venerdì 10 maggio 2024

AMERICAN GOTHIC

 Roberta Scorranese per il “Corriere della Sera”

Quando apparve per la prima volta in mostra all'American Art Institute di Chicago, l'olio “American Gothic” di Grant Wood suscitò immediatamente una certa diffidenza: che cosa volevano dire quelle due figure allampanate, dipinte in primo piano di fronte a una casa con evidenti rimandi all'architettura gotica? E perché quelle pose bizzarre, frutto di un'osservazione lenticolare del mondo, più simile alla pittura fiamminga del Quattrocento che allo sguardo vorace di una nazione allora giovante e rampante come gli Stati Uniti? E così, nel 1930, nell'America ferita al cuore dalla Grande Depressione, quello che sarebbe diventato poi uno dei dipinti più citati, riprodotti e parodiati, racimolò a fatica una medaglia di bronzo e un misero premio in denaro, poche centinaia di dollari, un contentino.
Però, il pittore dell'Iowa, all'epoca trentanovenne, aveva colpito la sensibilità di un intero Paese, anche se non poteva ancora sapere che già soltanto pochi anni dopo sarebbero comparse le prime riproduzioni di massa, sui giornali e persino nelle pubblicità. Così come non poteva sapere che gli restava poco più di un decennio di vita, visto che morirà nel 1942 per un cancro al pancreas. Farà tuttavia in tempo a leggere le lettere indignate degli abitanti della sua città, Iowa City, così come quelle provenienti da altri Stati del Midwest: quella rappresentazione arcigna, rurale e puritana della famiglia americana di provincia non era piaciuta affatto a gente che si sentiva, invece, investita di una straordinaria nobiltà di animo rispetto alla vita dissipata dei grandi centri urbani: in fondo, “Il Grande Gatsby” era uscito cinque anni prima. Quello che sappiamo per certo, invece, è che il suo dentista, Byron Gordon McKeeby, e la sorella del pittore, Nan Wood, si resero conto subito che le loro facce sarebbero diventate presto tra le più famose di sempre. E la sorella dell'artista, qualche anno dopo, dichiarò il proprio imbarazzo nel vedersi rappresentata come la moglie di un uomo molto più anziano di lei, dunque cominciò a diffondere la voce che il quadro ritraeva un padre con la figlia, dettaglio che lo stesso Grant Wood confermò in una lettera del 1941.
Dettagli personali a parte, l'enfasi posta sulla serietà e sulla dedizione al lavoro della provincia americana (il forcone tra le mani dell'uomo, l'abbigliamento comodo ma al tempo stesso curato e l'asciuttezza delle due figure) si incanalò perfettamente nella politica rooseveltiana del New Deal e la riscossa americana alla crisi economico-finanziaria si nutrì anche di simboli come questo.
Di qui il fiume di citazioni, copie, riproduzioni che in breve tempo inondò il Paese, a cominciare dalla fotografia scattata da Gordon Parks nel 1942, intitolata appunto “American Gothic”, dove si vede una donna delle pulizie afroamericana che tiene tra le mani una scopa e uno spazzolone, con evidente riferimento al dipinto.
Ma se da un lato è vero che il richiamo all'epoca dei pionieri e al Middle West come embrione dello spirito americano più incontaminato e resistente esercitò una presa irresistibile, è anche vero che il quadro di Wood è uscito dai confini statunitensi per entrare in un immaginario molto più vasto e longevo. Merito di qualcos'altro, di un messaggio subliminale più profondo e radicato, che parte dalle due figure in primo piano, stranamente sole, anche se vicine e legate da un reciproco senso di cura. Nello stesso anno, anche se in un contesto diverso, Edward Hopper dipinse “Early Sunday Morning”, piccolo capolavoro dell'assenza: una strada cittadina deserta, una fila di negozi chiusi, il sole che sale piano e che illumina case sbarrate. Un altro volto della crisi americana, quello della periferia urbana, dei dimenticati dal dio del capitalismo e del progresso. Due solitudini differenti, ma accomunate da una grande intuizione: siamo soli in mezzo alla folla.
Siamo soli anche nelle città più popolose, anche nelle periferie affollate di lavoratori in cerca di salario (come nel dipinto di Hopper), siamo soli anche in una nazione giovane e piena di sogni, siamo soli (come nel caso delle due figure di Wood) a difendere - e se necessario anche con un forcone in mano - alcuni valori fondanti della nostra nazione. In entrambi i casi c'è un senso di difesa, di riparo da qualcosa. Che cosa? Dal potere sempre più invisibile e capillare, da un mondo molto popoloso ma privo di legami tra i singoli individui, dal senso di estraneità tra persone che condividono lo stesso palazzo.
È questo il nodo culturale che ha contribuito a rendere “American Gothic” uno dei dipinti più famosi di sempre: la solitudine umana nella società di massa. Come Hopper aveva intuito che il capitalismo stava trasformando le città in agglomerati di solitudini, così Wood, artista della provincia americana rigorosa e confessionale, capì che la dimensione del Paese poteva diventare un baluardo non solo per i valori dell'America, ma più in generale contro la massificazione sociale.
Questa dimensione (assimilata al Regionalismo, corrente che accomunò altri artisti e scrittori dell'epoca) fa riferimento non solo alle tendenze della cosiddetta Hudson River School, movimento di artisti che nella metà del XIX secolo dipingeva sulle sponde del famoso fiume, mettendo l'accento sul paesaggio americano al di fuori delle metropoli in ascesa. Risale più addietro, a Thoreau e a Emerson, alla celebrazione della purezza dei boschi e delle foreste come emblema di un animo nobile, incontaminato dalla folla. Per loro lo sterminato paesaggio statunitense delle origini è privo di peccato, ha una sua innocenza che si rifletterà sul principio degli anni Trenta anche nella letteratura popolare, per esempio nell'autobiografia “Little House in the Big Woods” (1932) di Laura Ingalls Wilder, da cui nascerà poi una delle serie televisive più longeve, “Quella casa nella prateria”.
E non è un caso che appena un anno prima, nel 1929, fosse stato pubblicato un saggio importante, “La ribellione delle masse” del filosofo spagnolo José Ortega y Gasset. In questo libro l'autore rifletteva sulla contrapposizione di una società sempre più massificata e la fragilità dei singoli individui che possono trarre forza solo irrobustendo la propria singolarità. E meno di dieci anni prima, nel 1921, Freud aveva scritto “Psicologia delle masse e analisi dell’io”, una profonda riflessione su come finiamo per agire quando ci troviamo in un contesto di folla o di gruppo.
Ma in Wood e negli altri artisti della sua epoca, c'è un elemento ulteriore: la cosiddetta “dejection”, cuore dell'antropologia protestante, cioè la salvezza che arriva dall'esercizio disciplinato e costante delle proprie capacità nell'ambito del mutuo soccorso sociale. Insomma, la comunità perfetta, dove ci si aiuta a vicenda e ciascuno coltiva il proprio senso di responsabilità.
Ecco allora che “American Gothic” si illumina nel suoi significati più profondi: l'architettura rurale come scenario per un perfetto romanzo di formazione americana, la mutua assistenza tra padre e figlia, la famiglia al centro di un paesaggio fatto di fede, lavoro, difesa da una massificazione che snatura ogni individuo e che lo rende arrabbiato, depresso, povero. E si coglie anche il senso delle parole che Elio Vittorini, grande cantore della narrativa americana, usò per descrivere gli scrittori moderni d'Oltreoceano: “felice linea adolescente di un'epopea popolare”. Innocenza, dunque. Come difesa dal “brutto”.

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