lunedì 18 dicembre 2023

IL MENTECATTO

 Il nostro è un mondo di mentecatti. Lo è sempre stato - si potrebbe dire a ragione, semplicemente avendo letto qualche autore di una certa caratura del mondo antico o medioevale. Ma oggi è diverso. Ieri il mondo si organizzava, o tentava - per quanto possibile - di farlo per difendersi dai mentecatti; oggi si organizza e aumenta se stesso in funzione dell’esaltazione del mentecatto.

Chi è un mentecatto? Chi ha la mens capta. La mente prigioniera. Nelle menti libere, il processo che essa dirige è quello di vedere ciò che non si accorda con quello che si suppone; in quelle prigioniere, consiste, come in una gabbia, nel tenere fuori, quello che non è già dentro. Chi ha il potere di fare entrare qualcosa in quella mente, ha anche le chiavi di quella gabbia.
La chiusura mentale del mentecatto non è solo logica, ovvero la capacità di cogliere la concordanza concettuale di una serie di proposizioni o la loro discordanza. In fondo questa è un’operazione secondaria della mente e consiste, una volta possedute alcune figurine, nel vedere e unire quelle che hanno un colore identico da quelle che presentano un colore diverso. Semmai, dal punto di vista concettuale, è l’impossibilità di confrontare credenze date per certe con fatti o eventi esterni al campo delle convinzioni credute vere. Ad esempio, per fare un esempio lampante, il mentecatto affermerà sempre o ovunque di essere il padrone assoluto del suo corpo e di non tollerare intromissioni di sorta circa il suo uso e destino da parte di chicchessia, e dirà essere questa credenza non solo moralmente ineccepibile ma anche fondante il regime politico-giuridico in cui egli abita. Fatto salvo il giusto l’obbligo di vaccinazione.
Sarebbe interessante stilare un manualetto per riconoscere di primo acchito il mentecatto. Fra i segnali più significativi l’adesione entusiasta a qualsiasi neologismo venga dalla comunicazione di massa, sia esso relativo a qualche ridicolo concetto delle pseudo-scienze umane, tipo economia, sociologia, antropologia; sia esso un nuovo intercalare o una frase fatta, ad esempio “chiedo per un amico”. Più in generale, il mentecatto si riconosce per il modo in cui chiede attenzione. Per il fatto di esibire cose che riguardano il suo privatissimo mondo sentimentale, la foto della nonna appena deceduta, il gattino che fa le fusa, la sua passeggiata sulla spiaggia deserta, come potessero essere fatti di universale interesse e comune e devoto sentire. Ed è appunto in questa dimensione della sensibilità che più che in ogni altra espressione del suo spirito, ne rivela il tratto mentecatto.
E’ nel porre se stesso, la risibile dimensione umana nella quale - questo non è colpa, ma è una colpa non vederne la universale insignificanza e seriale coincidenza per ogni essere umano, fosse anche lo zar di tutte le Russie - vive come potesse qualcosa di significativo per altri e non solamente per se stesso. E’ fare della propria privata dimensione umana, un fatto significativo, degno dell’interesse altrui. E’ il lato della sensibilità che mostra, più di qualsiasi altro, la natura del mentecatto.
Il mentecatto è quello che non si accorge. Che non si accorge di essere inopportuno, che non si accorge di non avere gusto, ossia di aderire per principio, come per i neologismi, a qualunque stilema e modo di raffigurare se stesso e persino di godere di se stesso gli venga suggerito dalla comunicazione di massa. Come non vede che dei 100 anni della nonna non può fregare a nessuno, nemmeno a quelli che ritengono che i 100 anni della propria nonna siano un evento di primo piano da sbandierare al mondo, - quelli come lui insomma- così non vede che i graffiti sui muri delle case alveare di periferia come sul suo corpo possono essere apprezzati solo da chi non vede se non per frasi fatte. Allo stesso modo non vede che gli stracci che indossa e che compulsivamente, pur essendo sempre gli stessi solo dipinti di volta in volta a strisce diverse, esibisce come prova del suo essere fra gli esseri che, pur nel loro piccolo, non sono fra gli ultimi e fra gli esclusi, anzi fra quelli che .... ebbene può indossarli solo perché il padrone della sua gabbia glieli ha imposti come la tuta arancione dei carcerati Usa.
Allo stesso modo comprendiamo come sia possibile che quel torrente di merda che va sotto nome di musica commerciale sia possibile, senza essere rigettato come una forma, ancor prima che musicale, come espressione non solo sonora ma visiva e gestuale di un cattivo gusto senza limiti. Lo stesso per ogni proposta di felicità che il sistema della comunicazione propone: dalla vacanza su Costa crociere, al fine settimana sulla neve, alla fuga estasiante su di una spiaggia con palme, lontano dallo stress che una vita tanto intensa ed emozionante impone all’impiegato di un qualunque ufficio pubblico o di impresa privata.
Basta guardare alle città. Sarebbero possibili edifici tanto ributtanti se gli architetti non fossero loro stessi espressione del sistema e dunque attenti alle esigenze e comodità delle masse popolari redente dal benessere?
E qui si arriva al punto. Il sistema nella sua natura perversa ha per la prima volta nella storia bisogno del mentecatto, ha bisogno non solo di metterlo al centro del mondo, ma di riprodurlo serialmente come qualsiasi altra cosa esso produca, giacché la chiave del sistema è appunto la produzione per la produzione e senza consumatori, ovvero inerti senza capo né coda, non sarebbe possibile produrre sempre più cose, sempre più inutili, sempre più tutte eguali e tutte altrettanto perverse. Siano esse automobili, pezzi musicali, romanzi, soap-operas, dibattiti scientifici, ritrovati medici, visioni cosmologiche, ritiri spirituali nel mezzo della natura, aumenti di stipendio, cibi precotti. Solo una folla immane di mentecatti potrebbe aderire a tutto ciò senza imbarazzo alcuno, anzi spiegandoti quanto si è finalmente andati avanti.
In altre parole, la vera possente rivoluzione culturale che ha seguito l’industrialesimo tecnicista è il ruolo che deve avere il mentecatto nel mondo.
Basta avere letto “A se stesso” di Marco Aurelio, per avere chiara la differenza strutturale dei fini di chi dirigeva una volta il mondo e quella di adesso. Nulla quanto una folla anonima senza nozione alcuna di sé, ma guidata da suoi più immediati e irriflessi moti pulsionali, è causa del massimo pericolo di caos e generale infelicità per qualunque consesso umano. La soluzione non era, però, perché impraticabile, quella di cercare di modificare l’anima della folla, quanto quella di contenerla e circoscriverla, immaginandola come un’alluvione che doveva essere canalizzata in acque stagne, dove si sarebbe sfogata dentro di esse, senza ulteriori danni per i campi coltivati.
Al contrario, quando i professori universitari, i giornalisti, gli avvocati andarono nel secolo XVIII al potere, vollero credere o far credere che mentecatti non si nasceva, ma si diventava, dunque la prima fondamentale rivoluzione era creare le condizioni per eliminare i mentecatti e dare a tutti una visione razionale di sé. Non sappiamo se questa fu la conseguenza per cui l’evoluzione scientista del sistema aveva generato un sistema di comunicazione adeguato ai primi fini, ossia di mentecatti che parlavano ad altri mentecatti, oppure se fu il diavolo a metterci lo zampino. Il risultato è che l’idea che non è bello ciò che è bello, ma ciò che piace; che tutto è opinione e ogni opinione è degna come qualsiasi altra; che tutti, in quanto esseri umani, sono degni di rispetto, è diventato l’agglutinato ideologico che rende possibile la società dello sviluppo, del mercato globale, del tecnicismo industrialista, della competenza scientifica, dello shopping e del week-end.
Si può fare qualcosa? Certo, basta leggere l’Ecclesiaste dove afferma: “Chi vede e non teme la morte sarà sempre il tuo padrone”. Anche lo shopping ad un certo punto finisce, perché qualcuno spara sulla folla. In America già succede.
Alfredo Morosetti

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