mercoledì 25 gennaio 2017

La crociata dei litigiosi


Paolo Mieli - Corriere della Sera

Nel 1289 Papa Niccolò IV lanciò un estremo appello per un intervento militare in Terrasanta. O, quanto meno, per il sostegno alle ultime città che resistevano ai musulmani. Con un sottile distinguo tra «crociata-istituzione» e «crociata-movimento» (queste ultime, quelle a più convinta partecipa- zione popolare), Antonio Musarra nell’accurato studio Acri 1291. La caduta degli Stati crociati (il Mulino), riesce ad annoverare tra le crociate anche quella di Papa Masci. Le crociate nel Due- cento avevano subito un «processo di istituzio- nalizzazione», erano divenute «uno strumento di pressione — politica, giuridica e fiscale — nelle mani del papato, che non esitava a farne largo uso sia contro i propri oppositori, sia con- tro i nemici della fede, fossero essi eretici, pa- gani o saraceni».
Ma quella del 1289 — che in senso proprio non può certo essere definita una crociata — faceva leva su quel «senso di partecipazione co- rale all’impresa d’Oltremare» che era ancora in grado di mobilitare migliaia di italici. Benché anche quell’esercito composto da alcune mi- gliaia di uomini annoverasse parecchi profes- sionisti della guerra, «si era ben lungi dalla cre- azione di un corpo di mercenari». Partecipava- no invece molti contadini, persone semplici, oltretutto in un periodo in cui sarebbe stato possibile lucrare le indulgenze in modi più ac- cessibili che non comportavano l’attraversa- mento del Mediterraneo: ad esempio combat- tendo per il Papa in Sicilia.
Si capì, in quell’occasione, che impugnare le armi per Gerusalemme, scrive Musarra, «rap- presentava ancora qualcosa per cui valeva la pe- na vivere, amare e soffrire», e di ciò «si sarebbe- ro presto avvertite le conseguenze». Anche se l’impresa non fu di giovamento per quella che dopo la perdita di Gerusalemme era diventata la capitale dell’Outremer. Quella spedizione non aiutò Acri che dal 1104 per quasi due secoli (eccezion fatta per la breve parentesi di Salah al-Din, tra il 1187 e il 1191) era stata uno dei prin- cipali capisaldi latini in Medio Oriente. Anzi in qualche modo ne originò la caduta. Racconta la Cronaca del Templare di Tiro (1243-1314) — edita da Liguori a cura di Laura Minervini — che furono proprio i «crociati» di Papa Niccolò a violare, pur senza esserne consapevoli, i patti in vigore dal 1283, patti che garantivano ai sud- diti del sultano libera circolazione nella regione di Acri. I «crociati» — secondo una versione confermata dal veneziano Marin Sanudo — uc- cisero per motivi mai accertati una gran quanti- tà di piccoli commercianti «saraceni» che por- tavano le loro mercanzie all’interno della città.Oltretutto, secondo gli accordi del 1283, l’arrivo di quegli uomini provenienti da lande europee, anche in assenza di atti di guerra, avrebbe im- plicato l’immediata sospensione delle relazioni tra i soggetti contraenti.
C’è però tuttora una certa vaghezza e ci sono molte discordanze sulle origini del conflitto che provocò la caduta di Acri. Secondo Antonio Musarra è assai probabile che il sultano deside- rasse da tempo occupare la città, anzi che ne auspicasse la «completa distruzione» in modo da eliminare sia il principale approdo per ulte- riori spedizioni occidentali, sia il più importan- te polo economico dell’intera regione costiera; e ciò per «facilitare i propri traffici lungo la di- rettrice terrestre che univa Antiochia e Aleppo ad Alessandria d’Egitto». Tanto più che gli ac- cordi del sultano con le città marinare e con il regno di Aragona (stipulati tra il 1288 e il 1290) garantivano una prosecuzione degli scambi con i mercati occidentali. In ogni caso. Acri, dunque non era che un ostacolo, la «cui elimi- nazione avrebbe giovato al sultanato su diversi fronti».
Negli ultimi vent’anni, lamenta Musarra, la storiografia ha preferito partire dal 1291 per oc- cuparsi di quel che venne dopo, ovvero dei mutamenti subiti dall’idea di crociata a seguito della perdita definitiva della Terrasanta. È il ca- so, ad esempio, del libro di Marco Pellegrini Le crociate dopo le crociate (il Mulino). La maggior parte degli storici moderni, denuncia Musarra, ha trattato poi questa vicenda «secondo un’otti- ca prettamente occidentale o occidento-centri- ca o europeo-centrica che dir si voglia; e ciò malgrado gli Stati crociati tardo-duecenteschi rappresentassero soltanto un tassello nel com- plesso mondo vicino-orientale e centro-asiati- co, un mondo che vedeva come protagoniste potenze di ben altro peso rispetto a quelle euro- pee, ad esempio quella mongola e quella ma- melucca». L’autore di questo libro si rifà invece a fonti non eurocentriche, parte delle quali so-no state già citate da Paul M. Cobb in La conqui- sta del Paradiso. Una storia islamica delle cro- ciate (Einaudi), da Benjamin Z. Kedar in Crocia- ta e missione. L’Europa incontro a l’Islam (Jou- vence), da Jean Richard in La grande storia delle crociate (Newton Compton) e da Franco Cardini in In Terrasanta. Pellegrini italiani tra Medioevo e prima età moderna (il Mulino). Fonti che, ognuna in modo diverso, mettono in risalto il ruolo svolto da queste altre potenze. Inoltre, per quel che riguarda l’Europa, Musarra analizza in dettaglio lo spirito di discordia, le ri- valità esistenti tra gli ordini monastico-cavalle- reschi, le lotte fratricide in corso tra i mercanti delle città marinare che fecero da sfondo alla disfatta di Acri, contribuendo ad accelerarne la rovina.
LOccidente di allora, benché impegnato in una serie di aspri conflitti — tra il papato e l’impero, tra le principali monarchie del tempo, tra le potenze marittimo economiche italiane — non cessava di centrare buo- na parte della propria «auto-rappresentazione» sulla Terrasanta e, in particolare, su Gerusa- lemme. E fu così che si trovò presto coinvolto nelle lotte che coinvolsero il territorio siro-pa- lestinese nella seconda metà del Duecento, «as- sistendo, attonito, al fallimento di una delle più importanti affermazioni di potenza» che avreb- be dovuto consistere nella trasposizione (forza- ta) d’un modello di società piuttosto definito nei suoi caratteri religiosi, economici e cultura- li in un «ambiente altro». Un ambiente nel qua- le «cristiani e musulmani (o, meglio, franchi e saraceni), al netto delle proprie differenze cul- turali e religiose, non erano avversari obbligati; anzi, ciò che caratterizzava i loro rapporti era la stipula continua di paci, tregue e perfino alle- anze». Tanto che «la ricerca del profitto, la vici- nanza ai saraceni, con cui si intrattenevano flo- ridi rapporti commerciali, furono indicate tra i motivi principali della disaffezione latina verso
Occidente di allora, benché impegnato in una serie di aspri conflitti — tra il pa-la Terrasanta cristiana». Le ragioni del lento de- clino di Outremer erano da ricercarsi, secondo Musarra, nelle sue divisioni interne: «Gli ultimi re di Cipro e Gerusalemme», fa notare lo stori- co, «non erano stati in grado di ricompattare le sue molte anime, tanto meno di mediare tra le numerose forze in campo». Per di più «un ruolo importante era stato giocato oltre che dagli ordini militari, dai comuni italiani ai quali la nuova strategia crociata assegnava un ruolo im- portante». Ma un successo sarebbe stato imma- ginabile solo imponendo all’Egitto un duro blocco navale, che avrebbe implicato, però, l’abbandono del commercio con le terre islami- che. E, scrive, Musarra, tali disposizioni furono «regolarmente disattese». Di qui la definizione di «mali christiani» con cui Fidenzio da Padova («che aveva avuto modo di rendersi personal- mente conto della situazione», sottolinea lo storico) stigmatizzò i mercanti italiani.
Prima di quel fatale 1291, c’era stata l’ «anti- crociata» dell’imperatore Federico II, il quale, ancorché scomunicato da Gregorio IX, nel 1229 riuscì a riconquistare, provvisoriamente, Geru- salemme per via diplomatica (a patto di dissua- dere i franchi da ogni nuovo intervento milita- re). Dopodiché, però, ne era venuta una guerra civile tra le truppe imperiali e i baroni locali, che non volevano perdere i loro privilegi. E Acri era diventata il centro della resistenza anti-im- periale. Nel 1248 Luigi IX di Francia si era messo alla testa di una spedizione militare che aveva come primo obiettivo la conquista dell’Egitto. Un’impresa disastrosa: «Fu questa la prima bat- taglia», scrisse il cronista Ibn Wasil, «in cui i le- oni turchi vinsero i cani infedeli».
Lo stesso re Luigi finì nelle carceri egiziane (ma fu trattato con il rispetto dovuto al suo rango e fu liberato dopo il pagamento di 

un riscatto e la promessa della restituzione di Damietta agli islamici). Infine all’inizio del 1257 scoppiò la cosiddetta «guerra di San Saba» che per oltre un quarantennio avrebbe contrappo- sto Genova, Pisa e Venezia, la quale si concluse con due schiaccianti vittorie — una dei genove- si sui pisani, la seconda dei veneziani sui geno- vesi — e mise Acri (dove oltretutto si fronteg- giavano le famiglie Ibelin e Montfort) in ginoc- chio. Nel 1259 per di più si era affacciato nella regione l’esercito mongolo che aveva conqui- stato Aleppo. E fu per combatterlo che si raffor- zò l’armata dei mamelucchi.
Siamo così alla caduta di Acri. Il sultano Qa- lawun lasciò il Cairo con il suo esercito alla vol- ta di Acri verso la fine di ottobre 1290. Morì poco dopo e il suo posto fu preso dal secondoge- nito al-Malik al-Ashraf Khalil (che, dopo aver probabilmente ordito l’uccisione del suo fratel- lo maggiore, fece immediatamente arrestare al- cuni emiri sospettati di trame contro di lui). Giunse davanti ad Acri nell’aprile 1291, forte di 70 mila cavalieri e 150 mila fanti (secondo le sti- me di certo esagerate fornite dal summenzio- nato Templare di Tiro) a fronte dei difensori della città che, «crociati» compresi, ammonta- vano a meno, molto meno di 15 mila, tutti agli ordini di Giovanni di Grailly e Ottone di Granson. 
L'attacco decisivo fu dato a metà maggio. Nel 1099, fa osservare Musarra, Gerusalemme era stata conquistata dai crociati
in 38 giorni; poco meno di due secoli dopo, Acri aveva resistito soltanto una manciata di giorni in più. La difesa finale (essendosi dati Grailly e Granson alla fuga) fu organizzata dal maresciallo del Tempio, Pietro di Sevrey. Que- sti, in segno di sfida, ordinò di lanciare dalla torre principale cinque prigionieri. La risposta dei mamelucchi fu spietata: sterminarono tutti, frati minori, clarisse e domenicani; i maschi adulti che si erano arresi, furono decapitati, donne e bambini furono tratti in schiavitù. Ec- cessi di crudeltà? No, la regola a quell’epoca. Cento anni prima, nell’agosto 1191, quando il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone (assieme a Filippo Augusto di Francia) aveva rotto l’assedio del Saladino ad Acri, per accelerare le trattative aveva fatto massacrare i prigionieri musulmani. Tutti. Ciò che persino ai contemporanei parve come un atto di inaudita ferocia.
Dopo Acri caddero Tiro, Sidone Beirut. Ou- tremer sopravvisse sull’isola di Cipro, dove si erano rifugiati gli esuli provenienti dalla costa (odiati, per giunta, dalla popolazione cipriota). Nel 1299, chiamati da un emiro siriano in con- trasto con il sultanato cairota, giunsero nella re- gione i mongoli guidati da Ghazan, che stermi- narono i mamelucchi: se non fossero dovuti tornare in Persia per domare alcune rivolte l’Ol- tremare sarebbe stato a lungo dominato dagli asiatici.
E il Papa? Niccolò IV aveva promulgato nel- l’agosto dello stesso 1291 un’enciclica in cui esortava i fedeli a vendicare l’offesa fatta ad Acri a Cristo e alla Chiesa. Poi chiese a Genova e Ve- nezia di partecipare alla missione di riconqui- sta, ma le due città marinare continuarono a farsi la guerra tra loro. Un anno dopo Niccolò morì e fu sostituito — a seguito di due anni di interregno — dal celeberrimo Celestino V, in- dotto a ritirarsi pochi mesi dopo esser asceso al soglio. Fu poi la volta di Bonifacio VIII a cui Dante, tra l’altro, rinfacciò (nel XXVIII canto del- l’Inferno) di aver fatto «guerra presso Laterano e non con Saracin né con Giudei». Ma Bonifacio ebbe il genio di inventare il Giubileo, grazie al quale chi si fosse recato in pellegrinaggio a Ro- ma presso le basiliche dei santi Pietro e Paolo avrebbe ottenuto la remissione dei peccati. Pro- prio come quelli che avevano preso parte alle crociate. Nel 1342 il sultano con grande magna- nimità avrebbe concesso alla Chiesa di Roma la Custodia Terrae Sanctae affidata ai Minori. Da quel momento lo spirito delle crociate svanì del tutto. O quasi. 

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