Arturo Carlo Quintavalle per “La Lettura - Corriere della Sera”
Si coglie a Roma, dagli anni '50 ai tardi '60 del Settecento, uno strano intreccio di modelli e di idee che riguardano il nostro fare storia e il nostro rapporto con l' antico. Ecco dunque il confronto fra un tedesco, Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), storico, anzi inventore del come far storia dell' antichità, un altro tedesco, Anton Raphael Mengs (1728-1779), protagonista della pittura accademica che evoca l' antico, e Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), l' appassionato evocatore, l' archeologo di un mondo romano crollante, frammentato ma non scomparso.
Introducendo la sua Storia dell' arte nell' antichità nel 1763 Winckelmann scrive: «Annunzio al pubblico un' opera in lingua italiana che, stampata a mie spese, apparirà a Roma in folio grande nella prossima primavera. È questa un' illustrazione di monumenti antichi di ogni genere, mai resi noti, soprattutto bassorilievi marmorei Grazie a questi monumenti il regno dell' arte ha allargato i propri orizzonti più di quanto sia precedentemente accaduto; in essi compaiono idee e immagini del tutto sconosciute, che in parte sono andate perdute anche nelle notizie lasciateci dagli antichi».
L' opera I monumenti antichi inediti , che in realtà viene edita nel 1767 e realizzata da disegnatori diversi «si compone - scrive sempre nel 1763 - di duecento e più incisioni in rame merito del più grande disegnatore di Roma, il signor Giovanni Casanova disegni ammirabili per esattezza, gusto e conoscenza dell' antico».
Storia complessa quella di Winckelmann, figlio di un calzolaio e nato a Stendal (Altmark) nel 1717, bibliotecario a Dresda del conte Heinrich von Bünau nel 1754, a Roma al seguito del cardinale nunzio di Polonia Alberico Archinto nel 1755, quindi bibliotecario del cardinale Alessandro Albani nella villa sulla Salaria ricca di pezzi antichi.
Chi scrive sul mondo antico deve correlare i testi del passato alle opere che si collezionano nei palazzi dei cardinali o nelle botteghe degli antiquari che comprano per le raccolte di mezza Europa. Per questo il disegno è importante: interpretare, scoprire i soggetti delle sculture o delle pitture, dei vasi o dei gioielli vuol dire correlare memorie e figure ma, per farlo, serve un disegno particolare. In tutti i grandi fogli dei Monumenti antichi inediti (in mostra a Chiasso dal 5 febbraio, e poi a Napoli da giugno a settembre) vediamo un segno di contorno preciso, un raffinato chiaroscuro che è precisa scelta di stile e contrappone Raffaello e la sua scuola alla «grazia», quella di Correggio o del Barocci. Lo spiega nell' introduzione all' opera lo stesso Winckelmann:
«Mettasi in paragone un disegno di Raffaello, d' Andrea del Sarto o di Leonardo da Vinci, che sono i maestri della purità, e dell' esattezza dei contorni, con alcuni dei disegni dei Correggio, di Guido (Reni) e d' Albani, e tosto si comprenderà esser nell' arte più di una grazia. Raffaello, il del Sarto e il da Vinci sono i Fidia, i Policleti e i Polignoti», insomma sono loro che propongono l' immagine più alta del classico.
Mengs, l' amico che ritrae Winckelmann nel 1755 (dipinto ora al Metropolitan di New York), evoca l' antico e insieme Raffaello scegliendo una costruzione proporzionata dei corpi, una bellezza assoluta. L' archeologo scrive, nella sua Storia dell' arte nell' antichità : «Il compendio di tutta la bellezza delle figure degli antichi che sono state descritte si trova nelle opere immortali del signor Antonio Raffaello Mengs primo pittore di corte dei re di Spagna e di Polonia, il più grande artista del suo tempo e forse anche dei tempi che verranno».
Ma se il bello è idea dell' assoluto, che si esprime con un segno di contorno preciso, come si può fare storia? Winckelmann, nella sua opera del 1763, costruisce un racconto dove, come prima Giorgio Vasari nelle Vite , si comincia dalle origini, dall' Egitto, dai Fenici, dagli Etruschi per culminare con l' arte greca classica alla quale segue una progressiva decadenza, quella dell' arte romana del tardo impero.
Una volta compreso il nesso fra le singole arti e le diverse culture dei popoli bisogna sempre distinguere distinti tipi di bellezza; scrive dunque Winckelmann nella introduzione al volume del 1767: «La bellezza è di due specie, individuata e ideale; la prima è un complesso delle belle forme d' un individuo, e la seconda un estratto di essa presa da più individui; dicesi poi ideale non rispetto alle parti, ma al totale, in cui la natura può essere superata dall' arte Animati da questo istinto e con questi princìpi di religione, andarono in cerca gli artefici antichi delle parti più atte a comporre il bello, con veder nuda questa e quella persona:
i ginnasi della Grecia, ov' esercitavasi la più bella gioventù, dieder loro largo campo di fecondare l' immaginazione Impossessatisi di tante idee di bellezza vedute in questo e quell' individuo, divennero gli artefici quasi nuovi creatori queste figure ideali sono, come uno spirito etereo purificato dal fuoco, spogliate d' ogni debolezza umana».
Dunque il bello, l' assoluto, si raggiunge ricomponendo forme tratte dalla realtà dei corpi ma, per fare questo, serve scegliere una grafia, una scrittura precisa.
Così Winckelmann respinge la scultura e il disegno barocco, in particolare quello di Gian Lorenzo Bernini, e punta sulla tradizione di Raffaello riletta attraverso l' Accademia. Si spiega così la uniformità voluta, ricercata, di queste immagini dei Monumenti che appaiono ridotte a un unico stile, a una sola, uniforme trascrizione. E qui non si notano, perché le figure sono come isolate dal contesto e suturate le mancanze, le ferite del tempo: lo scopo è il recupero di un «monumento» del passato nella sua ideale, riscoperta unità.
La funzione dello storico dell' arte è dunque, per il tedesco, molto chiara: si devono collegare le immagini ai testi, si devono scoprire i soggetti delle opere ritrovando, nella realtà dei rilievi, dei vasi, dei dipinti, dei gioielli, i temi descritti dagli storici, dai poeti antichi. Nel 1766 esce di Gotthold Ephraim Lessing Il Laocoonte: dei limiti della pittura e della poesia che distingue la poesia come arte del tempo, dell' azione, della durata, da pittura, scultura, architettura che sono arti dello spazio, dunque della stasi. Per Winckelmann una lettura non accettabile, lui che vedeva il dramma delle espressioni, degli affetti, il movimento, nel grande gruppo del Laocoonte scoperto nel 1506 e modello per Michelangelo, e contemplava il «sublime» nell' Apollo del Belvedere .
Chiudendo la sua grande Storia (1763) Winckelmann si confessa : «Come la donna amata che dalla riva del mare segue con gli occhi colmi di pianto l' amato che si allontana, senza speranza di rivederlo anche a me, come alla donna amata, resta solo l' ombra dell' oggetto dei miei desideri; ma tanto più forte è la nostalgia che essa risveglia dell' oggetto perduto, per cui io osservo le copie degli originali con maggiore attenzione di quanto farei se fossi in pieno possesso di quelli». Dunque lo studioso sa bene che l' antica Grecia è per lui lontana, intravista, intuita attraverso le copie romane delle sculture.
Proprio accanto a lui un grande storico, un geniale inventore di immagini, Giovanni Battista Piranesi, racconta, con le splendide incisioni de Le antichità romane (1756), la realtà dei monumenti, la loro decadenza, ma insieme la loro immanente presenza. Da una parte il sogno della perfezione, il mito di un mondo classico perduto, dall' altra il vero della storia.
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