venerdì 6 gennaio 2017

Fozio


Tradurre la Biblioteca di Fozio
di Luciano Canfora
Non sono stati molti i tentativi di tradurre per intero la Biblioteca: oltre all’ampiezza, l’ostacolo principale è la grande varietà di prosa – trattandosi di estratti ricavati da moltissimi autori – che la ca- ratterizza. Chi si cimenta con quest’opera non legge soltanto Fozio ma, soprattutto, una serie di autori, anche antichi, per i quali Fozio è, per noi, l’unico tramite (per ben 81 autori quest’opera di Fozio è l’unico testimone della loro esistenza). Per giunta si tratta di autori che vanno da Erodoto (V a.C.) a Sergio il Confessore (morto nell’829 d.C.), cioè di un autore che Fozio potrebbe aver conosciuto di persona. Analoga varietà di autori stipati tutti nella stessa opera è di cile trovare. Si possono ricordare Ateneo, Stobeo e l’enciclopedia di Suida.
Il lavoro di rendere accessibile la Biblioteca ad un largo pubblico di dotti capaci di leggere il latino piuttosto che il greco lo realizzò, dopo anni di incer- tezze, interruzioni e censure, il gesuita di Anversa André Schott (Augsburg 1606, ma in realtà 1607). Non solo tradusse, ma anche commentò, allestì in- dici e premise una importante introduzione, i Pro- legomena, dei quali abbiamo ormai una importante edizione commentata a cura di Giuseppe Carlucci (Dedalo, Bari 2012). In tale volume, Carlucci ha an- che raccolto documentazione relativa ai tentativi di traduzione (pur sempre in latino) andati a monte1: tra di essi campeggia quello di Federico Mezio, pre- zioso aiutante di Baronio (su cui vedi «Quaderni di storia» 65, pp. 179-192 e 66, pp. 149-154). Inoltre ha seguito le tracce di traduzioni parziali, magari di singoli capitoli, sorte prima di Schott, presenti negli apparati e nei testi liminari di edizioni di autori dei quali Fozio si era occupato nella Biblioteca.
La preziosa e a lungo unica traduzione di Schott, che metteva a frutto anche traduzioni parziali pre- cedenti, non è esente da sviste anche macroscopi- che. Ma soprattutto è macchiata dall’intento di na- scondere formulazioni ‘eretiche’ di Fozio. Vi erano temi sui quali il contrasto con Roma era insanabi- le. La strada scelta da Schott (il quale ebbe a che fare con la censura dell’ordine cui apparteneva) fu quella di far dire a Fozio cose diverse da quelle che aveva scritto trattando di materia teologica: specie su temi laceranti come l’eucarestia (e etti del ri u- to ‘orientale’ del lioque). La traduzione di Schott fu dunque riprodotta pari pari in area calvinista, a Ginevra, ad opera di Paul Estienne (Photii Myrio- biblon, 1611 e 1612)2, recante, su colonne parallele, da un lato il testo greco già edito nel 1601 da David Hoeschel (Augsburg) e dall’altro il latino di Schott. Paul Estienne, glio di Henri, operò anche una fu- sione tra gli apparati della princeps e gli apparati di Schott. L’edizione ginevrina, la cui di usione non fu certo agevolata dalle vicissitudini di Paul Estien- ne in quegli anni, fu riprodotta identica a Rouen nel 1653 dai fratelli Berthelin (tipogra di matri- ce calvinista). La novità era, in questa edizione, l’arbitrario risanamento congetturale delle lacune iniziali e nali ad opera del certosino Bonaventure D’Argonne3.
Una ulteriore stampa della traduzione Schott fu realizzata a Budapest nel 1778, corredata da ben cinquanta Assertiones dogmaticae, collocate prima dei Prolegomena di Schott.
Una traduzione latina completamente nuova e certo più accurata rispetto a quella di Schott era stata nel frattempo realizzata, ma era rimasta ine- dita, dal monaco zantiota Antonio Catiforo (1685- 1763), il quale corredò di note la sua traduzione. Va detto, a suo ulteriore merito, che egli ha tra- dotto in latino anche la restante opera foziana. Il corpus delle sue traduzioni è conservato a Venezia, dove egli visse per un tempo non breve, presso la Biblioteca Nazionale Marciana: la Biblioteca è nel Marciano greco XI, 17. Nel 2003 ne sono state pub- blicate alcune parti: la dedicatoria a Tarasio e molte note di commento4. Catiforo – come ha mostrato Margherita Losacco – retti cò le storture intenzio- nali apportate dalla traduzione di Schott per mo- tivi ‘teologici’5. Intanto passava come una meteora il tentativo (1810-1812) del giovane dotto danese Børge orlacius (1775-1829) di dar vita ad una edizione critica della Biblioteca. Ne aveva parlato Charles Weiss nella voce Photius della Biographie Universelle del Michaud. Weiss sapeva anche che orlacius aveva già collazionato «les manuscrits de la bibliothèque du roi». Ma l’impresa non andò in porto, e si può ipotizzare che tale collazione sia stata messa a frutto da Bekker (nell’edizione 1824- 1825) il quale, oltre al Marciano A utilizza unica- mente la collazione dei tre parigini.
La prima traduzione in una lingua moderna, in francese per l’esattezza, la realizzò – ma rimase anch’essa inedita – un avventuroso dilettante, Jean- Baptiste Constantin, negli anni 1828-1831. Essa fu anzi solennemente annunziata, come già compiuta, nel «Journal des Savants» del 1831 (pp. 185-186), mentre veniva lanciata una sottoscrizione per - nanziarne la stampa. Constantin – dopo un vano tentativo di avvicinamento al generale Foy – lavorò a pagamento per varî committenti: la traduzione della Biblioteca la realizzò – rielaborando in lingua francese il latino di Schott – per conto del marchese Agricole-Joseph-François Fortia d’Urban (1756- 1843), singolare gura di matematico ed erudito pre-critico ma attratto, in gioventù, dall’Illumini- smo e persino, all’inizio, dalla Rivoluzione. Quando ormai Constantin era fuggito in Belgio (poco dopo l’epidemia di colera che devastò Parigi nel 1832), Fortia pubblicò, come proprio lavoro, nel periodi- co «Annales de philosophie chrétienne» 22, 1841, la traduzione di un capitolo (il 170) estratto dalla tra- duzione che aveva fatto fare a Constantin e ancora una volta preannunziò la pubblicazione dell’intero. La traduzione di Constantin è conservata quasi per intero alla Bibliothèque Nationale de France come NAF 22592-22593, mentre alcune tracce si con- servano altrove. Una parte (il capitolo su Ctesia) è stata pubblicata da Stefano Micunco nel 20106. È in progetto la valorizzazione dell’intero manoscritto.
Mentre Constantin era all’opera, molti capitoli della Biblioteca riguardanti gli storici greci appa- rivano a Milano (presso Sonzogno) in traduzione italiana a cura di Spiridione Blandi nella collezione Storici minori volgarizzati e illustrati (voll. I, II, IV: Ctesia, Conone, Memnone, Eunapio, Agatarchide, Flegonte, Dexippo e altri).
Progetti analoghi prendevano intanto consisten- za: quello di Giovanni Veludo (1811-1890), allora molto giovane, e soprattutto quello – apparso po- stumo a Milano (presso Silvestri, nel 1836) – del giacobino non pentito Giuseppe Compagnoni (1754-1833). Fu l’uscita della ampia silloge di Com- pagnoni (Biblioteca di Fozio, patriarca di Costanti- nopoli, tradotta in italiano dal cavaliere Giuseppe Compagnoni e ridotta a più comodo uso degli stu- diosi, voll. I-II) a indurre Veludo, pur incoraggiato dal Mustoxidi, ad abbandonare il suo progetto. Fo- zio non aveva mancato di interessare Leopardi, che aveva anche avuto un contatto con Compagnoni7.
Intanto un altro progetto nasceva, e abortiva, in Francia: il Myriobiblon français dell’erudito bi- bliografo, e bibliotecario a Dijon, Gabriel Peignot (1767-1849) di cui sopravvivono poche pagine ma- noscritte8.
Nel 1860 Jacques-Paul Migne inseriva nella mo- numentale Patrologia Graeca (voll. CI-CIV) l’inte- ra opera di Fozio in greco e con traduzione latina contestuale. Per la Biblioteca (voll. CIII e CIV) adottò il testo di Immanuel Bekker, apparso in due tomi a Berlino nel 1824 e 1825, e come traduzio- ne replicò in integro quella di Schott inclusi i Pro- legomena. Ma, forse considerandoli troppo ‘teneri’ verso Fozio, premise al vol. CII un testo scritto ad hoc per l’occasione dal vescovo belga Jean-Baptiste Malou (1809-1864). È un segno dell’ampiezza dei criterî adottati da Migne per le sue Patrologiae il fatto che abbia incluso tra i Padri della Chiesa an- che Fozio, ma, comunque, anche il disistimatore accanito di lui, Niceta David Pa agone (Patrologia Graeca CV).
Veniamo in ne ai tentativi novecenteschi. La tra- duzione completa, in francese, per la «Collection Budé» (in otto volumi 1959-1979) la realizzò René Henry, professore di liceo a Charleroi, allievo di Al- bert Severyns, ‘arruolato’ da Dain negli anni Tren- ta, ma impedito poi per lungo tempo – a causa del- la guerra e della prigionia – di attuare l’ambizioso progetto. Ne diede una anticipazione (il capitolo su Ctesia) nel 1947 tornando alla sua vita di insegnan- te e di studioso dopo la ne del con itto mondiale.
È probabile che abbia avuto tra mano il mano- scritto di Constantin (copia calligra ca messa in vendita nel 1905 dal libraio parigino Picard dal lascito Chantepie); ma ciò non fu un bene: la tra- duzione è non di rado difettosa o subalterna rispet- to a scelte non felicissime di Schott e dello stesso Constantin, il quale, a sua volta, aveva elucubrato su Schott. Ad ogni modo è questa la sola traduzio- ne moderna dell’intera Biblioteca, accompagnata da note essenziali.
Nel 1991, si è aggiunto un volume IX a cura di un ottimo conoscitore della Biblioteca foziana, Jacques Schamp, allievo, a suo tempo, di Henry e promoto- re di approfonditi studi foziani, oltre che autore di pregevoli contributi, il più ampio dei quali è Photius historien des lettres (Les Belles Lettres, Paris 1987).
Nel 1920 era apparso a Londra un primo volume, rimasto unico, della traduzione inglese della Biblio- teca ( e Library of Photius, ‘Society for promoting Christian Knowledge’, e Macmillan Company, London), a cura di John Henry Freese. Era una silloge di autori, disposti in ordine alfabetico, da Achille Tazio a Temistio.
In ne si segnala il congiunto sforzo di Nigel Wil- son e di Claudio Bevegni che ha portato alla pubbli- cazione della medesima nutrita antologia dalla Bi- blioteca, presso Adelphi (Milano) nel 1992 e presso Duckworth (London) nel 1994. Wilson vi ha pre- messo una moderna rilettura dell’opera foziana che prende le mosse dalla dissertazione di Constanti- nus Wol e Johann Georg Philippi su Fozio inven- tore delle efemeridi letterarie.
Il repertorio più completo dei manoscritti della Biblioteca è ormai quello redatto da Paolo Eleuteri in «Quaderni di storia» 51, 2000, pp. 111-156. 

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