Claudia Gualdana per “Libero quotidiano”
Nasceva oggi Marlene Dietrich, nel remoto 1901, con il nome di una santa, Marie Magdalene. Lo pseudonimo è la somma delle iniziali dei nomi di battesimo e grazie a lei è diventato un simbolo del fascino. Soprattutto in musica: Marlene compare in Alexanderplatz di Franco Battiato; nelle canzoni di Suzanne Vega, Peter Murphy, Leonard Cohen.
[…] Bellezza fatale, Marlene non è il soggetto di un'opera d'arte seriale di Warhol, come Marilyn. Non era per la massa, eppure sedusse il mondo. La si potrebbe definire una sintesi di contrasti. Un volto incantevole, per proporzioni e mutevolezza, in cui si ravvedono i tratti di un'implacabile volontà prussiana; lo sguardo obliquo, un po' ambiguo anche - la Dietrich era notoriamente bisessuale - tradisce una brillante intelligenza.
Infine le gambe, lunghe, toniche, che per prima, con saturnina oculatezza, assicura per una cifra folle, che hanno camminato sulla walk of fame, ma anche per vie più impervie. Del resto servono carattere e fermezza per restare sulla cresta dell'onda tutta la vita, per giunta rimanendoci anche dopo, visto che a trent'anni dalla morte siamo qui a scrivere di lei.
È un ritratto di Alfred Polgar a fornire l'abbrivio per commemorare il suo anniversario, cosa che peraltro ci fa rimpiangere gli anni in cui servivano fascino e classe per sedurre. Un'età dell'oro in cui le dive non avevano bisogno di mostrare le terga per animare il desiderio di un uomo. Donne così non erano di cartapesta, men che meno virtuali; sebbene furoreggiassero nella celluloide, avevano carisma e personalità. In questo la Dietrich è l'esempio più emblematico.
In Marlene, ritratto di una dea (Adelphi, p. 112, €12) che lo scrittore, ebreo austriaco, ha redatto nel pieno della tragedia ebraica nell'Europa dei totalitarismi, la vera Dietrich è tra le righe. Poco importa che Polgar fosse stato l'animatore di un club viennese intitolato all'attrice negli anni Venti, quando lei ancora non ha girato L'angelo azzurro ed è solo una figurante in cerca di gloria: al tempo della stesura i rapporti di forza si erano già capovolti.
Marlene rinnega la Germania nazista, vola in America, nonostante il regime volesse farne il simbolo del cinema teutonico, e diventa una diva internazionale. Polgar invece vaga disoccupato nel vecchio mondo, finché non riesce a imbarcarsi per il nuovo. Quando la Dietrich gli commissiona il libro, con ogni probabilità lo fa per camuffare la volontà di aiutarlo, ma offrendogli lavoro e non elemosina. Non vuole umiliare uno scrittore che stima.
[…] Quando Polgar le invia una raccolta di prose allega un biglietto: “Per Marlene Dietrich, ringraziandola vivissimamente di essere al mondo”. Lei, gentile, fa recapitare allo scrittore e alla moglie dei fiori. Poi verranno gli assegni – uno, di 500 dollari, è riprodotto nel libro – ma sempre con misurata signorilità, anzi, negandosi al telefono per non far pesare il debito contratto dalla sua generosità.
Ma Polgar crede nel libro, cui si dedica quando le circostanze lo permettono, portando con sé il manoscritto nei suoi spostamenti tra l'Austria e la Francia. Leggendolo si capisce perché: è scritto con stile di letterato e argomentato con sottigliezza di critico nei giudizi sull'artista, la cui chiave del successo a suo avviso sta proprio nel passaggio dal muto al sonoro, perché Marlene è una cantante dal timbro inconfondibile e “La singolarità della voce di questa donna corrisponde perfettamente alla singolarità del suo aspetto e del suo essere”.
[…] la Dietrich era unica. Per prima osò vestirsi da uomo, per di più senza avere la pretesa di esserlo. Si prese tutti gli amanti che desiderava senza usarli per far parlare di sé, anzi custodendo gelosamente la sua sfera privata. Costruì con razionale oculatezza la sua carriera, che teneva sommamente, pur avendo rifiutato le avances di Hitler, che la carriera gliel'aveva offerto su un piatto d'argento. Era una donna singolare per molti versi, anche per la specularità tra la sua vita e le sue idee, fu infatti per sincere credenze che chiesero la cittadinanza americana, pur dicendosi orgogliosa di essere tedesca.
Cantò Lili Marleen alle truppe durante la seconda guerra mondiale e fu la prima donna a ricevere la Medaglia della Libertà, la massima onorificenza degli Stati Uniti. […]
Nessun commento:
Posta un commento