Marco Nese - Corriere della Sera
Diceva che la voce di quel bambino echeggiava sempre nelle sue orecchie. “La sentivo soprattutto di notte, quando a volte non riuscivo a prendere sonno”, ha raccontato Nando Broglio. Fu l’ultima persona a parlare con Alfredino Rampi, quel piccolo sventurato che stava morendo a 60 metri di profondità nelle viscere della terra.
E adesso anche lui se n’è andato. Nando Broglio è morto a 77 anni in una clinica vicino Roma. L’ultimo testimone di quella tragedia che tenne per tre giorni e tre notti gli italiani davanti alla tv, commossi e speranzosi di assistere a un lieto fine.
Era il 10 giugno 1981 quando Alfredino precipitò in un pozzo artesiano a Vermicino, alla periferia della Capitale. Mentre si mettevano in moto i soccorsi, sorse il problema di tenere sveglio il bambino e fargli coraggio, dargli la speranza che presto lo avrebbero tirato fuori da quel budello spaventoso.
Fu allora che si fece avanti lui, Nando Broglio, vigile del fuoco, con la barba alla Bud Spencer, la faccia sofferta di chi sta vivendo una tragedia personale: “Sì, perché pensavo che poteva capitare a uno dei miei quattro figli”.
Broglio si accoccolò all’imboccatura del pozzo, fece calare una sonda con un microfono e avvicinò la bocca a un megafono. Cominciò così un colloquio durato 36 ore. Il vigile e il bambino. “Eccomi, sono Nando. Tranquillo, ti veniamo a prendere”.
Nando parlava, parlava, e Alfredino sembrava risollevato. Diceva che il suo sogno era di fare un giro sul camion dei pompieri. “Te lo prometto - lo rassicurò Nando -. Saliamo sul camion io e te e ce ne andiamo lungo le strade di Roma”.
Nel frattempo i tentativi di raggiungere il bambino non andavano a buon fine. Si pensò di scavare un canale parallelo. Alfredino sentiva il frastuono della trivella e voleva sapere cosa stava succedendo. “Ti veniamo a prendere - lo confortava Nando -, dici che sei appassionato di Mazinga Zeta. E’ lui con la sua ala rotante che lavora per venirti a prendere”.
Dopo più di ventiquattr’ore che Nando stava lì, a parlare in continuazione, con la faccia protesa verso il buio del pozzo, sentì la necessità di staccare per un attimo. Lo disse ad Alfredino: “Ti lascio per un po’. C’è qui un altro vigile, un amico, che ti terrà compagnia”.
Dal fondo del pozzo, la voce di Alfredino risuonò quasi disperata: “No, voglio parlare solo con te, non voglio un altro vigile”. Inutilmente Nando cercò di rabbonirlo: “E’ un amico che sta lavorando per venirti a prendere”.
“No, non te ne andare. Voglio solo te”. E allora Nando si piegò di nuovo e continuò a parlare. “Non so - ha raccontato in seguito - dove ho trovato la forza, come ho potuto rimanere sveglio e andare avanti con quel colloquio surreale. Non ricordo neanche bene cosa riuscivo a dirgli. Forse gli dicevo le stesse cose che dicevo ai miei figli quando avevano paura”.
Lui parlava e la voce del bambino rispondeva. Una voce sempre più debole. “Dimostrava una resistenza straordinaria - ricordava Nando -, ma dopo tre giorni, stremato, probabilmente ha perso conoscenza. Sentivo solo flebili lamenti. L’ultima cosa che sono riuscito a comprendere è stata che aveva tanto freddo”.
“Siamo venuti - disse un cronista - per assistere a un fatto di vita e abbiamo visto un fatto di morte”. Sul posto era accorso anche il presidente Pertini. E la Rai, seguendo per la prima volta in diretta quella scena dolorosa, l’aveva trasformata in una tragedia nazionale. Era nata “la tv del dolore”, qualcosa che ricordava il film L’asso nella manica.
Marco Nese
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