mercoledì 21 giugno 2017

Murat e il Cilento

Marco Nese-Corriere della Sera-Cultura
Il Cilento, uno degli angoli più belli del nostro Paese, incantava Gioacchino Murat. Nel 1814 il re di Napoli fece un viaggio attraverso i borghi cilentani e immaginava di trasformare quel territorio aspro di valli e burroni. A Palinuro osservò il promontorio che aveva sempre rappresentato un grosso pericolo per le imbarcazioni, a cominciare dal nocchiere di Enea, quel Palinuro che proprio lì annegò e dal quale ha preso nome il villaggio. 
Murat progettò di tagliare l’istmo delle saline e aprire un canale di circa 1500 metri per rendere la navigazione più sicura. Lo apprendiamo dal libro Viaggio nel Cilento, scritto nel 1882 dallo studioso pugliese Cosimo De Giorgi, che ora viene ripubblicato dall’editore Galzerano.
De Giorgi rivela anche un altro piano immaginato da Murat, il quale lo  avrebbe realizzato se, pochi mesi dopo, non fosse andato incontro a una tragica fine. Sulle alture dove sorge adesso Mercato Cilento, ogni sabato confluivano mercanti e contadini a vendere bestiame e prodotti agricoli. Murat pensava di abbattere tutte le costruzioni dei dintorni e trasformare il posto in una specie di grande centro commerciale, in grado di attirare operatori economici da ogni parte d’Italia.
Il suo sogno, diceva, era “spronare gli italiani del Nord e del Centro a visitare queste contrade, a promuovervi e magari a crearvi le industrie, ed a frenare l’emigrazione dei contadini”.
I cilentani affollavano navi dirette verso il Nord America.  Per tutto l’Ottocento fu una fuga continua. De Giorgi ne spiega le ragioni. I proprietari terrieri, i signori, vivevano lontano, in città, e affidavano il controllo dei latifondi ai fattori che vessavano i contadini, costretti a pagare l’affitto, le imposte municipali e a svolgere lavori massacranti che ad essi fruttavano solo le briciole. 
De Giorgi percorse montagne e valli del Cilento su incarico del Reale Corpo delle Miniere, allo scopo di tracciare una carta geologica di un’area che comprendeva buona parte della provincia di Salerno. Descrisse viottoli sconnessi, fiumi rovinosi, spaventosi precipizi. Ma la sua sensibilità di medico lo indusse a soffermarsi anche sull’umanità dolente che gli si presentava davanti. Nelle stradine acciottolate incontrava bambini scalzi, cenciosi, e molte donne sfiancate dalla fatica, costrette a far girare macine e caricarsi sul capo enormi pesi: “M’imbattei in una carovana di donne-vetture che trasportavano sulla testa delle grosse pietre di arenaria da costruzione dal vicino monte al paese. Oh, che scena straziante!”. 
La gran parte dei villaggi, sorti su burroni e aspre montagne erano difficili da raggiungere a causa dell’incuria di una borghesia pigra che mai si era preoccupata di realizzare una viabilità decente. 
Al tempo in cui De Giorgi scriveva erano passati vent’anni dall’Unità d’Italia.  All’inizio i contadini avevano sperato che l’arrivo del nuovo governo corrispondesse a un miglioramento delle loro condizioni, ma poi era subentrata la delusione. L’Unità d’Italia, invece di portare benefici, si era manifestata con il volto arcigno dell’esercito piemontese. Mentre già andava prendendo piede un’amministrazione inefficiente e rapace. 
Oggi le malattie sociali sono cambiate, ma il Cilento è ancora una terra splendida dalla quale si continua a fuggire.


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