lunedì 20 marzo 2017

Cos'è l'uomo?

Domenica 19 Marzo, 2017
La scienza non sa che cos’è l’uomo
Marco Del Corona - La Lettura




Un testo breve, che dal titolo e dallo stile sembra ispirarsi ai saggisti del Settecento illuminista anglosassone ma a tratti si accende della verve di un pamphlet. Il britannico Roger Scruton, filosofo e polemista conservatore dagli interessi eclettici, con il nuovo libro uscito nei Paesi anglofoni, On Human Nature , vuole andare al cuore della questione delle questioni. Sulla natura umana: niente di più, niente di meno. «Non che volessi scrivere un grande trattato — spiega — ma solo portare l’attenzione del lettore sui fatti basilari che riguardano la natura umana, fatti che vengono spesso trascurati. In particolare ora, quando la scienza ha scalzato la religione dal centro della visione dell’uomo».
Questo è un libro di antropologia filosofica. Si tratta di una disciplina che va riconsiderata dopo essere stata messa da parte?
«Sì, l’antropologia filosofica non avrebbe mai dovuto essere abbandonata. Va detto che conta alcuni sostenitori moderni molto potenti: come Giovanni Paolo II, sulle orme di Max Scheler».
Uno degli obiettivi del testo è contrastare o ridurre l’influenza di un approccio all’esistenza umana di fatto scientista, centrato sulla biologia. Qual è stata la scintilla che l’ha spinta a scrivere «On Human Nature»?
«È così. Io voglio lasciare che la biologia occupi la sua posizione legittima ma anche convincere il lettore che le questioni sulla natura umana davvero rilevanti non hanno a che fare con la biologia e vanno affrontate per un’altra via: la via della filosofia».
Intende dire che le scienze oggi godono di un’eccessiva rilevanza nel discorso pubblico e nel modellare i nostri valori?
«Le scienze sono sempre importanti e ogni discussione pubblica deve fare del suo meglio per comprenderle e incorporarle. Il problema sono le pseudoscienze, scienze senza un genuino metodo scientifico, messe insieme per convincere le persone che le questioni che le assillano hanno una risposta scientifica, anche se non si tratta di questioni scientifiche. Per esempio, la questione della libertà. Qualcuno potrebbe dire: non abbiamo libertà perché tutte le nostre azioni sono il prodotto dell’attività del sistema nervoso. E, a sostegno di questa conclusione, si adduce ogni genere di motivazione legata all’attività neuronale. Invece no. La questione della libertà non è scientifica: riguarda il nostro modo di comprenderci l’un l’altro quando prendiamo seriamente la nostra soggettività».
Un approccio scientista non può davvero incorporare o addirittura spiegare caratteristiche e valori dell’uomo, lei sostiene.
«Credo sia un libro piuttosto difficile. Ma alla sua base il contenuto è semplice: in particolare, che noi esseri umani non viviamo nello stesso mondo degli altri animali ma in un mondo che concepiamo noi stessi. Ricreiamo il mondo attraverso le nostre attività e siamo responsabili del posto che vi occupiamo».
Uno degli assi portanti di «On Human Nature» è il ruolo centrale dell’io e della relazione io-tu. Oggi assistiamo a una moltiplicazione dei «tu» virtuali attraverso i social media. Qual è la sua visione del fenomeno?
«Sì, il perno sta nella relazione io-tu. Lo dimostrano i social media, che sono lì a fortificare un fragile senso del sé amplificando la cassa di risonanza dei molti “tu”. Ma i “tu” in questione sono più o meno virtuali e dunque ne consegue una perdita di realtà, un nascondersi all’altro dietro lo schermo sul quale l’altro è proiettato».
I social media che moltiplicano anche l’io pongono problemi meramente psicologici o anche filosofici?
«La filosofia non può risolvere tutte le patologie sociali. Sono certo che i social media produrranno metodi totalmente nuovi di comprensione del sé. Tuttavia non demoliranno la condizione fondamentale della nostra esistenza personale, che è la responsabilità nei confronti degli altri».
Lei, appunto, definisce la virtù come la capacità di essere responsabili delle proprie azioni. Il nostro è un mondo dove quest’idea di virtù è in ritirata?
«Sì, l’idea di virtù che difendo è, in una certa misura, in ritirata. Questo però non significa che non sia necessario difenderla. Al contrario, non c’è mai stato tanto bisogno di virtù quanto ora. Senza virtù nessuno può compiere un vero sacrificio e senza sacrificio non esistono né amore né pace che tengano».
Nel suo volume sembra non esserci posto per la politica. Perché? È rimasto deluso dalla politica in generale o da quella del suo Paese, la Gran Bretagna?
«In un libro breve non volevo essere distratto dalla politica, benché quel che sostengo abbia comunque implicazioni politiche. Adesso non sono deluso dalla politica più di quanto lo sia sempre stato: e credo che l’illusione più pericolosa di tutte sia quella che possa esserci una soluzione politica alla condizione umana. È stata l’illusione che ha devastato il mondo nel Novecento. La politica nel mio Paese è in una fase interessante, naturalmente, ma quello che merita di essere notato è che procediamo giorno dopo giorno in un contesto pacifico e di dialogo».
Il quarto capitolo di «On Human Nature» è focalizzato sul ruolo delle credenze religiose e metafisiche e su virtù come la pietà. Tuttavia le religioni organizzate quasi non vi compaiono, come se lei non credesse che queste possano ancora rispondere a questioni fondamentali...
«Le religioni organizzate costituiscono una forza importante, molto migliore di una religione non organizzata, e va detto per inciso che io considero l’islam come la principale religione non organizzata. Ci sono risposte religiose a molte delle nostre domande, ma dipendono da pietà, preghiera e umiltà».
Possiamo chiederle che cosa pensa di Donald Trump, dell’impatto che avrà sulle società dell’Occidente, della Brexit?
«Trump è un prodotto dei social media che gli hanno consentito di raggiungere coloro che si sentivano abbandonati dalla classe politica. Sono le stesse persone alle quali, nel voto sulla Brexit, è stata data la possibilità di far conoscere i propri sentimenti. Tutt’e due i casi si sono rivelati degli shock politici per l’élite politica. Ma il problema è l’élite politica, non la gente. Nel lungo termine dubito che penseremo che sia successo alcunché di speciale. Trump è una persona aggressiva e sgradevole ma, diversamente da Erdogan in Turchia, per esempio, non ha arrestato i giudici. Ha riconosciuto che il presidente deve obbedire alla legge e ha cominciato a cambiare le proprie intenzioni riguardo alcune delle sue politiche».
Lei chiude il libro con un omaggio al potere dell’arte, che non solo dà all’uomo un piacere superiore ma rende possibile raggiungere idee che altrimenti non possono quasi essere espresse. Gli artisti di oggi sanno produrre questo genere di epifanie?

«Tutti i veri artisti riconoscono di avere il dovere di redimere il mondo. Non in termini religiosi ma nel modo proprio dell’arte, che è trovare ordine, senso e verità nelle cose che ci travagliano. La vera arte è un lavoro di amore e gioia. Molta arte moderna invece s’è votata all’odio e alla profanazione, ma proprio per questo verrà dimenticata. Quando si guarda indietro al dopoguerra italiano, se ne trova l’anima nitidamente impressa nei film di Fellini, Antonioni e Pasolini, nella musica di Berio e Dallapiccola, negli scritti di Calvino e Moravia. E ci si renderà conto che gli italiani hanno ricevuto una benedizione».

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