giovedì 29 giugno 2017

Anima e tecnologia

Elena Dusi per “la Repubblica”

«La tecnologia corre e ci propone nuovi mezzi con una velocità che la teologia e gli altri canali della conoscenza umana non riescono a seguire». Il cardinale Gianfranco Ravasi, 74 anni, teologo, biblista, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, non è però uomo che si dia per vinto. Con il "Cortile dei Gentili" e il "Tavolo permanente per il dialogo fra scienza e religione" sta cercando "alleati" fra coloro che hanno ancora fiducia nell'uomo e nel suo pensiero. «Atei, scienziati, persino chi ancora crede nelle ideologie. Non è più tempo di contrapposizioni ma di dialogo». Nell' ultimo incontro del "Tavolo" si è parlato di intelligenza artificiale e del rapporto fra umani e umanoidi.

Perché questo dialogo fra fede e scienza?
«Religione e scienza sono spesso considerati magisteri indipendenti, due rette parallele. E dal punto di vista del metodo è giusto che sia così. Ma condividono lo stesso soggetto e lo stesso oggetto. Non possono non incontrarsi, prima o poi».

Scienza e fede sono due tonalità di una stessa musica?
«La conoscenza del mondo da parte dell'uomo avviene attraverso molti canali: la scienza e la razionalità, ma anche la teologia, l'estetica, l'amore, l'arte, il gioco, il simbolismo, che è poi il primo modo di conoscere che abbiamo da bambini. Perderli o semplificarli vuol dire impoverirsi. E purtroppo è quello che sta avvenendo oggi».

Per colpa della scienza?
«No, per colpa dell' ignoranza. Stiamo vivendo una globalizzazione della cultura contemporanea dominata solo dalla tecnica o dalla pura pratica. C' è, ad esempio, una sovrapproduzione di gadget tecnologici di fronte alla quale non riusciamo a elaborare un atteggiamento critico equilibrato. Ci ritroviamo in un' epoca di bulimia dei mezzi e atrofia dei fini. La formazione scolastica e universitaria si occupa troppo poco degli aspetti relativi all' antropologia generale. Così, l'insegnamento di arte, letteratura, greco e latino, filosofia viene progressivamente ridotto».

Con quali conseguenze?
«Ci ritroviamo spesso appiattiti, schiacciati su un' unica dimensione. Un certo uso della scienza e della tecnologia hanno prodotto in noi un cambiamento che non è solo di superficie. Se imparo a creare robot con qualità umane molto marcate, se sviluppo un' intelligenza artificiale, se intervengo in maniera sostanziale sul sistema nervoso, non sto solo facendo un grande passo avanti tecnologico, in molti casi prezioso a livello terapeutico medico. Sto compiendo anche un vero e proprio salto antropologico, che tocca questioni come libertà, responsabilità, colpa, coscienza e se vogliamo anima».

La scienza corre troppo?
«Non tanto la scienza, quanto la tecnologia: corre e ci propone nuovi mezzi con una velocità che la teologia e gli altri canali della conoscenza umana non riescono a seguire. Per questa via si può finire in una civiltà mediatica e digitale che sta diventando totalizzante. Parliamo di transumanesimo come una delle paure del futuro, ma per certi versi è già iniziato.

I nativi digitali sono funzionalmente diversi rispetto agli uomini del passato. Capovolgono spesso sia il rapporto fra reale e virtuale, sia il modo tradizionale di considerare vero e falso. È come se si ritrovassero dentro a un videogioco. Inoltre, l' uomo, che è sempre stato un contemplatore e custode della natura, oggi è diventato una sorta di con-creatore.
La biologia sintetica, la creazione di virus e batteri che in natura non esistono sono un' espressione di questa tendenza. Tutte queste operazioni hanno implicazioni etiche e culturali che devono essere considerate».

Scienza e fede come possono collaborare?
«Fra spiritualità e razionalità, tra fede e scienza, può instaurarsi una tensione creativa. Diceva Giovanni Paolo II che la scienza purifica la religione dalla superstizione e la religione purifica la scienza dall' idolatria e dai falsi assoluti».

L'ecologia è un altro terreno di incontro?
«Gli accordi di Parigi sono ora in difficoltà. Anche molti "laici" si riconoscono invece nella Laudato si' di papa Francesco, che mi pare stia diventando il punto di riferimento della questione ecologica. D' altronde è scritto nei primi passi della Genesi che Dio ha affidato la Terra all' uomo per "coltivarla" ma anche per "custodirla"».

I suoi incontri con i laici ormai proseguono da qualche anno. Qual è il suo bilancio?
«Il fondatore del cristianesimo, Gesù di Nazaret, era un laico, non un sacerdote ebraico.
Egli non ha esitato a formulare un principio capitale: "Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". La contrapposizione fra clericali e anticlericali ormai è sorpassata. Alcuni aspetti della laicità ci accomunano tutti e la teologia ha smesso da tempo di considerare la filosofia e la scienza solo come sue ancelle. I problemi piuttosto sono altri.

Semplificazione, indifferenza, banalità, superficialità, stereotipi, luoghi comuni. Una metafora del filosofo Kierkegaard mi sembra adatta ai tempi di oggi: la nave è finita in mano al cuoco di bordo e ciò che dice il comandante con il suo megafono non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani. È indispensabile riproporre da parte di credenti e non credenti, i grandi valori culturali, spirituali, etici come shock positivo contro la superficialità ora che stiamo vivendo una svolta antropologica e culturale complessa e problematica, ma sicuramente anche esaltante».

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