venerdì 13 gennaio 2017

Fine dell'Impero Romano

Andrea Colombo per La Stampa
Denatalità allarmante, corruzione endemica, tassazione abnorme, immigrazione fuori controllo. Non è il ritratto dell'Italia d'oggi, ma la Roma di 1500 anni fa. Lo dimostra lo storico francese, nonché direttore del Figaro Histoire, Michel De Jaeghere, nel corposo volume intitolato Gli ultimi giorni dell'impero romano (Leg edizioni, pp. 623, 34), un documentato studio in cui si ripercorrono le tappe della crisi che portarono al crollo di uno dei più potenti sistemi politico-militari al mondo.


Grazie all'analisi di De Jaeghere appare chiaro che dal IV secolo in poi non è solo la violenza dei barbari che premono ai confini a prevalere. È anche un senso di stanchezza, di smarrimento, di incapacità di difendere gli agi conquistati in tanti secoli di pax romana. Per arginare la minaccia barbarica l' impero iniziò a stanziare somme spropositate per eserciti e armamenti. La tassazione crebbe a dismisura. La cittadinanza romana da onore e privilegio si trasformò in un fardello difficile da sostenere, tanto che intere popolazioni, soprattutto del ceto contadino, cercarono protezione sotto i re germanici e parteciparono ai saccheggi dei barbari.

Perse le tradizioni militari dell'era repubblicana, allentata la disciplina nelle legioni, gli imperatori si trovarono costretti a ricorrere a un esercito di mercenari, poco motivati e disposti a vendersi al miglior offerente. De Jaeghere sottolinea che ai margini dell' impero fremevano sacche di anarchia in balìa delle tribù locali che, spinte dalle invasioni degli Unni o attratte dallo stile di vita sfarzoso dei Romani, spesso sconfinavano creando disastri. Le frontiere erano un colabrodo.

I Romani si illusero di poter controllare queste tribù foraggiandole in vari modi o arruolandole nelle loro fila. Ma il tentativo di colmare lo spopolamento delle campagne e delle città, tramite una politica che incoraggiava l'immigrazione, ebbe l' esito inaspettato di ritrovarsi con il nemico in casa.

La penetrazione massiccia nel tessuto imperiale di popolazioni barbariche comportò inoltre un boom della schiavitù. Se nella Roma repubblicana i cittadini erano per lo più piccoli proprietari terrieri, con l'avvento delle conquiste si moltiplicò il numero dei latifondisti che gestivano immensi poderi grazie alla disponibilità illimitata di manodopera a costo zero.

De Jaeghere nota che «la schiavitù di massa (35% della popolazione italiana al tempo di Augusto) aveva paralizzato ovunque l'innovazione tecnologica». Infatti «sarebbe diventato sempre meno caro far lavorare degli schiavi piuttosto che mettere a punto delle macchine». L'usura era diventata pratica diffusa.

De Jaeghere contesta la tesi, resa celebre da Voltaire e Gibbon, che l'avvento del cristianesimo fosse un elemento cruciale della decadenza dell' impero. Secondo la vulgata più diffusa gli imperatori sarebbero stati più interessati alle dispute teologiche che alle strategie militari. Inoltre la fine del paganesimo, religione civica che sanciva la fedeltà dei cittadini allo Stato, avrebbe aperto le porte all'anarchia. De Jaeghere ribalta questa prospettiva e sostiene, al contrario, che l'impero crollò proprio perché il cristianesimo non ebbe il sopravvento.

Non solo i Padri della Chiesa, con in prima linea sant'Ambrogio, esortavano gli imperatori a combattere contro i barbari innalzando il vessillo del Cristo a difesa della città eterna, ma consideravano Roma la nuova Gerusalemme, che avrebbe diffuso in tutto i suoi territori il verbo di Gesù.

La legislazione imperiale sotto l'influsso del cristianesimo tentò di arginare la degenerazione dei costumi e introdusse misure contro l'usura, l'aborto, il divorzio e l'omosessualità.

Alcune leggi imposero di sopperire alle necessità delle classi più povere. Ma questi provvedimenti venivano costantemente disattesi, la corruzione era diventata l'unica legge di Roma, gli aristocratici vivevano al di là del bene e del male, i miserabili diventavano sempre più miserabili. Formalmente l'impero era cristiano, ma il sistema era in putrefazione.

Oggi in Europa c'è un gran parlare di crisi della civiltà occidentale. Molti i segnali che indicano un esaurimento della spinta propulsiva che aveva fatto del Vecchio continente un faro e che ancora oggi richiama milioni di disperati. Ma forse basta rileggere la storia per capire che alcuni processi possono ripetersi, pur nelle mutate circostanze. «L' impero romano ci serve da avvertimento», conclude De Jaeghere. Ed è un monito inquietante.

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