lunedì 18 dicembre 2023

ERNST JUNGER

 Alfredo Morosetti

Questa forse l’ho già raccontata, ma la racconto un’altra volta perché la narrazione che mi è venuta in mente è sicuramente diversa da qualsiasi altra abbia pensato prima.
La lettura del libro di Ernst Junger, Nelle tempeste d’acciaio, cambiò radicalmente e definitivamente il mio modo di pensare. Intuii che solo l’esistenza di Dio poteva rendere possibile e spiegare quello che accade lungo la Marna, la Somme, fra i lievi declivi delle colline della Champagne. Solo se Dio fosse stato scolpito dall’eternità nel cuore di ogni soldato, francese, tedesco, inglese, questi avrebbero potuto reggere quello che hanno retto senza cedere. Solo Dio, ossia l’idea che prima viene il dovere di fare quello che va fatto e poi la propria vita biologica, poteva rendere possibile di vivere anni nel fango, con la prospettiva di morire in qualsiasi momento per l’esplosione devastante di uno snrappel che avrebbe fatto letteralmente a pezzi il proprio corpo oppure soffocati da una nube di gas tossici, oppure di andare all’assalto mitragliati da armi automatiche in grado di sparare proiettili che ti avrebbero troncato in due o portato via una gamba come fosse una foglia secca da un albero al soffio del primo alito di vento. La ragione umana avrebbe detto: spara agli ufficiali che si oppongono e torna a casa. Ma nessuno gettò le armi e rimasero al proprio posto fino alla fine. I Russi, persa la fede, lo fecero e per punizione ebbero la rivoluzione d’ottobre e quasi un secolo di gulag.
Junger fu diverse volte ferito, partecipò da eroe e gentiluomo alle missioni più rischiose, passò indenne attraverso le tempeste d’acciaio e divenne un mito vivente, prima come soldato e poi come scrittore.
Il Nazismo usò il suo mito per i propri scopi, allo scoppio della guerra lo fece ufficiale superiore proforma, cioè senza il comando effettivo di alcun reparto, e gli permise di vivere a Parigi fra intellettuali, opere d’arte, cose galanti. Naturalmente Junger non fu mai un nazista, semmai il contrario, proprio perché era un aristocratico.
Quando i bottegai vinsero la guerra (si fa per dire perché in realtà la vinsero i Russi) fecero due cose degne del loro spirito: rinchiusero in una gabbia il loro solo e unico poeta mai nato in terra americana Ezdra Pound e condannarono ad una sorta di scomparsa sociale Junger. Lo confinarono nemmeno in un villaggio, ma in una frazione agricola, di nome Wilfingen, vicina a Rottenburg, dispersa nella campagna sveva, composta da due grosse cascine e un piccolo cimitero, dove Junger fece seppellire il figlio morto combattendo in Italia. Fu lì che lo incontrai il giorno che compì 100 anni.
Bene, fra le altre cose, Junger ci ha lasciato un piccolo trattato di politica esistenziale nel quale delinea la figura dell’anarca. Cioè di lui stesso. Forse gli Americani, esiliandolo in una sorta di deserto, seguirono gli oscuri disegni della Divina Provvidenza, dando al pensatore e allo scrittore il contesto necessario per poter elaborare la dottrina del ribelle.
L’anarca non ha nulla a che vedere con la figura patetica dell’anarchico e con la dottrina sottoproletaria dell’anarchismo. L’anarca è colui che vive oltre e parallelo all’ordine sociale esistente. E’ colui che vive, come direbbero i Francesi, a coté. E’ colui che sta a lato perché estraneo a quello che passa il convento e vive secondo un’etica e un credo che non può essere condiviso e propagandato perché incomprensibile all’uomo qualunque. Solo chi è anarca nel cuore può incontrare un altro anarca, perchè non c’è modo di convincere alcuno ad esserlo se non lo è già. E’ colui che vede il limite e la povertà di ogni impresa umana e dunque sa che deve muoversi in un territorio sconosciuto e vergine, dove non sono ancora arrivate le mani odiose dei normalizzatori. E’ colui che prende il largo, non colui che chiede un consenso cioè un permesso. E’ radicalmente libero, perché si è liberato dell’opinione altrui, del bisogno dell’altrui sostegno e consenso. Dante aveva intuito qualcosa di simile quando delineò la figura di Ulisse nel canto XXVI dell’Inferno. Oggi, chi nel cuore sa di essere anarca, sa che è venuto il momento di prendere il largo.

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