Carlo Rovelli - La Lettura
La Storia della astronomia dalla sua origine fino all’anno MDCCCXIII , di Giacomo Leopardi, è un testo sorprendente. Trecento pagine di erudizione densissima, in cui si ripercorre l’evoluzione della disciplina dall’antichità fino al presente, elencandone con dettaglio puntiglioso tutte le fonti, con una completezza e una competenza che forse non ho incontrato (mi perdonino) nei miei colleghi storici della scienza. E tutto questo composto da Giacomo Leopardi a… quindici anni!
È anche una delle testimonianze più trasparenti dell’intersecarsi di scienza e lettere al cuore della migliore cultura italiana. La formazione culturale dei nostri due massimi poeti, Dante e Leopardi, è disegnata dal sapere scientifico del loro tempo, assorbito in profondità, fatto proprio, e diventato genuina sorgente del loro canto.
Terminato nel 1813, il testo copre la storia dell’astronomia dagli oscuri inizi presso i Caldei fino allo stesso anno 1813. Non è un trattato di astronomia. Leopardi non si avventura nei dettagli tecnici, per i quali non ha competenza. Ma questo rende ancora più impressionante la sua chiarezza nel valutare i diversi contributi e cogliere il succo di tutti i risultati maggiori. Con maturità impensabile per la sua età, riesce a presentare una sterminata ricchezza di dettagli bibliografici e trarne una sintesi limpida. Come un ragazzo quindicenne abbia potuto acquistare erudizione e capacità di giudizio simili è stupefacente. Non c’è dubbio che il giovane Giacomo avesse un’intelligenza del tutto fuori dal comune. Tratto d’altronde notato subito da tutti coloro che vengono in contatto con lui in quegli anni.
Il senso del testo diviene vivido se pensiamo al contesto dal quale emerge. Giacomo vive isolato a Recanati. Suo padre, Monaldo, conservatore, ligio all’autorità della Chiesa, è fortemente opposto alle idee copernicane; mentre quella di Giacomo quindicenne è un’appassionata difesa di Copernico. Nella sua erudizione il testo è ovviamente uno scritto di ribellione. Come nel Saggio sopra gli errori popolari degli antichi , di poco successivo, la scienza è sentita come strumento per crescere, eliminare gli errori dell’ignoranza e del bigottismo, che il piccolo Giacomo percepisce intorno a sé. È il periodo dello studio «matto e disperatissimo», durante il quale il ragazzo impara praticamente da solo latino, greco ed ebraico, più inglese, francese e spagnolo. È completamente concentrato in questo
«...Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera».
La sua libertà è la straordinaria biblioteca che si ritrova in casa. Lì Giacomo impara, scopre mondi, sogna. Le idee dell’Illuminismo europeo arrivano fino a lui e lo infiammano. Sogna di partire, oltre «quella siepe», oltre quei «lontani monti». Il suo cuore giovane e generoso si ribella all’ottusa, retriva cappa del pensiero dominante nello Stato della Chiesa, e scopre mondi. L’astronomia è il tramite di questo uscire da sé e andare verso l’infinito. Guardare il cielo, parlare agli astri, alle «vaghe stelle dell’orsa», intrattenersi con la luna («Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,/ Silenziosa luna?») resterà per sempre la cifra del suo canto.
Forse se fosse riuscito subito a scappare da Recanati, al primo tentativo, spinto dal fuoco dell’entusiasmo giovanile e dalla consapevolezza chiara dei suoi talenti, se il padre non l’avesse scoperto tarpandogli le giovani ali, forse la vita di Giacomo sarebbe stata migliore. Ma, forse, non avremmo il suo canto. La strada successiva non sarà facile per lui. Degli entusiasmi che tanto promettevano al suo cuore adolescente il poeta dirà di sentirsi spesso ingannato. La Verità cercata con passione smaschera le illusioni, e lui non ha la forza di viverla. La sua sincerità profonda gli impedisce di mentire, di rifugiarsi nella falsità, ma è troppo legato al passato per accettare con gioia la leggerezza conquistata. Il risultato saranno per noi, per l’umanità intera, alcune delle pagine di più pura e commovente bellezza che mai siano state scritte, pagine che vanno diritte al nostro cuore.
La Storia della astronomia non sarà pubblicata da Leopardi in vita. Forse lui stesso non ne era convinto. È tutt’ora preziosa fonte di informazioni per uno studioso (l’ho usata per preparare il mio corso di Storia della scienza), ma non è certo testo di piacevole lettura. Giacomo ne è consapevole, il libro si chiude con le parole «Se di codesto mio lavoro non si curasse la presente età, possano almeno sapermene grato le ombre sacre di coloro, che contribuirono alla scienza dell’avanzamento degli astri». È per se stesso che il giovanissimo Giacomo scrive quest’opera monumentale, così come in tanti, adolescenti, abbiamo riempito quaderni che servivano solo a noi stessi per crescere. Il nutrimento della sua anima Giacomo lo cerca, e lo trova, in quello che sappiamo del vasto mondo: la scienza, l’astronomia. «L’uomo — inizia Leopardi — s’innalza per mezzo di essa come al di sopra di se medesimo, e giunge a conoscere la causa dei fenomeni più straordinari».
Le edizioni La Vita Felice hanno ripubblicato la Storia della astronomia , con una bella introduzione di Armando Massarenti, che ci offre una nitida rilettura della poesia di Leopardi «alla Calvino»: «È la luna — scrive Massarenti — a portarci diritti verso la Leggerezza, figlia legittima della giovanile Storia della astronomia» .
C’è molto ripensare Leopardi di questi tempi in Italia. Enrico Palandri sta scrivendo un testo su di lui dal titolo Verso l’infinito . L’anno scorso sono usciti due libri di successo sul poeta: Edoardo Boncinelli e Giulio Giorello hanno pubblicato L’incanto e il disinganno. Leopardi: Poeta, filosofo, scienziato (Guanda), che sottolinea la grande lucidità intellettuale del poeta, la sua capacità di smascherare le fole e le illusioni degli uomini, quelle religiose, e quelle delle magnifiche sorti progressive ottocentesche. E Alessandro D’Avenia ha scritto L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita (Mondadori), bella esortazione ai giovani a credere nella verità dell’adolescenza, della passione e della bellezza. La sorgente prima, tanto di questa chiarezza intellettuale del poeta, quanto di questo suo incantato sguardo sul mondo, è aver fatto profondamente proprio il sapere scientifico a lui contemporaneo, e prima l’astronomia, madre delle scienze.
È difficile, credo impossibile, conoscendo il canto di Leopardi, non amarlo, non sentirlo profondamente fratello, non riconoscere in lui uno dei cantori più intensi e veri della nostra anima. La sua consapevolezza dell’«infinita vanità del tutto» è ciò che di più onesto ci offre la nostra letteratura. Ma, allo stesso tempo, il suo stesso canto ci mostra, non in teoria ma direttamente sulle nostre emozioni profonde, come l’estatica bellezza del mondo, il profumo della ginestra, ci siano in fondo sufficienti. Nel parlarci del non senso della vita, il suo canto fa traboccare ogni cosa di senso. Leopardi ci è vicino perché parla la lingua del nostro cuore nello sperdimento, nella disillusione, quando si è nudi davanti alla verità. Ma ci è ancora più vicino perché la meraviglia del suo canto, nonostante la sua disillusione, dà senso alla bellezza del mondo, dà senso a tutto. In tanti l’abbiamo amato, nella nostra difficile e solitaria adolescenza, e i suoi versi continuano a cantarci nel cuore e dirci che la vita, nonostante l’«infinita vanità del tutto», è anche magico incanto. E naufragare nel suo mare è dolce.
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