martedì 24 gennaio 2017

Rodney Stark e i cattolici

Paolo Mieli
La Baylor University di Waco (Texas) è nota dal 1845, anno in cui fu fondata, per essere il più grande ateneo battista, per la sua gloriosa squadra di football — i Baylor Bears — e per essere stata fino a poco tempo fa un centro mondiale dell’ostilità alla Chiesa di Roma. Quest’ultimo elemento accresce il valore di un libro, False testimonianze (edizioni Lindau), che un docente della stessa Baylor, Rodney Stark, ha ideato per «smascherare alcuni secoli di storia anticattolica». «Non sono cattolico», afferma Stark nella prefazione, «e non ho scritto questo libro per difendere la Chiesa; l’ho scritto per difendere la storia». «Confesso», ricorda Stark, «che quando per la prima volta mi sono imbattuto nell’affermazione secondo cui non solo l’Inquisizione spagnola sparse ben poco sangue, ma fu essenzialmente una forza di primo piano a sostegno della moderazione e della giustizia, l’ho liquidata tra me e me come l’ennesimo esercizio di bizzarro revisionismo da parte di qualche autore a caccia di notorietà». Poi però lo studioso iniziò a fare delle accurate ricerche e scoprì che era stata proprio l’Inquisizione ad impedire che la sanguinosa caccia alle streghe, dilagata in gran parte dell’Europa nel XVI e XVII secolo, attecchisse anche in Spagna e in Italia dove, per strano che possa sembrare, «invece di bruciare le streghe gli inquisitori mandarono sulla forca alcune persone colpevoli di aver bruciato le streghe».


Una per una Stark smonta molte delle «colpe» che gli storici hanno attribuito per anni alla Chiesa cattolica. Non per negarle, bensì per ricondurle alla loro giusta dimensione. Un discorso valido per le crociate, per l’«oscurantismo che avrebbe soffocato il Medioevo», per lo scontro con la scienza. E ancora a proposito della supposta predilezione cattolica per i regimi tirannici, dell’opposizione al capitalismo e più in generale alla modernità. Uno dei primi miti da abbattere è per Stark quello secondo cui la Chiesa per secoli sarebbe stata favorevole alla schiavitù. È vero che Papa Innocenzo VIII nel 1488 accettò in dono da Ferdinando d’Aragona un centinaio di schiavi e ne regalò alcuni ai suoi cardinali preferiti. Ma, secondo Stark, è assai più significativo che dal Duecento san Tommaso d’Aquino avesse stabilito che la schiavitù è peccato; che nel Quattrocento Papa Eugenio IV avesse minacciato di scomunica gli spagnoli che nella colonizzazione delle isole Canarie avevano schiavizzato le popolazioni indigene; che nello stesso secolo i pontefici Pio II e Sisto IV avessero emanato bolle antischiaviste; che lo stesso abbia fatto — nel Cinquecento — Paolo III, riferendosi esplicitamente al Nuovo Mondo. E così fece, nel Seicento, anche Urbano VIII su sollecitazione dei gesuiti del Paraguay. Anzi, fu proprio l’ostilità dei gesuiti latinoamericani allo schiavismo — condivisa dalla Chiesa di Roma — a provocare l’urto tra alcune potenze europee e l’ordine fondato da sant’Ignazio da Loyola. Conflitto che si sarebbe concluso con la temporanea soppressione dell’ordine stesso. Una vicenda che andò di pari passo con la fondazione (nel 1609), ad opera di Antonio Ruiz de Montoya, della Repubblica gesuitica del Paraguay, che copriva un’area grande il doppio della Francia ed era strutturata in una trentina di Reducciones, le rivoluzionarie comunità di indiani Guaraní.
A proposito dell’evoluzione scientifica, Stark tiene a ribadire che Galileo «non trascorse mai neppure un solo giorno di prigione e in realtà finì nei guai non per la sua scienza (l’Inquisizione spagnola non proibì mai i suoi libri) ma per la sua arrogante doppiezza». Parole destinate, come non poche altre contenute in questo libro, ad avere più di una scia polemica. L’autore dimostra inoltre come sia del tutto non corrispondente al vero che nel 1829 Papa Leone XII abbia proibito la vaccinazione contro il vaiolo sostenendo, come scrisse Georgina Sarah Godkin in una biografia di Vittorio Emanuele II, che quel male dovesse aver libero corso ed essere considerato una «punizione divina». La storia dell’opposizione di quel Papa ai vaccini è «falsa». Per giunta, prosegue Stark, «i grandi successi scientifici del XVII e del XVIII secolo non furono ottenuti a dispetto della Chiesa»; al contrario rappresentarono il culmine del progresso scientifico che, nel corso dei secoli, si ebbe nelle «università fondate, controllate e sovvenzionate dalla Chiesa».
Del tutto falso — ribadisce poi Rodney Stark — che il conflitto tra Cristoforo Colombo e gli esperti della Chiesa, dubbiosi sul suo viaggio del 1492, avesse come materia del contendere, anche marginale, la sfericità dell’orbe terracqueo, un dato acquisito da secoli. L’opposizione contro cui Colombo dovette scontrarsi non riguardava la forma della Terra, bensì il fatto che, nel calcolare la circonferenza del globo, il navigatore «si sbagliava alla grande». Era infatti convinto che la distanza tra le Canarie e il Giappone fosse di 14 mila miglia, mentre i dotti di Salamanca sostenevano che quel calcolo era difettoso talché — se non si fossero imbattuti nell’emisfero occidentale — Colombo e i suoi sarebbero inevitabilmente scomparsi tra i flutti. E avevano ragione. Che non si fosse neanche posta come tema di discussione la sfericità della Terra è dimostrato poi dal libro del figlio di Colombo, Storia dell’Ammiraglio, che racconta tutto della vita del padre, ma non fa alcun cenno a quella supposta controversia. Controversia che, tra l’altro, restò sconosciuta per trecento anni, finché nel 1828 lo scrittore Washington Irving non la menzionò in un libro, La leggenda della Valle Addormentata, dichiaratamente fantasioso.
Passando a cose più drammatiche, secondo Stark gli storici hanno sottostimato l’ostilità (o peggio) del mondo comunista nei confronti dei cattolici. Ricorda Stark che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, in Russia una commissione presidenziale presieduta da Aleksandr Jakovlev (già braccio destro di Mikhail Gorbaciov) ebbe accesso ad archivi che contenevano carte fino a quel momento non consultabili, da cui emergeva che circa 200 mila religiosi (tra cui molti rabbini) erano stati giustiziati dal regime sovietico. L’autore definisce «scioccante» questo rapporto pressoché sconosciuto, in cui, sulla base di una documentazione inoppugnabile, si racconta dettaglio per dettaglio come «il metropolita Vladimir di Kiev venne mutilato, evirato e infine ucciso con un colpo di arma da fuoco, dopodiché il suo corpo fu esposto nudo al pubblico ludibrio». E come il metropolita Veniamin di San Pietroburgo, destinato a succedere al patriarca, non ebbe sorte migliore: «Denudato e cosparso di acqua fredda nel gelo russo, fu trasformato in un pilastro di ghiaccio». Il vescovo Germogen di Tobolsk, invece, «fu legato vivo alla ruota di un battello a vapore e maciullato dalle lame rotanti». L’arcivescovo Vasilij «fu crocefisso e bruciato».
È una cosa stupefacente, scrive l’autore, che nella pubblicistica occidentale questi dati non abbiano trovato spazio adeguato. Peggio ancora: negli anni Sessanta «molte autorevoli personalità dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti smentirono tutti i rapporti sui maltrattamenti subiti dal clero in Unione Sovietica, bollandoli come disinformazione diffusa da reazionari e fascisti». E nel descrivere queste atrocità le pagine di David B. Barrett e Todd M. Johnson (mai tradotte qui in Italia) lasciano esterrefatti. Qualcosa di analogo si può dire per la guerra civile spagnola, anche se questa vicenda è qui da noi più conosciuta: poco prima dell’intervento golpista di Franco il regime repubblicano (o comunque gruppi che ad esso si richiamavano) fece fuori un ragguardevole numero di uomini e donne di Chiesa.
Più complicata è la questione della matrice cattolica dell’antisemitismo. Stark non ha un partito preso ma — come già fece Peter Schäfer in Giudeofobia. L’antisemitismo nel mondo antico (Carocci) — tiene a ricordare che Lucio Anneo Seneca — più o meno coevo di Cristo — definì gli ebrei «razza maledetta». Che Marco Tullio Cicerone, nato un secolo prima di Cristo, aveva sostenuto essere le pratiche ebraiche «in contrasto con la gloria del nostro impero e la dignità del nostro nome». Che Cornelio Tacito (56-117 d.C.) quelle stesse pratiche le definì «sinistre e disgustose», accusando gli ebrei di essersi «emarginati da soli con la loro stessa malvagità». Poi Stark sottolinea che gli ebrei vennero cacciati da Roma 139 anni prima della nascita di Gesù, con un editto in cui li si accusava d’aver tentato di «introdurre i loro riti» presso i romani allo scopo di «contaminarne la morale». L’autore cita quindi scritti ostili agli israeliti di Diodoro Siculo (90-30 a.C.), Strabone (63 a.C.- 24 d.C.), Apione (20 a.C. - 45 d.C.). Dopodiché venne l’epoca delle guerre giudaiche dei romani contro gli ebrei di Palestina (66-135).
Infine — sostiene Stark — nei primi mille anni di storia della Chiesa si può rinvenire un unico importante episodio riconducibile ad antisemitismo cristiano: nel 554 una folla inferocita uccise alcuni ebrei a Clermont, nella Gallia meridionale e, particolare rilevante, ne costrinse altri al battesimo. Dopodiché, come già fece osservare Léon Poliakov nella sua Storia dell’antisemitismo (Sansoni), «fino all’XI secolo, nessuna cronaca parla di esplosioni di odio popolare contro gli ebrei».
E veniamo all’epoca delle crociate. Quale fu il primo episodio di aggressione a una comunità ebraica? Il 3 maggio 1096, Emich di Leisingen, un conte nominato reggente della Renania da Enrico IV partito per la Prima Crociata, attaccò gli ebrei di Spira. Era circolata una voce secondo cui, prima di marciare verso Oriente, Enrico IV avrebbe pianificato di eliminare tutti gli ebrei renani. La voce si era rivelata infondata, l’imperatore stesso l’aveva smentita in modo netto, ma Emich non smise di ritenere che «non avesse senso compiere una spedizione per sconfiggere i nemici di Dio in Oriente e lasciarsi alle spalle i nemici di Cristo». A sorpresa, però, il vescovo di Spira prese sotto la sua protezione gli ebrei della città. A quel punto Emich si diresse su Worms e però anche qui il vescovo difese gli israeliti. Il conte andò allora a cercare città che non fossero presidiate da vescovi. Thomas F. Madden — in Le crociate. Una storia nuova (Lindau) — dà grande risalto al fatto che i Papi condannarono questi primi episodi di antisemitismo. E Steven Runciman, nella Storia delle crociate (Einaudi), fece notare che quando poi i cavalieri ungheresi sconfissero l’esercito di Emich, i cristiani considerarono l’evento una «punizione inflitta dall’alto ai massacratori di ebrei».
Poi, al tempo della Seconda Crociata, si ebbero massacri di ebrei a Colonia, Magonza, Metz, Worms e Spira. In questo caso un monaco di nome Radulf contribuì a creare i tumulti antisemiti. Tuttavia, precisa Stark, «il numero delle vittime sarebbe stato molto più elevato se non fosse intervenuto San Bernardo di Chiaravalle, che si precipitò in Renania e ordinò di mettere fine ai massacri» come è attestato da un cronachista ebreo, Efrem di Bonn. E l’ostilità ebraica nei confronti dei cristiani? Qui Stark fa sua la tesi contenuta in un importante libro di Heiko Oberman, Lutero, un uomo tra Dio e il diavolo (Laterza), secondo il quale alcuni brani ferocemente anticristiani, che si riteneva provenissero dal Talmud, erano riconducibili a un frate spagnolo del XIII secolo (un domenicano al quale erano stati fatti pervenire da ebrei convertiti al cristianesimo). Tali brani furono successivamente ripresi da Martin Lutero, che però li fece propri alcuni anni dopo la pubblicazione (nel 1517) delle 95 tesi affisse sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg. Secondo la ricostruzione di Thomas Kaufmann (in Gli ebrei di Lutero, edito dalla Claudiana) la conversione di Lutero all’antisemitismo si colloca nel lasso di tempo che va dallo scritto Gesù Cristo è nato ebreo (1523) al terribile Degli ebrei e delle loro menzogne, nel quale il padre della Riforma si spinge ad auspicare il rogo delle sinagoghe.
Questo tema è stato recentemente approfondito da Angela Pellicciari in Martin Lutero (Cantagalli), là dove sottolinea che il grande riformatore puntò l’indice contro gli ebrei perfino nell’ultima predica pronunciata a Eisleben il 15 febbraio 1546, tre giorni prima della sua morte. Questa predica contiene una curiosa premonizione: «Chi impedisce agli ebrei di tornare in Giudea?», domandava Lutero. «Nessuno», rispondeva; «forniremo loro tutte le provviste per il viaggio, pur di liberarci di questi parassiti disgustosi; essi sono un terribile peso per noi, una vera calamità, sono la peste in mezzo a noi». La Pellicciari ricorda che al processo di Norimberga uno degli imputati, l’editore nazista Julius Streicher, si difese così: «Da secoli ci sono in Germania edizioni di scritti antisemiti. Mi hanno sequestrato un libro del dottor Martin Lutero. Se l’accusa prendesse in considerazione questo libro, il dottor Martin Lutero siederebbe oggi al mio posto sul banco degli accusati». E qui — come è evidente — la Chiesa cattolica non c’entra nel modo più assoluto.
Bibliografia
Il saggio di Rodney Stark False testimonianze. Come smascherare alcuni secoli di storia anticattolica è edito da Lindau (traduzione di Franca Genta, pagine 352, e 25). Nato nel 1934, Stark è uno studioso americano specialista di Sociologia delle religioni. Sulle radici più antiche dell’antisemitismo lo studioso Peter Schäfer, docente alla Princeton University, ha scritto il saggio Giudeofobia(traduzione di Eleonora Tagliaferro e Marcello Lupi, Carocci, 1999). Sul rapporto di Martin Lutero con il mondo ebraico è appena uscito il libro di Thomas Kaufmann Gli Ebrei di Lutero (traduzione di Franco Ronchi, Claudiana, pagine 219, e 19,50). Un saggio critico verso il riformatore religioso tedesco è Martin Lutero di Angela Pellicciari (Cantagalli, 2012). Da segnalare infine il libro di Thomas Madden Le crociate (traduzione di Daniele Ballarini.Lindau, 2005).

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