmente “illogico”. Badate non falso, ma illogico, ovvero impenetrabile alla ragione umana. In poche parole tutte le sue affermazioni potevano essere credute solo per fede e per non prova o argomentazione perché si contraddicevano strutturalmente. Da ciò il concetto fondamentale della sua filosofia, ovvero l’inconciliabilità fra filosofia e teologia. Due ambiti distinti che operavano con linguaggi assolutamente intraducibili e perseguivano finalità assolutamente diverse. Ora è ben nota la potenza poetica del linguaggio del Corano e la storica fascinazione che il linguaggio evocativo poetico ha sempre avuto sugli Arabi, ossia su coloro che conoscevano col latte materno la lingua araba e per i quali una frase che aveva una un’intima e profonda sonorità poetica era considerata più vera del contenuto stesso che le si poteva attribuire e che peraltro, grazie anche alla plasticità semantica di questa lingua, poteva essere interpretato da più punti di vista. Dunque la forza del Corano e della religione islamica è stata per secoli totalmente connessa con la lingua araba. Senza di essa, cioè senza la “recita” pubblica del Corano (cioè la preghiera) non ci sarebbe stata l’unità politica e militare degli arabi e non ci sarebbe stata la conquista dei territori bizantini, dell’Africa latina, ma più ancora della Persia e delle immense steppe dell’Asia centrale e dell’India.

Però qui viene il bello, perché i convertiti, i milioni di convertiti, non parlano affatto arabo, al massimo lo parlano come l’inglese i pugliesi. Tuttavia recitano in arabo classico le preghiere. E’ esattamente come i contadini di cristiani di un tempo che recitavano in latino le preghiere. Anche se gli veniva detto il significato non erano in grado di coglierlo mentre recitavano questa o quella preghiera perché una lingua si conosce, la si può conoscere solo per intero e non per piccole stringhe separate le une dalle altre. Non conoscendo l’arabo, per conoscere il contenuto effettivo e esaustivo del Corano devono affidarsi alla traduzione nella loro lingua, ma così si perde il lato mistico e abbagliante dei rimandi poetici e rimane solo testo nella suo nudo ed esplicito contenuto letterale. Che, come disse più mille anni fa al-Sijistāni, è del tutto illogico. Allora come mai nella storia ha fatto milioni e milioni di proseliti e, oggi più che mai, sembra conquistare sempre più nuovi convertiti, persino fra i i freddi, razionalissimi, logicissimi europei e nord americani?
Proprio per il suo contenuto apertamente irrazionale che libera dall’irrazionalità del sapere puramente lineare e previsionale, ovvero il sapere dei bottegai che affligge l’uomo di scienza e di efficienza.

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