Giordano Bruno Guerri - Il Giornale
A voler fare dello spirito (del tutto fuori luogo), potremmo chiamarlo «La Grande Trumpaglia». Come ogni muro posto a separare gli Stati o i popoli, quello annunciato dal nuovo presidente degli Stati Uniti - in realtà un prolungamento dell'esistente- ne richiama subito altri due.
Prima la Grande Muraglia Cinese, appunto, la ciclopica opera costruita, nel III secolo a.C., sotto il regno di Chin Shih-Huang-Ti per proteggere i confini settentrionali dalle tribù mongole. Lunga oltre 8.000 chilometri, alta dai 4,5 ai 12 metri, larga anche 9,5 metri, collegava fortezze inattaccabili.
Il secondo è il Muro per eccellenza, quello che molti di noi ricordano integro, in piena funzione, e al quale mi onoro di avere dato qualche picconata, né astratta né teorica. Detto anche Muro della Vergogna, lo costruirono in una notte d'agosto del 1961 i sovietici e i comunisti della Germania orientale dividendo in due Berlino: non per difendersi da un'invasione, ma per impedire ai tedeschi sovietizzati a forza di evadere verso la libertà. Quale ne sia il motivo, il muro-prigione, suscita sempre una repulsione istintiva più del muro-sbarramento. A Berlino molti furono uccisi mentre cercavano di superarlo, quel carcere lungo 156 chilometri, altri ce la fecero, i più rimasero ingabbiati, ma il mostro di cemento non riuscì a svolgere la sua funzione, la funzione di tutti i suoi simili, ovvero tenere separato per sempre chi si trova di qua da chi si trova di là. Se a Berlino il muro cadde perché crollò l'intero sistema sovietico, la Grande Muraglia impedì, sì, un'invasione militare mongola, ma non che i mongoli e gli altri popoli nomadi della steppa la superassero a piccoli gruppi, sempre più spesso, finché le due culture si assimilarono reciprocamente. È quello che accadrà al muro di Trump: impedirà l'arrivo negli Stati Uniti di altri milioni di disoccupati e sbandati messicani ma nell'epoca di internet non potrà impedire che la società americana si ispanizzi. E viceversa. Accadde anche con il primo Muro della storia, quel Vallo di Adriano messo dai romani a separare la Britannia conquistata da quella ancora in mano ai fieri e combattivi pitti e scoti. E se lo ricordiamo oggi è per la saga fantasy creata da George R. R. Martin cui è ispirata la serie TV Il Trono di Spade. Insomma, chi di muri ferisce, di etere perisce. Il Vallo di Adriano, costruito nella prima metà del II secolo d. C., passa per essere il più antico della storia, ma soltanto perché anche quelli più robusti si sgretolano, e noi siamo ignoranti. I primi muri, brevi quanto sanguinosamente difesi, furono certamente costruiti in epoca preistorica, per difendere una gola, un guado, un passo, da un'altra tribù. Tale è l'animo dell'uomo, cui mancano soltanto materiali e tecnica per costruire barriere insormontabili e definitive. Nel 1999 è stato scoperto, a 200 chilometri a sudest del Mar Caspio, un grande muro lungo chilometri, ancora in fase di scavo. Veniva chiamato Il Serpente Rosso, per il colore dei suoi mattoni, era lungo 195 chilometri, largo fino a 10 e serviva a proteggere una regione fertile e ricca di acqua dalle scorribande di degli Unni bianchi. Protetto da fortezze e da 36mila soldati, incuteva timore anche a Gengis Khan. Il tempo che ci separa da queste opere ce le fa apparire magnifiche. La vicinanza geografica e temporale di quelle più recenti o in corso, ce le mostra semplicemente orribili, e anche soltanto i loro nomi e la loro collocazione fanno paura, prima ancora della funzione e dei materiali con i quali sono costruiti. Ne ricordiamo qualcuno. La linea di demarcazione militare fra le due Coree e la Linea di controllo del Kashmir, fra India e Pakistan, che almeno hanno una giustificazione militare e non riescono a sembrare un anacronismo neanche in tempi di missili. Le barriere di separazione tra Israele e Territori palestinesi, che si infrangono contro gli attentati kamikaze. La «Linea Verde» di Cipro, che taglia in due un'isola più piccola della Sicilia e della Sardegna. Le Peace Lines che nell'Irlanda del nord separano cattolici da protestanti. Sono ancora più vicini a noi i muri che circondano Ceuta e Melilla, le città spagnole del Nordafrica, per impedire l'accesso ai marocchini. Potremmo proseguire a lungo, con molti altri esempi realizzati o in costruzione, arrivando perfino al muro di sabbia che dal 1982 divide in due il Sahara Occidentale per difendere dai guerriglieri del Fronte Polisario il ricco territorio occupato dal Marocco neanche mezzo secolo fa: un muro di sabbia secca di oltre 2.700 chilometri, con otto fortezze e un'altezza che va da 1 a 30 metri. Ognuno ha le sue giustificazioni ma, mondo cosiddetto globalizzato, quei muri ricordano l'immagine di un uomo che, tenendo il telefonino fermo tra spalla e orecchio, si china per allacciare un oggetto primitivo come le stringhe delle scarpe.
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