martedì 27 giugno 2017

David Lynch

Giuseppe Videtti per la Repubblica

Stringe gli occhi come un bimbo, l' espressione di chi si sta esplorando, non certo di uno che brancola - l' incarnato s' illumina, i tratti si distendono, i settantun anni si cancellano, non è più solo la pettinatura rockabilly a farlo ragazzo. David Lynch sta meditando con alcuni studenti e insegnanti e sponsor della Scuola IMT Alti Studi di Lucca nella Sala della sagrestia di San Francesco.

Ci sono fior di professori e rappresentanti di sette paesi (tra cui Cina e Turchia) impegnati in un' indagine scientifica sui benefici della tecnica della Meditazione Trascendentale riscoperta e adattata ai nostri tempi dal Maharishi (quello dei Beatles), di cui Lynch è da quarantaquattro anni infaticabile apostolo (ben più esposto di Clint Eastwood, il più longevo dei meditanti vip).


Più tardi, al Cinema Astra, è accolto da una moltitudine di ragazzi - talmente giovani! sembra di stare a un concerto di musica industrial - che hanno fatto una fila di ore sotto la canicola per assicurarsi un posto alla proiezione sul grande schermo dei primi due episodi di Twin Peaks, il ritorno della serie tv cult in onda ogni venerdì su Sky Atlantic HD.

C' è un tifo da stadio quando le musiche di Badalamenti si diffondono in sala, poi il silenzio, risucchiati dagli incubi che nessuno sa rappresentare meglio di lui; il racconto, solo apparentemente dispersivo, procede geometrico e minuzioso attraverso tutti i diversi stati di coscienza che il regista ha sperimentato con la meditazione. Una studentessa, avrà diciotto anni, lo segue con lo sguardo e mormora: «Chissà se si rende conto del potere che ha sulla gente». Ma Lynch insiste: l' orrore che rappresenta, da Eraserhead a Velluto blu a Twin Peaks non è un' estensione della sua personalità.

«Non c' è bisogno di soffrire per mostrare la sofferenza, di essere paranoici per dettagliare gli incubi », dice la mattina dopo nella tenuta di campagna dove si ristora ogni volta che viene in Toscana, come se le sconcertanti visioni del protagonista Dale Cooper (Kyle MacLachlan) non fossero frutto della sua sceneggiatura.

Perché ha aspettato tanto prima di girare il sequel di Twin Peaks che il mondo aspettava?
«Non è stata una strategia, semplicemente sono stato occupato in altre attività; quando le tue giornate sono piene il tempo vola. Non avevo dimenticato le parole di Laura Palmer, un personaggio che amo molto: "Ci vediamo tra venticinque anni". Eccoci».

Immagino avrà avuto delle pressioni incredibili per accelerare i tempi.
«Incredibile a dirsi ma le pressioni maggiori sono arrivate dal pubblico. I fan sono decuplicati, poi centuplicati negli anni. A un certo punto il desiderio è diventato irrinunciabile anche per me».

Quando si è reso conto che Twin Peaks stava diventando un culto tra i giovanissimi?
«Credo sia stato il potere del passaparola a favorire il contagio. I ragazzi che c' erano ieri alla proiezione non erano neanche nati quando girammo i primi episodi».

La cifra è rimasta la stessa, ma la nuova edizione dà spazio a un Lynch se possibile più visionario: esistenze che sterzano all' improvviso, inaspettatamente, paurosamente. Da dove arriva tutto questo?
«Dalle idee, senza non si fa nulla. Quando le idee arrivano, le vedo scorrere come su uno schermo televisivo incorporato nel cervello, le sento, posso assaporarne le sensazioni, scrutare i volti delle persone, il loro look, il modo di parlare. Annoto ogni cosa, poi quando è il momento di scrivere la sceneggiatura basta uno sguardo agli appunti e quelle idee riaffiorano. È un processo irrinunciabile, a volte veloce, altre lentissimo».

Da dove arrivano le idee? Dai sogni? Dalle intuizioni? Dal quotidiano?
«Non si sa, non c' è una regola. Lo dico sempre, desiderare un' idea è come mettere un' esca sull' amo. Ecco, l' amo cui abboccano le idee è il desiderio».

Qualcuno ha azzardato che Twin Peaks, a suo modo, è una soap opera, ma lei non sembra d' accordo.
«No! Twin Peaks incorpora diversi generi, soap, drammatico, commedia».

Il mondo dell' intrattenimento è profondamente cambiato negli ultimi vent' anni. Lei ne è ancora parte o preferisce considerarsi un outsider?
«Gli artisti che si esprimono in maniera personale sono comunque degli outsider, non fanno parte di una community né condividono il loro modus operandi, ora come allora. Sono cambiati i formati, il lungometraggio, il film comunemente inteso è decisamente in crisi. La nuova frontiera è la tv via cavo e la cosa non mi disarma perché ho sempre amato le storie che continuano. Cimentarmi in un film di diciotto ore anziché in uno di due è stimolante. Mi piace l'idea di una storia che possa andare avanti all' infinito».

La Meditazione Trascendentale è stata in qualche modo un antidoto alle molte insidie di Hollywood?
«Decisamente sì, perché è una tecnica che permette di conoscere il livello eterno della vita, quello della infinita conoscenza. Potenzia l' intelligenza illimitata, la creatività, la felicità, l' amore, la libertà, l' energia, la pace.

È la chiave d' accesso al tesoro che abbiamo dentro. L' illuminazione mette in fuga gli stress e le negatività dello star system. Non esiste cura migliore della MT per la tristezza, la depressione, la sofferenza, l' odio, la rabbia e la paura. La soluzione è dentro di noi, dobbiamo solo far entrare la luce ed eliminare la spazzatura. È il solo modo di trasformare il tormento dell' esistenza in un gioco, a quel punto vivere diventa divertente ».

Attraverso la meditazione aspiriamo alla nostra pace interiore e a quella del mondo, ma poi abbiamo Trump, le guerre fredde, i conflitti mediorientali, il terrorismo, il problema dei rifugiati e i cambiamenti climatici. Ce la faranno i discepoli del Maharishi impegnati nel Global Country of World Peace a far trionfare il buon senso?
«In realtà i problemi sono molti, molti di più di quelli che lei ha elencato. Il Maharishi usava la parabola dell' albero: non puoi giudicare il suo stato di salute da qualche foglia che diventa gialla e cade, il giardiniere accorto si prende cura anzitutto delle radici - cioè il livello più profondo, quello trascendente appunto.

I gruppi che lei ha menzionato sono vitali, perché lavorano per cambiare la coscienza collettiva eliminando le tensioni e le ansie, combattendo avidità e corruzione. L' anelito alla pace e all' armonia è dentro di noi, c' è sempre stato e ci sarà sempre, dobbiamo solo riportarlo in superficie».

Chi era David Lynch prima di praticare la Meditazione Trascendentale? Ne ha memoria?
«Oh sì! un uomo pieno di rabbia, non tanto depresso quanto preoccupato dal futuro, pessimista. Ricordo un episodio che risale all' epoca dei miei primi corti, ero seduto a un tavolo fissando il muro, preoccupato, quando qualcosa accadde dentro di me: avevo tutto il necessario, le apparecchiature, la location perfetta, avrei dovuto essere la persona più felice del mondo, ma lo ero solo in superficie, dentro ero vuoto, infelice. La Meditazione spazzò via tutte le incertezze in meno di una settimana. La mia prima moglie (Peggy Reavey) non riusciva a crederci.

"Dov' è finita la tua rabbia?", mi disse. Non avevo sufficienti cognizioni per risponderle che trascendere è un' esperienza olistica che impegna tutto il cervello».

Perché tanto amore per il film Il mago di Oz? È l' unico manifesto di cinema appeso nel suo studio di pittore.
«Mi affascina l' idea della ricerca della strada di casa».

Lei l' ha finalmente trovata?
«Sì, attraverso la Meditazione. Siamo scintille della fiamma divina, siamo usciti e ci siamo persi, e ci è piaciuto, ma sappiamo che il nostro obiettivo finale è trovare la strada di casa - il figliol prodigo torna sempre, e quando riappare si fa festa. Tornare a casa vuol dire illuminazione suprema, scoprire chi siamo davvero. È un meraviglioso viaggio da affrontare insieme, non importa di che religione siamo o qual è il colore della nostra pelle o che lavoro facciamo. La Meditazione Trascendentale è una tecnica a disposizione di tutti, facile, pratica. È scientificamente provato, funziona!».

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