sabato 7 gennaio 2017

Leonardo

Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519)
Adorazione dei Magi - 1481-1482 ca.
Tempera e olio su tavola, 243 x 246 cm, Firenze - Galleria degli Uffizi
L'artista che «dette alle sue figure il moto et il fiato»
«Veramente mirabile e celeste fu Lionardo, figliuolo di ser Piero da Vinci; e nella erudizione e principi delle lettere arebbe fatto profitto grande, se egli non fusse stato tanto vario e instabile. Perciocché egli si mise a imparare molte cose e, cominciate, poi l'abbandonava. [...] Vedesi bene che Lionardo per l'intelligenza dell'arte cominciò molte cose e nessuna mai ne finí, aprendoli che la mano aggiungere non potesse alla perfezione dell'arte nelle cose, che egli si immaginava, conciò sia che si formava nell'idea alcune difficultà suttili e tanto meravigliose, che con le mani, ancora che fussero eccellentissime, non si sarebbo espresse mai [...] e non solo esrcitò una professione, ma tutte quelle, ove il disegno s'interveniva [...] ed era in quell'ingegno infuso tanta grazia da Dio ed una demostrazione sì terribile, accordata con l'intelletto e memoria che lo serviva, e col disegno delle mani sapeva sì bene esprimere il suo concetto, che con i ragionamenti vinceva e con le ragioni confondeva ogni gagliardo ingegno».
Così scriveva Giorgio Vasari iniziando la "Vita di Leonardo".
E veramente, fra tutti gli artisti suoi contemporanei, Leonardo fu un caso unico benché, come egli stesso diceva, fosse «sanza lettere».
Questa espressione voleva dire non conoscere né il greco né il latino.
"Vi meraviglierete di vedermi abbordare tanto tranquillamente e con apparente leggerezza i pochi nomi di artisti che abitavano per avventura le vostre menti come idoli tanto sacri quanto incompresi? Spero che no; e vorrei che mi foste grati di condurvi finalmente dinanzi a loro come artisti e null'altro; senza cioè prepararvi ad essi col solito polpettone di ambiente, di età d'oro, e simili inutilità. Non abbiamo avuto bisogno di Poliziano per intendere Botticelli e non so perché mai dovrebbe essere necessario l'Ariosto per comprendere Leonardo. [...]
Possiamo adunque far subito un'osservazione che varrà per tutta l'attività di Leonardo. Egli si serve dello stesso stile - linea funzionale accurata e chiaroscuro epidermico - del maestro, ma lo impiega spesso ad effetti sentimentali. Finezze di avvallamenti plastici quasi impercettibili sui visi ch'egli cura più che altra parte dei dipinti: corrispondono - egli dice -
«a finezze di trapassi psichici: potrò così gareggiare con la poesia» [...]"
(Roberto Longhi)
"Non si può separare lo sviluppo iniziale dell'eccezionale personalità di Leonardo dalla situazione culturale fiorentina in cui si forma ed a cui ben presto reagisce con tanta vivacità polemica che perfino la vasta e diramata ricerca sperimentale che svolgerà nel campo delle scienze naturali appare sollecitata, se non determinata dalla reazione all'idealismo estetizzante della cerchia neoplatonica fiorentina. [...]
L'opera conclusiva, e incompiuta del primo periodo fiorentino è l'"Adorazione dei Magi". E' il soggetto che più frequentemente ricorre nella pittura del Quattrocento. Leonardo prende posizione rispetto a tutta una tradizione, e giunge all'interpretazione recentissime del Botticelli (1477 ca), che elimina il carattere sacro della rappresentazione e la trasforma in una celebrazione della famiglia e della dotta corte dei Medici.
A questo dipinto, che esalta la pietà religiosa della cerchia neoplatonica, si riferisce esplicitamente Leonardo interpretando il tema in chiave simbolica, e non storica o fiabesca, e raggruppando le figure a cerchio intorno alla sacra apparizione invece di farle arrivare in corteo. Andando ancora più in là del Botticelli, elimina anche la capanna; e confonde i Magi in una ressa di persone agitate, accorrenti, gesticolanti, prostrate. Anche Botticelli sviluppa il tema più come 'epifanìa', o manifestazione del divino, che come 'adorazione'; ma Leonardo rifiuta di considerare l'aspetto sociale del tema (l'omaggio dei signori e dei dotti a Dio) e va diritto al nucleo filosofico. Poiché concetto fondamentale del pensiero neoplatonico è l'ispirazione o il 'furor' (anche come grazia divina concessa a pochi spiriti superiori, a una 'élite'), espone e dimostra il proprio concetto, completamente diverso, del 'furor'.
'Epifanìa' è fenomeno; dunque nel fenomeno e non nell'astratta 'idea' si manifesta il divino. Il fenomeno sorprende, emoziona, turba, suscita reazioni diverse, mette in moto tutta la realtà: anche i cavalli imbizzarriscono al fenomeno dell'apparizione divina. Il fenomeno si vede e si medita: a destra un giovane si volge verso l'esterno e invita la gente a guardare, a sinistra un vecchio china il capo e riflette. Il fenomeno accade nella natura: la Madonna appare in un paesaggio aperto fino all'ultimo orizzonte e siede su un risalto del terreno, presso un albero di cui si vedono in basso i rami troncati e in alto le nuove fronde.
Nel fondo, grandiose architetture in rovina: con l'apparizione-fenomeno cadono i rami secchi e rifiorisce il tronco della vita, crolla lo scenario remoto della storia e rinasce la natura. Tanto le figure vicine quanto le lontane sono agitate dal 'furor', ma nelle lontane (quelle della storia ormai «antica») il 'furor' è lotta di guerrieri a cavallo, nelle vicine (toccate dal fenomenizzarsi del divino) è incontenibile impeto di affetti e di moti [...] le perturbazioni cosmiche e i turbamenti dell'animo, i sentimenti.
La Madonna non troneggia: è un'esile figura risolta con poche linee curve e leggermente inclinata. E' come un fuso che ruoti su se stesso e formi, intorno, un vortice di vuoto e un risucchio. La massa delle figure si precipita, ma è fermata dalla barriera invisibile di quello spazio vuoto: il movimento è dunque incompiuto, perché nulla nella realtà è compiuto, tutto è conflitto di forze contrarie, travaglio di un divenire continuo.
Non vi sono gesti di figure ben individuate, ma solo atti che rientrano nell'orbita vorticosa (ben diversa dal ritmo botticelliano) del movimento della massa, dello spazio, del cosmo. E' come se tutti gli astanti, pervasi da un 'furor' che in ciascuno ha accenti e moti diversi, formassero una sola figura, con molte mani protese, molti volti ansiosi o stupiti o pensierosi; e il moto orbitale della massa, suscitato dalla luce proveniente dagli spazi lontani, ritornasse allo spazio, in una circolazione vorticosa, senza fine.
Infatti non esiste 'il' fenomeno, ma la serie incalzante dei fenomeni, delle infinite cause e degli infiniti effetti.
Il mondo di Leonardo non è più 'natura naturata', ma 'natura naturans'.
(G. C. Argan)

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