lunedì 20 marzo 2017

Emanuele Severino

Antonio Gnoli-La Repubblica

Una lunga frequentazione - nel tempo trasformatasi in un'amicizia rapsodica - non mi impedisce di pensare a Emanuele Severino come a un uomo diviso. Da un lato si vede (o si intuisce) la grande costruzione speculativa, impersonale, spoglia di qualunque volontà etica, ideologica, religiosa; dall'altro c'è l'uomo concreto, sorridente, affettuoso, disponibile, con il quale condivido un buon gulasch. Su questo secondo Severino, il primo nutre solo indifferenza, forse perfino fastidio. Non credo si tratti di schizofrenia, non si rileva nessuna patologia, ma la presenza di due anime, questo sì, mi viene spontaneo pensarlo. E ora che sono nella sua grande casa di Brescia davanti a lui e al suo doppio dovrei pormi il problema di capire a quale dei due rivolgermi. Sono qui per interrogarlo sull'Europa e sul modo in cui la sua filosofia - fin dal testo che lo rese popolare sul finire degli anni Settanta Gli abitatori del tempo - ha posto al centro questo tema. Quando gliel'ho proposto per telefono mi ha chiesto perché. Gli ho detto che tutto quanto egli ha scritto ha come sfondo il vecchio continente. Mi ha replicato che l'Europa è Occidente, da sempre destinato al tramonto. Gli ho detto: d'accordo, ma un conto è pensare il tramonto, altro è viverlo. Poteva finire qui la nostra conversazione. E invece si è accesa la miccia dei due Severino. Con questa prima conseguenza: non si può parlare con lui di filosofia e di Europa al di fuori del linguaggio di Severino. Ma anche la sua lingua non è ciò che ascolto da quella voce, dai gesti che l'accompagnano, dalle pause che la ritmano. È una lingua altra e una necessità del pensiero. Se non si accetta questa premessa tutto quello che egli dice e dirà suonerebbe patetico, o peggio ancora ridicolo.


Ci si appresta a festeggiare a Roma i sessant'anni dalla firma dei trattati della Comunità Europea. Che ne pensi?
"Non ne penso niente. O meglio: penso che sia un modo per darsi qualche rassicurazione su un'Europa che sta andando in pezzi".

Quale dei due Severino lo dice?
"Quello che ti parla e che fra un po' ti invita a pranzo e guarda con timore tutto questo. L'altro Severino, come tu lo chiami, non può che constatare che la dissoluzione dell'Europa è già inscritta nella sua origine".

Che cosa accade in origine?
"Accade che da quando l'uomo è sulla terra, vuole diventare altro da ciò che è. Quando il serpente dice ad Adamo ed Eva se mangerete il frutto della conoscenza diventerete come Dio, è chiara la premessa di voler diventare altro da ciò che essi sono. L'estremizzazione di voler diventare altro da ciò che si è, definisce la novità filosofica nata intorno al V e il VI secolo avanti Cristo".

Diventare altro da ciò che si è può significare banalmente trasformarsi: prima ero un ragazzo ora sono un adulto, poi diverrò vecchio e alla fine per qualche ragione biologica o tragica morirò. Dov'è l'estremizzazione?
"Il pensiero filosofico greco porta l'altro nell'estremo, nel nulla. Intendendo come "nulla" l'altro da cui le cose divengono. Quando la filosofia pensa questo, lo fa in relazione alle cose del mondo".

Chi le pensa?
"Ad esempio Platone quando definisce la produzione, cioè la poìesis, la causa che fa passare qualsiasi cosa dal non essere all'essere. Il significato della poìesis traccia i confini entro i quali si sviluppa la storia d'Europa. Pensa all'idea che Marx ha dell'agire, della prassi. Sono trascorsi duemila e cinquecento anni. Ma il concetto è lo stesso che fissò Platone. Per la prima volta l'ontologia greca immaginò il mondo come una fluttuazione in cui gli eventi provengono dal loro non essere, stanno nell'esistenza e poi precipitano nel non essere".

Sembra un'anticipazione del cristianesimo: veniamo dal nulla e finiremo nel nulla.
"In qualche modo è una conseguenza di quel pensiero. Il cristianesimo eredita dai greci il concetto di niente".

Lo eredita ma fa un passo avanti: possiamo vivere nel nulla?
"Già i greci si posero il problema di che cosa ci fosse oltre il nulla. E se lo posero proprio in rapporto alla morte. Un conto era immaginare la morte come un viaggio dal quale si poteva tornare; altro era pensarla come annientamento della vita. Non fornirono una vera risposta, ma avvertirono, molto prima dell'esistenzialismo, il senso dell'angoscia che la morte provocava. Il cristianesimo cominciò a pensare a un rimedio che arginasse il monstrum del nulla e l'angoscia che la morte provocava".

Il rimedio in cosa consistette?
"Nella sua configurazione più visibile il rimedio fu chiamato Dio, Sacro, Eterno, Immutabile. Lo scopo era proteggersi e contenere il divenire delle cose. Naturalmente, i greci non furono dei teologi. Per loro Dio voleva dire il luogo in cui l'uomo credeva che fossero conservati tutti i tratti che a lui interessavano".

Un Dio che agisse contro il nulla.
"Un Dio custode di tutto ciò che ci interessa e che impedisca che l'annientamento sia totale. Già Eraclito ed Eschilo parlarono di rimedio al processo della morte. Questo quadro della tradizione, con un senso eterno e divino del mondo, si ritroverà con alcune varianti oltre che nel cristianesimo in altre figure della storia europea".

Quali sono le altre figure che hanno inglobato questa affermazione originaria?
"Tutti i grandi eventi della storia - cultura greca, Impero romano, Cristianesimo, Rinascimento, Illuminismo, Capitalismo, Comunismo e la scienza moderna - sono da un lato il risultato della poìesis platonica e dall'altro vogliono porsi come il rimedio all'angoscia del nulla e al fatto che le cose, gli enti sono slegati tra loro".

Che vuol dire slegati?
"Significa separati, isolati, divisi. La causa separante è nell'oscillazione delle cose tra l'essere e il niente. E questa separazione sta alla base di ciò che chiamiamo Europa. Non c'è una sola Europa, ma molte Europe: politica, religiosa, economica, geografica, etnologica ecc. Il loro reciproco isolamento impedisce che sia possibile una vera ed efficace unificazione".

Beh, quando si parla di radici dell'Europa si intende appunto che le radici sono l'identità comune del nostro continente.
"Sono radici improbabili. È vero che le figure storiche che ho indicato, cristianesimo in testa, rappresentano il tentativo di identità e unificazione di un certo mondo storico. Ma è un tentativo destinato a fallire".

Perché?
"Tutte le grandi figure della storia europea - da Alessandro Magno, passando per l'Impero romano, e via via per il cristianesimo e il cattolicesimo - sono dei tentativi di unificazione. Mostrano la volontà di superare la separatezza delle cose. La stessa filosofia, quando si allontana dal mito, intende indicare un principio unitario. Anche la scienza nasce come volontà di unificazione del mondo fisico. Lo stesso capitalismo intende abbattere le barriere e i confini e porsi come visione globale del mondo".

Cosa non funziona in questi tentativi?
"Non funziona l'idea che ci possa essere una forma storica così persuasiva e forte da impedire la dissoluzione delle cose del mondo. A un certo punto della storia del pensiero filosofico qualcuno si renderà conto di questa impossibilità".

Chi?
"Ho usato spesso un'immagine: il "sottosuolo filosofico dell'Occidente". Un luogo abitato da pochissimi pensatori. Tra questi il nostro Leopardi, Nietzsche, Dostoevskij. Essi mostrano l'impossibilità di ogni eterno, di ogni unità definitiva del mondo".

In altre parole mostrano l'impossibilità che un Dio ci possa salvare?
"Esattamente. Ma poiché le figure storiche che ho citato sono delle mondanizzazioni del divino, questa impossibilità si estende anche a quelle forme".

D'accordo, ma che cosa accade nel momento in cui si toglie a Dio la sua funzione di creatore e legislatore? 
"Come direbbe Dostoevskij tutto diventa possibile. L'uomo agisce e vuole dominare il mondo. L'esistenza di Dio costituisce un limite all'azione dell'uomo. Dio dice all'uomo: puoi agire fino a un certo punto, oltre violeresti le mie leggi. I pensatori del sottosuolo nel momento in cui distruggono il divino, fanno saltare ogni limite posto dall'assoluto. Essi dicono che non c'è limite all'azione umana e che l'uomo può agire senza remore".

Con quali conseguenze?
"La conseguenza principale è che essi portano alla luce l'assurdo di quella frase iniziale, che è la vera follia dell'Occidente: le cose escono dal nulla, sostano nell'esistenza e finiscono nel nulla. Può sembrare paradossale ma la negazione di Nietzsche e Leopardi che "Dio ha creato il mondo", è la condizione affinché la tecnica, che già guida il mondo, si liberi dagli impacci che la tradizione le pone e possa procedere nell'incremento indefinito della propria potenza. In origine è un fenomeno europeo. Col tempo è diventato planetario".

Stai dicendo rassegniamoci a questo dominio assoluto della tecnica?
"La rassegnazione non c'entra. Tutte le grandi forze che oggi dominano il pianeta ( Cristianesimo, Islam, Capitalismo, Comunismo, Populismo) confliggono tra di loro e si servono della tecnica per realizzare i loro scopi. Proprio perché nessuna di queste forze può fare a meno della tecnica, la tecnica è destinata a prendere il sopravvento. Sta già accadendo. E il problema non è rassegnarsi o reagire".

Escludi dunque le volontà dei singoli?
"Il discorso che faccio non è un'esortazione, un progetto, un invito, una sollecitazione ad agire. Un intellettuale che dicesse cosa fare sarebbe patetico. Non si tratta di indicare ai popoli cosa devono fare, ma mostrare che cosa sono destinati a volere".

Ma l'altro Severino che cosa pensa di tutto questo? Cosa pensa di questa " macchina" che non guidiamo noi e che ci porta dritti verso qualcosa che tu definisci necessario?
"L'altro Severino, come tu lo chiami, non avrebbe niente da dire. È un uomo in carne ed ossa, che ad 88 anni combatte la vecchiaia come può. Che a volte si arrabbia, a volte si commuove, che è preda delle sue debolezze e dei suoi errori. In quanto Severino potrei tranquillamente dire ai miei allievi: guardate che sono più nichilista di voi e in quanto individuo sono fedele a diventare altro".

Sei come si accennava all'inizio un uomo diviso?
"Goethe diceva: ah! due anime abitano nel mio petto. Potrei dire la stessa cosa di me. C'è la grande anima, che non è soggetta al trauma della lingua e della comprensione, non è un luogo o un tempo che tu puoi cambiare a piacimento; e c'è la piccola anima, segnata dagli errori, dai dubbi, dalle incertezze".

Non c'è rapporto, scambio, dialettica tra le due anime?
"Non può esserci. Non si può redimere la piccola anima. Sarebbe come quadrare il cerchio". Perché siamo così? "Questa domanda sottende la possibilità di essere altrimenti. Ma questo non è possibile".

Siamo quel che siamo.
"Non nel senso di essere "gettati" nel mondo, come intendeva Heidegger. Siamo quel che siamo perché questa è la verità".

Quindi i greci, l'Europa, la tecnica hanno profondamente travisato il senso dell'Essere?
"Lo hanno colto in una prospettiva alienante. Il che ha condizionato l'intera storia d'Europa e dell'Occidente. Sicché la terra dell'apparire si è trasformata nella terra desolata di Eliot. O meglio: nella terra infranta".

Alla fine siamo ben poca cosa.
"No, siamo più di Dio, poiché Dio è un'invenzione dell'alienazione. Siamo all'apparire della verità che non appartiene a Dio né alla verità tradizionale. E non ci sono piccole cose, perché tutte sono eterne".

Hai paura della morte?
"Come Severino ho paura del dolore e dell'agonia. La morte mi mette di buonumore. Ma potrei anche esserne terrorizzato. È la mia piccola anima che parla".

La grande anima non ha emozioni, non teme nulla e non vuole nulla. Chi la guida?
"Nessuno può guidarla. Essa appartiene al tratto originario del destino, ossia all'apparire della necessità. Si esce dal nichilismo, di cui l'Europa è stata l'interprete, pensando a qualcosa di infinitamente più grande di Dio. Ogni cosa, anche la più umile è eterna. È ciò che io chiamo destino della necessità".

Non credi che il richiamo al " destino" sia un modo per negare la responsabilità dell'uomo?
"Intanto il destino è qualcosa di profondamente diverso dal fatalismo che è l'altra faccia del culto della libertà. Quest'ultima lega la responsabilità al tempo della decisione. Per cui si è responsabili solo quando si decide di esserlo. Mentre la presenza del destino rende l'uomo responsabile fin dalla nascita. Lo è sempre e non a fasi alterne".

Tutto questo come si traduce in un discorso sull'Europa?
"Non credo che sia facile tradurlo. Parlare di unificazione, celebrare i trattati, tornare alla volontà di coloro che videro nell'unità dei popoli il sogno dell'Europa è individualmente encomiabile. Ma temo che l'Europa sia nata vecchia. Il suo destino è segnato dal destino dell'Occidente. Viviamo
in un mondo in cui il prossimo è stato massacrato e le leggi sono state violate. Perché? Se non si sa rispondere a questa domanda in modo radicale, allora ogni tipo di unificazione politica è un dogma. E ogni dogma è una forma di violenza " . ©

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