venerdì 3 maggio 2024

BULGAKOV E STALIN

 «Michail Afanas’evic Bulgakov?». «Sì, sì». «Adesso le parlerà il compagno Stalin». «Cosa? Stalin, Stalin?». «Sì, le parla Stalin. Salve, compagno Bulgakov». «Salve, Iosif Vissarionovic». «Abbiamo ricevuto la sua lettera. L’abbiamo letta con i compagni. A tal proposito riceverà una risposta positiva... Ma è proprio vero che lei chiede di andarsene all’estero? Siamo stati così cattivi?». «Ho pensato molto negli ultimi tempi se uno scrittore russo possa vivere fuori dalla sua patria. E mi sembra di no». «Ha ragione. Anch’io la penso così. Dov’è che vuole lavorare? Al Teatro d’Arte?». «Sì, volevo. Ne avevo parlato, ma ho ricevuto un rifiuto». «E lei invii loro una richiesta. Penso che accetteranno. Noi dovremmo incontrarla, parlare con lei». «Sì, sì, Iosif Vissarionovic, ho molto bisogno di parlare con lei». «Bisogna trovare il tempo e incontrarci, necessariamente. E ora le auguro ogni bene». 

Della conversazione telefonica fra Stalin e lo scrittore conosciamo il resoconto conservato da Elena Sergeevna, la terza moglie di Bulgakov. È il 18 aprile 1930, il giorno dopo i funerali di Majakovskij a cui anche Bulgakov ha partecipato. Il suicidio del poeta della rivoluzione ha destato grande emozione, forse Stalin decide di chiamare lo scrittore, ormai fortemente sgradito agli apparati del partito, per non aggravare la situazione, per non dare l’immagine di un regime che perseguita gli intellettuali (pochi anni prima si erano uccisi Sergej Esenin e Andrej Sobol’). La lettera di cui Stalin parla è quella inviata da Bulgakov al «governo dell’Urss», il 28 marzo, per denunciare l’accanimento della stampa sovietica nei suoi confronti. Vorrebbe lavorare in un teatro, scriveva, ma se anche questo è impossibile, allora chiede il permesso di espatriare. Dopo la telefonata, il 10 maggio, Bulgakov otterrà un posto come assistente regista al Teatro accademico dell’arte di Mosca. 

Mikhaíl Bulgakov in una foto del 1940
I guai, per lo scrittore, erano cominciati nel 1925, proprio per il racconto «Cuore di cane», giudicato impubblicabile per la satira sull’uomo nuovo sovietico. Nel maggio del 1926, la polizia politica Ogpu perquisisce l’appartamento di Bulgakov e requisisce il suo diario e due copie dattiloscritte di «Cuore di cane». Seguirà la triste odissea delle sue opere teatrali («I giorni dei Turbin», dal romanzo «La guardia bianca», «L’appartamento di Zoja» e «L’isola purpurea») che, nonostante il successo, finiranno per essere ritirate. La commedia «La corsa», giudicata da Stalin «un fenomeno antisovietico», non ottiene il nulla osta. Nel 1929 Bulgakov chiede il permesso di andare all’estero, che gli viene negato. Poi, in ottobre, insieme ad Anna Achmatova, Zamjatin e Pasternak, esce dall’Unione panrussa degli scrittori. Quell’anno, dirà in seguito, fu «l’anno del mio annientamento come scrittore». 

Nessun suo libro è più pubblicato dal ’25, e ora anche i suoi lavori teatrali spariscono. All’inizio del ’30, brucia alcuni suoi manoscritti, fra cui le prime redazioni del «Maestro e Margherita». Negli anni a seguire, se lo stipendio del Teatro d’arte gli consente di sopravvivere, la maggior parte dei suoi progetti sarà bocciata. 

E Stalin? Dopo aver salvato la vita a Bulgakov, sappiamo che farà un’altra celebre telefonata. A Boris Pasternak, il poeta che aveva protestato per l’arresto di Osip Mandel’stam. È il giugno 1934, il colloquio è meno cordiale. Quando Stalin gli chiede se Mandel’stam è suo amico, Pasternak risponde imbarazzato: «I poeti raramente sono amici, sono gelosi l'uno dell’altro, come belle donne. Noi due ci muoviamo su cammini del tutto diversi». La replica di Stalin è gelida: «Noi bolscevichi non rinneghiamo i nostri amici».

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