domenica 18 giugno 2017

L'altra America

Camillo Langone - il Giornale
Mi piacciono i vecchi cattivi. Mi piace (prima non mi piaceva) Maurizio Costanzo, da quando in una magnifica intervista ha detto che Riina deve crepare in carcere. 

Mi piace tantissimo Riccardo Ruggeri, classe 1934, che nel suo America. Un romanzo gotico (Marsilio) si scaglia contro le decadenti e saccenti élite occidentali, politiche, economiche, mediatiche, con una libertà mentale che non trovo in commentatori dell'età dei suoi figli se non dei suoi nipoti. Il multiculturalismo è «bieco», il politicamente corretto «una moda idiota», i premi Nobel dell'economia «tronfi e inutili», i Ceo della Silicon Valley «turpi»... Il bello è che l'attacco virulento a ciò che nel libro viene definito Ceo-capitalism non viene da un Alessandro Di Battista, da un comunistoide, da un descamisado, ma da un antico liberale che rimpiange Luigi Einaudi e che è stato proprio Ceo, amministratore delegato, per giunta di una grossa azienda con sede negli Usa (la New Holland, trattori e macchine movimento terra). Pertanto la sua è un'informatissima critica dall'interno, qualcosa di simile all'opera di Tom Wolfe che degli aborriti radical chic era vicino di casa, collega di salotto. La somiglianza è perfino stilistica e onestamente Ruggeri dichiara il proprio debito nei confronti di Hunter Thompson, che di Wolfe si potrebbe considerare il fratello minore e scapestrato.
Conobbe l'autore di Paura e disgusto a Las Vegas di persona, nel 1982: «Era un grande individualista, un grande scrittore, un lucido giornalista, un patriota, un antistatalista, un uomo di sinistra che amava gli operai e disprezzava i liberal». Anche Ruggeri ama gli operai: lo era suo padre, lo fu lui stesso, da ragazzo, prima di salire su un ascensore sociale che oggi si è rotto o forse no, si muove ancora, ma solo verso il basso. Ruggeri ama l'industria, le fabbriche, il vecchio sano capitalismo della produzione reale che contrappone al capitalismo irresponsabile delle banche d'affari e di internet, animato da «squallidi alto-borghesi (tutti laureati, con master anglosassoni), all'apparenza educati, gentili che, con mascherata supponenza, portano avanti il disegno di trasformarci in androidi, sostituendo la dieta carnea con quella vegana, la prolificità con l'aborto, la sacralità della vita con l'eutanasia, la libertà di pensiero con la schiavitù intellettuale, la dignità del lavoro con miserabili consumi».
Cattivissimo, l'avevo detto, e pertanto quello che ci vuole contro la dittatura dei carini, degli «implacabili finti paladini delle buone cause, con il vezzo di definire xenofobo, omofobo, subumano e populista chi non la pensa come loro». Si sarà capito che Ruggeri non parteggiava per Hillary Clinton, di cui denuncia la corruzione, l'asservimento alla finanza e la totale inettitudine nella gestione degli affari di Stato, Libia in primis. Viceversa è un simpatizzante se non proprio di Trump dei suoi elettori, dell'America profonda, della Bible e della Rust Belt, degli Stati interni già manifatturieri e ancora religiosi, di una middle-class bianca impoverita dalla globalizzazione e inorridita dalla amoralità californiana e newyorchese. La vittoria del magnate dal ciuffo giallo se non altro è servita per liberare l'America e in qualche misura il mondo da «tre orrende famiglie politiche, i Clinton, i Bush, gli Obama».
Sì, anche dei Bush, altrettanto establishment agli occhi del vecchio eppur vivacissimo osservatore.
Quando un professore è severo gli studenti somari lo definiscono cattivo: il professor Ruggeri è dunque cattivissimo, bocciando tutti i presidenti successivi a Reagan e almeno uno dei precedenti, l'intoccabile Kennedy. Se credete ancora in quella vecchia mitologia risparmiatevi il prossimo virgolettato, potrebbe traumatizzarvi: «La vittoria di Kennedy su Nixon arrivò da Chicago, con il combinato disposto di: a) truffe nei seggi perpetrate dal sindaco democratico Richard J. Daley, amico e losca protesi di suo padre, il turpe Joseph P. Kennedy (migliaia di morti uscirono dalle tombe, votarono JFK, e rientrarono per sempre nell'Ade); b) pacchetti di voti portati da ambienti sindacal-mafiosi legati a Bob Kennedy».
In questo suo onnivoro, rabdomantico viaggio in America, Ruggeri osserva tutto, si interessa di tutto, legge il futuro statunitense e nostro nei menù dei ristoranti così come nelle mostre d'arte e quest'ultima frequentazione spiega il sottotitolo Romanzo gotico per un libro che non è un romanzo e non rimanda alla letteratura horror del Settecento inglese: nelle sue pagine ricorre il celeberrimo quadro di Grant Wood col contadino arcigno che impugna il forcone affiancato dalla figlia arcigna pure lei, per l'appunto intitolato American gothic. A Ruggeri piace quel quadro, piace quell'America conservatrice, e soprattutto piace quell'appuntito forcone.

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