sabato 30 marzo 2024

I ROMANI E GLI DEI

 Sergio Rinaldi per “il Fatto quotidiano” 

 

augustoAUGUSTO

Mala tempora currunt, e atti terroristici come quello appena rivendicato dall ’Isis a Mosca potrebbero perfino peggiorare ulteriormente la situazione. Il 13 marzo scorso, su questo giornale, Massimo Fini cercava conforto nel passato e in particolare nel mondo romano. “ Il più grande Impero di quei tempi– scriveva – conquistava territori, chiedeva che le nuove province pagassero le tasse... ma non pretendeva di cambiare i costumi, le tradizioni, le istituzioni dei popoli assoggettati. Questo dovrebbero imparare gli occidentali e soprattutto gli americani che pretendono di imporre i loro valori all’universo mondo”. Considerazione condivisibile: cerchiamo di approfondirla, cogliendo perfino, nel finale, uno spunto per riflessioni sul presente.

 

Per la verità l’inizio della storia non è edificante. Dopo lunghi periodi di cruente conquiste e di guerre civili, e dopo l’uccisione di Cesare nel 44 a.C., il figlio adottivo Ottaviano, assoldando un minaccioso esercito privato e facendosi nominare console dal Senato (si legga Luciano Canfora, La prima marcia su Roma), emerge fra Marco Antonio e altre figure: è un colpo di Stato e lo racconta proprio lui nell’autobiografia ufficiale, le Res Gestae.

particolare colonna traianaPARTICOLARE COLONNA TRAIANA

 

Dal Senato stesso riceverà poi il titolo di Augustus (qualcosa di simile a“venerabile”), fonderàl’impero riorganizzando le province e instaurerà dopo tante guerre il culto della Pax Romana , dedicandole nel 9 a.C. un magnifico altare (Ara Pacis) non lontano dal suo Mausoleo.

 

 

(...)

Strumenti di coesione sono la lingua (nelle province orientali però si continua a parlare greco) e il diritto, e la romanizzazione è profonda anche in territori assoggettati dopo guerre lunghe e sanguinose. Vi furono, come è noto, imperatori spagnoli: nel II secolo Traiano e Adriano, nel IV Teodosio. Ma anche africani, come Settimio Severo, a cavallo fra II e III; e fra III e IV il numero di “provinciali” al potere va moltiplicandosi. Non solo imperatori: dalla Siria viene Apollodoro di Damasco, architetto di fiducia di Traiano; e dalla Bitinia, sul Mar Nero, viene Elio Aristide, maestro di retorica, autore nel 144 d.C. di una sperticata lode all’Impero nell’orazione In gloria di Roma.

antica romaANTICA ROMA

 

Traiano peraltro, esempio di “integrazione”, non disdegna la guerra, anzi... E con le campagne del 101-102 e 105-106 d.C. conquista la Dacia e porta l’impero al massimo dell ’espansione: il confine misura 10.000 chilometri.

 

Il “rispetto per le istituzioni dei popoli assoggettati” di cui parla Fini si manifesta soprattutto nella sfera religiosa.

 

Nell ’orizzonte dei valori dell’Urbe il tema “religione” è fondamentale. Religione di Stato: non c’è momento della vita pubblica e privata che non sia accompagnato da riti. Ebbene, alle popolazioni delle province si consente di mantenere tradizioni e culti propri, cercando inoltre rapporti-raffronti con le divinità romane (in terpretatio ). In Gallia, al dio celtico della salute, ma anche della guerra, Lenus, si accosta quello romano, Marte; nella stessa Gallia e in Germania, Taranis si associa con Iuppiter (entrambi lanciano la folgore); in Egitto lo stesso Iuppiter si affianca adAmon; in Tracia Bendis, dea cacciatrice, è analoga a Diana...

traiano 33TRAIANO 33

 

Esempi di queste dinamiche, e anche elementi per una discussione su temi attuali, si trovano in una città della Provenza (antica Gallia Narbonensis ): la Saint-Rémy cara a Van Gogh, per i Romani Gla num. Già in origine era un sito speciale, influenzato dalla vicinanza di Marsiglia (unica colonia greca in Occidente, fondata nel VI a.C.): era, si può dire, una città gallo-greca. Prima di Roma, i culti locali erano stati, presso una sorgente salutare, quelli del dio celtico Glan (che dava il nome al sito) e delleMa tres Glanicae; in età imperiale Agrippa, genero e braccio destro di Augusto, vi aggiunse il tempio della Valetudo (dea romana della salute).

 

Divinità celtiche e romane in tranquilla compagnia presso una fonte che assicura benessere.

 

Al limite nord della città erano un arco e, poco oltre, un grande mausoleo: fra i rilievi che decorano l’arco ve ne è uno, piuttosto danneggiato ma comprensibile, in cui si vedono due personaggi ai piedi di un trofeo (un grosso palo su cui sono montatele armi che si immaginano tolte al nemico vinto). A destra è un barbaro prigioniero con le mani legate dietro la schiena; a sinistra, gli accarezza una spalla un uomo che non è cittadino romano (non indossa la toga, simbolo appunto di tale cittadinanza) ma se la passa bene, col suo elegante mantello frangiato.

rilievo mausoleo saint remyRILIEVO MAUSOLEO SAINT REMY

 

Simbolicamente rappresenta coloro che, al momento della conquista romana, sono venuti a patti con i vincitori, e ne hanno tratto vantaggi. Due studiosi francesi, i coniugi Pierre Lévêque e Monique Clavel-Lévêque, ipotizzano questo significato: l’uomo che ha patteggiato conforta l’altro, che non si è arreso, ma ora rischia, e forse gli suggerisce di cambiare atteggiamento. Tema di attualità: considerare l’ipotesi di un compromesso (per carità non diciamo “resa”) o combattere fino alle estreme conseguenze?

venerdì 29 marzo 2024

IL VINO

 Alessandro D'Avenia per www.corriere.it

 

nozze di cana 5NOZZE DI CANA 5

Anni fa durante un'arcigna predica domenicale un ragazzo mi chiese: «Ma Gesù non ride mai?». 

Mi sono ricordato dell'episodio in questo periodo pasquale. Gli dissi che Cristo non è l'erogatore di precetti che compare spesso nelle prediche ma l'audace autore di una frase per me decisiva: «Sono venuto perché abbiano la vita, e l'abbiano in sovrabbondanza» (Gv 10,10). Nietzsche ha accusato il cristianesimo di proiettare la vita vera dopo la morte e di togliere quindi energia all'esistenza qui sulla terra, consolando gli uomini con una morale da sottomessi.

alessandro d'aveniaALESSANDRO D'AVENIA

 

Affermava di non poter credere a un dio che non balla, e a Cristo preferiva Dioniso, il dio greco del vino e dell'ebbrezza. Per me è il contrario, infatti, in tema di vino e balli, raccontai al ragazzo che Cristo ride. Nel villaggio di Cana in Galilea, operò infatti il primo segno di quella missione di dare agli uomini, già sulla terra, vita in abbondanza: durante una festa di nozze, in cui avrà ballato come era costume, trasformò sei damigiane d'acqua (250 litri) in vino, perché gli ospiti se lo erano già scolato tutto.

nozze di cana 4NOZZE DI CANA 4

 

Non solo ballò ma diede “spirito” a chi lo aveva esaurito ed era così buono che il maestro di tavola criticò gli sposi per aver lasciato l'annata migliore alla fine (Gv 2,1-11). Per rispondere al ragazzo avevo rubato le parole a Dostoevskij che, in un capitolo chiave dei Fratelli Karamazov dedicato all'episodio e intitolato proprio Cana di Galilea, scorge uno di quei sorrisi che il ragazzo cercava e spiega perché.

 

l’innalzamento di gesuL’INNALZAMENTO DI GESU

Alëša, il più giovane dei fratelli Karamazov, riportando il dialogo con il suo maestro spirituale racconta: «Amo molto quel passo: sono le nozze di Cana di Galilea, il primo miracolo. Ah, quel miracolo, quanto mi è caro quel miracolo! Cristo visitò la gioia degli uomini, non il dolore, e compiendo il suo primo miracolo, contribuì a dar gioia agli uomini. Chi ama gli uomini, ama pure la loro gioia...

 

A quel tempo le popolazioni che abitavano intorno al lago di Genezareth erano le più povere che si possa immaginare... "L'ora mia non è ancora arrivata" dice con un sorriso... E infatti era forse venuto sulla terra per moltiplicare il vino alle nozze dei poveri?».

Dostoevskij intuisce che il segno inaugurale dell'agire pubblico di Cristo racchiude tutto e aggiunge […]

 

nozze di cana 3NOZZE DI CANA 3

Insomma Dio vuole la gioia dell'uomo, vuole che la festa continui, e più ancora che ballare ama vedere gli uomini ballare. La Pasqua che stiamo per celebrare, credenti o no, resta una narrazione dirompente. Il filosofo Byung-Chul Han nel suo libro “La crisi della narrazione”, spiega come la nostra cultura sia fatta spesso di una comunicazione senza comunità, comunità che si forma solo grazie a una narrazione che dà senso al tempo e allo spazio: «La religione è un caso esemplare di narrazione con un momento di verità interno. Narrando essa spazza via la contingenza.

 

La religione cristiana è una meta-narrazione che cattura ogni aspetto della vita e le dà un ancoraggio all'essere. Il tempo stesso viene caricato di aspetti narrativi. Il calendario cristiano fa apparire ogni giorno come significativo. Nell'epoca post-narrativa il calendario è de-narrativizzato, diventa un'agenda svuotata di senso. Le festività religiose sono momenti culminanti e rilevanti all'interno di un racconto. Senza racconto non si dà alcuna festività, nessun tempo di festa, nessun sentimento di celebrazione, cioè nessuna intensificazione emotiva dell'essere». 

la resurrezione peruginoLA RESURREZIONE PERUGINO

 

Il discorso del filosofo non è apologetico né nostalgico, ma critico della narrazione oggi dominante, quella consumistica, che ha sostituito ogni altra narrazione e ritualità, il vangelo che ai “santi” ha sostituito i “saldi”: «Di contro si danno solo il tempo del lavoro e il tempo libero, il tempo della produzione e quello del consumo. In un'epoca post-narrativa le feste diventano merci, assumendo la forma di eventi e spettacoli. Anche i rituali sono pratiche narrative. Nel loro essere tecniche simboliche per abitare il mondo, i riti trasformano l'essere-nel-mondo in un essere-a-casa». Il mondo non è casa ma oggetto consumabile, e la vita una lotta contro la noia e la paura.

 

nozze di cana 2NOZZE DI CANA 2

La Pasqua invece è una risorsa narrativa significativa anche per chi non crede, fosse anche solo per la pausa festiva (meno sentita perché, uova e colombe a parte, con quella croce in mezzo non è così facile da trasformare in una narrazione consumistica come il Natale). Perché? Quale trama offre alla storia umana? Questa: un uomo laico (cioè del popolo, dal greco laos, popolo), nel senso che non apparteneva a una categoria religiosa (era un falegname), viene messo a morte dal potere politico e religioso. Era pericoloso proprio perché era un laico che attraeva la gente sottraendo consenso al potere, quello religioso (che era anche politico: i sacerdoti erano i capi del popolo) e quello politico dei Romani, Pilato infatti fa uccidere Gesù per paura di una sommossa aizzata dai capi religiosi.

papa francesco veglia pasquale 2023 1PAPA FRANCESCO VEGLIA PASQUALE 2023 1

 

Il prefetto romano della Giudea non vuole perdere la guida di una regione ricca ma difficile, infatti pur avendo verificato l'innocenza del condannato, se ne lava le mani e lo manda a morte: la vita di un uomo si può ben sacrificare al consenso. Cristo era venuto a mostrare il contrario: solo l'amore non sacrifica, ma si sacrifica, mentre il potere non si sacrifica, ma sacrifica. […]

La Pasqua è il culmine della narrazione iniziata a Cana che contiene, come intuisce Dostoevskij facendone la chiave di volta del suo capolavoro, l'energia per una trasformazione del mondo: siamo fatti per una festa che non finisce ma non abbiamo abbastanza vino, il vino (la gioia) che l'uomo produce non è sufficiente a soddisfare la gioia per cui siamo fatti e a cui aspiriamo. Serve il «di-vino». Uno uomo, un laico, il cui primo gesto eclatante per manifestare questa possibilità è fare 250 bottiglie d'annata perché una festa di matrimonio non finisca, viene messo a morte dal potere politico-religioso che vede in questa gioiosa libertà una minaccia.

 

nozze di cana paolo veroneseNOZZE DI CANA PAOLO VERONESE

Il mio augurio è che questa storia ci ricordi, credenti o no, che siamo invitati a una festa infinita a partire da lunedì, ma perché questa gioia sia possibile sono necessari una grazia divina e un coraggioso resistere e abbattere tutte le forme di potere che, pur di mantenersi, sono pronte a (s-)opprimere gli innocenti. Allora come oggi, non sanno quello che fanno. 

ERBE AMARE

 "Ciascuno si procuri un agnello per la famiglia [] In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi ed erbe amare» (Esodo 12, 2-8). Le erbe amare per quella notte prodigiosa sono ancora utilizzate per Pesach, la festa ebraica che ricorda il passaggio dalla schiavitù alla liberazione. In genere cade in primavera, ma a causa di calendari diversi ancora in uso, non coincide con la nostra Pasqua [...]

 

[...] Le erbe amare di primavera sono in tavola anche nelle nostre italiche tradizioni, come nella torta pasqualina della cucina ligure. Questa prevedeva l' uso dei carciofi, molto cari rispetto alle bietole che furono poi impiegate in sostituzione.

 

 

marrubioMARRUBIO

Le erbe, le verdure e radici amare sono, a ragione, considerate salutari. L' amaro agisce sulle papille gustative e stimola una maggior produzione di saliva, che è ricca di enzimi come le amilasi, utili alla scissione degli amidi. Lo stomaco viene indotto a produrre gastrina, in grado di attivare al meglio il processo digestivo.

 

Vengono infatti stimolati altri organi come fegato, pancreas, cistifellea. Hanno effetto antiossidante che però si perde cuocendole in troppa acqua. L'amaro fa digerire bene, ciò consente una migliore scissione proteica e di conseguenza un migliore assorbimento di nutrienti, compresi i sali minerali che ne aumentano la disponibilità.

 

È lo stesso principio per cui, a fine pasto specie se è stato un pasto abbondante e pesante, si consuma il digestivo amaro a base di erbe amare [...]

le puntarelleLE PUNTARELLE

 

Cicorie, radicchio, catalogna, Puntarelle (germogli di una varietà di catalogna detta catalogna spigata) rucola, carciofi, scarola, cime di rapa, contengono parecchie sostanze benefiche come la vitamina C, la pro-vitamina A, clorofilla e inulina, utili a depurare l' organismo in modo naturale.

 

Le erbe amare rinforzano il corpo e in special modo svolgono un' azione antiossidante.

 

 

IL CARDO MARIANO

cardo marianoCARDO MARIANO

Il cardo mariano ( Silybum marianum ) protegge le cellule del fegato rivestendole con sostanze fitochimiche che guariscono quelle danneggiate (da alcol, epatite e altre malattie epatiche ma anche da paracetamolo, radiazioni, tetracloruro di carbonio) e proteggono le sane dai danni. È l' erba più utilizzata per la malattia epatica. I semi e frutti contengono silimarina, un antiossidante, anti-fibrotico e bloccante delle tossin e.

 

IL TARASSACO

Il tarassaco ( Taraxacum ) è noto anche come «dente di leone» per la forma delle sue foglie o «piscialetto» per le sue proprietà diuretiche. Stimola la digestione e il fegato a produrre più bile con un' azione purificante su fegato e cistifellea. L' I nternational Journal of Molecular Science in uno studio del 2010 ha evidenziato che possiede la capacità di ridurre il colesterolo, i reumatismi, lo stress ossidativo che contribuisce all' aterosclerosi, e agisce come un diuretico. Potrebbe essere utilizzato per aiutare a prevenire le malattie cardiache e del fegato. Le foglie, essiccate possono essere consumate tutto l' anno per fare infusi depurativi da bere a digiuno. Fresche, sono ottime per realizzare frittate, flan, vellutate, minestroni e pesti aromatici.

tarassacoTARASSACO

 

LA CICORIA

La cicoria ( Cichorium intybus ) è una pianta erbacea perenne tipica delle regioni mediterranee: il nome deriva probabilmente dal termine arabo «Chikouryeh» o ancora dal termine egizio «Kichirion» oppure da «kichora» per i greci.

Galeno la prescriveva contro le malattie di fegato. È ricca d' acqua al 92-94% e contiene potassio, calcio e fosforo.

 

Spiccate le sue proprietà diuretiche e lassative, per questo è indicata come erba disintossicante primaverile. È un ottimo rimedio contro la stitichezza e stimolante delle funzioni epatiche, utile soprattutto in tutti i casi di pelle impura. Contiene anche inulina, una fibra in grado di stimolare la crescita della flora batterica intestinale e favorire l' assorbimento del calcio. E' ottima per completare minestre, realizzare vellutate o nei ripieni

 

LA RUCOLA

radice genzianaRADICE GENZIANA

La rucola ( Eruca sativa ) appartiene alla famiglia dei cavolfiori. Accende il sapore delle insalate e potenzia il sistema immunitario. Ha proprietà vitaminizzanti, antiscorbutiche, digestive. Contiene molti antiossidanti come la provitamina A, la vitamina C e i fenoli. E' molto gradevole abbinata a verdure dolci come piselli e patate, carote. Non va conservata in frigo poiché tende ad appassire, meglio in un vasetto.

 

IL MARRUBIO

Il marrubio ( Marrubium vulgare ), per via del suo nome che riporta al termine ebraico «marrob», cioè amaro, si pensa possa essere una delle erbe amare della Bibbia. Era conosciuto nella Roma antica e usato come rimedio per la tosse. In fitoterapia è noto per le proprietà antinfiammatorie, mucolitiche, espettoranti, utile contro raffreddore e disturbi respiratori. Ma ha anche proprietà antisettiche e cicatrizzanti.

 

LE PUNTARELLE

Le puntarelle ( Chicorium intybus ) in realtà sono solo i germogli di una varietà di catalogna chiamata spigata. Possono essere semplicemente lessate mentre vanno lasciate a bagno in acqua e ghiaccio (per farle arricciare e diventare croccanti) per diventare così una gustosa insalata. La tradizione romana le abbina ad acciughe salate, ma possono essere combinate anche con olive e capperi, formaggi e per farcire bruschette.

 

uva oregonUVA OREGON

LA RADICE DI UVA OREGON

La radice di uva Oregon ( Mahonia acquifolium ) è una tra le preferite dai dermatologi; infatti, la «Terapia dermatologica» in un documento del 2003 ne ha dimostrato i benefici, attestando la sua utilità nel trattamento delle malattie della pelle e in particolare per la cura dell' acne. Ha proprietà anti-batteriche, anti-infiammatorie e stimola la produzione della bile e la depurazione del fegato.

 

LA RADICE GENZIANA

La radice di genziana ( Gentiana calycosa ) aiuta il fegato, oltre a essere fungicida e possedere proprietà anti-infiammatorie. I suoi principi amari stimolano la secrezione di succhi gastrici e biliari. In uno studio clinico controllato, la tintura di radice di genziana in base di alcool aumenta lo svuotamento della cistifellea, contribuisce a migliorare la digestione di proteine e grassi, lavora come astringente, tonico, rilassante e detergente interno.

orticaORTICA

 

L’ORTICA

L' ortica ( Urtica dioica ) è considerata la pianta amica delle donne, ricca di ferro e clorofilla, contrasta l' anemia e grazie al buon contenuto di silicio e calcio rinforza le ossa e i capelli. Il decotto si può bere come depurativo ma è un buon detergente per capelli e pelli grasse e impure, donando ad entrambi luminosità. Ha proprietà alcalinizzanti e depurative, è ottima lessata, in zuppe e minestre, ma anche buona in frittate e pasta.

 

LE RADICI AMARE

Le radici amare o scorza amara, da una varietà di cicoria ( Cychorium intibus sativus ), scorzonera ( Scorzonera hispanica ), scorzonera bianca ( Tragopogon porrifolius ). Le cinque radici (oltre alle esotiche zenzero e rafano o alle note patate e carote) topinambur, radici di cicoria, bardana ricca di inulina come i topinambur, ricca di cellulosa, Rapa con scarsi principi nutritivi ma ricca di cellulosa, liquirizia.

domenica 24 marzo 2024

ESTINZIONE

 ll suo nome, Elizabeth Kolbert, può non essere noto ai più, nonostante sia la firma di punta del prestigioso settimanale americano New Yorker in tema di ambiente e clima e abbia vinto anche il premio Pulitzer. Il suo libro La Sesta estinzione, però, è considerato oggi una delle pietre miliari in tema di cambiamento climatico e molto di più: uscito dieci anni fa per la prima volta, e ora in libreria (in Italia per Neri Pozza) in un’edizione aggiornatissima, spiega – esempio dopo esempio – perché siamo sull’orlo, o proprio immersi, della sesta estinzione di massa di specie viventi, dopo le prime “Big 5” (come sono note). E, soprattutto, che cosa questo significhi anche per la “giovane” specie umana (non più vecchia di 300mila anni). Kolbert, ce lo dica: stiamo per fare la fine di Mammuth & C.?

«Tanto per cominciare, la “Sesta estinzione” si riferisce più in particolare proprio all’idea che siamo noi esseri umani la causa di una grande estinzione di massa in corso di una numerosissima quantità di specie animali e vegetali. Cinque sono state quelle del passato: la più recente ha spazzato via i dinosauri. L’Italia ha un rapporto particolarmente forte con quell’estinzione: c’è un luogo, a Gubbio, cruciale nel risolvere il mistero di quell’estinzione, che sono andata personalmente a vedere (ne parla ampiamente nel libro, ndr). Per questa “Sesta” è difficile dire a che punto siamo: è in diretta e non c’è una documentazione fossile ad aiutarci, come è stato per le altre. Siamo di certo ancora nelle prime fasi, non proprio “dentro”. Potremmo ancora fermarla».

Elizabeth Kolbert: «La sesta estinzione è in corso, i dati oggettivi sono terribili». E siamo tutti impreparati
L
La copertina di "La sesta estinzione"
(Neri Pozza), nuova edizione 
aggiornata del saggio punto di 
riferimento per il cambiamento climatico

Cosa è cambiato dalla prima uscita del libro? Dieci anni sono un tempo infinitesimale da un punto di vista geologico, eppure sembra che la sparizione delle specie stia correndo in modo impressionante.
«È così. Quando l’ho scritto ero preoccupata che alcune persone potessero respingerlo come un’esagerazione. Ora non più: i dati oggettivi sono terribili. E il nostro impatto sul pianeta è diventato significativamente più vasto: nel caso del cambiamento climatico stiamo assistendo a eventi estremi drammatici che sconvolgono la Terra ovunque. E tutto corre più velocemente».

Nell’epilogo della nuova edizione ci sono diverse pagine dedicate alla situazione grave degli insetti impollinatori, la cui vulnerabilità sembra preoccuparla in modo particolare. Quali conseguenze avrebbe la loro scomparsa?
«Molta documentazione sulla crisi degli insetti viene dall’Europa, e precisamente dalla Germania. Ci sono casi provati di estinzione tra gli insetti, ma anche prima che una particolare specie scompaia del tutto, quando sta diventando sempre meno comune, le reti alimentari che dipendono da questi insetti ne risentono pesantemente. Parliamo di impatti tremendi. E noi esseri umani potremmo essere i primi a rendercene conto, perché dipendiamo dagli impollinatori per le nostre colture. Il mondo potrebbe apparire assai diverso».

«STIAMO PORTANDO IL PIANETA FUORI DAL REGIME CLIMATICO IN CUI CI SIAMO EVOLUTI. UN CLIMA MAI VISTIO PER MILIONI DI ANNI»

Glielo chiedo direttamente: la Sesta estinzione è anche quella in cui scompariranno gli umani?
«Non lo so, nessuno può prevederlo. In realtà se dovessi scommettere su una specie in grado di sopravvivere, quella sarebbe la nostra. Siamo intraprendenti, numerosi, diffusi. Caratteristiche che garantiscono più resistenza di altre. Ma non credo che si debba pensare al rischio di estinzione umana per essere preoccupati del destino dell’umanità. Ci sono stati intermedi che possono comportare grande sofferenza per noi, cosa che mi preoccupa tantissimo».

In che modo questa sesta estinzione sarebbe diversa dalle cinque precedenti?
«Ogni estinzione di massa è diversa dalle altre. Quello che sta accadendo ora riguarda la biodiversità che abbiamo intorno a noi adesso. Ma di sicuro sarebbe diversa perché causata da una sola creatura, la nostra. Non credo che ci siano altre estinzioni di massa causate da una singola altra specie».

Elizabeth Kolbert: «Dagli insetti fino a noi: la sesta estinzione è in corso» e siamo tutti impreparati

Lo sbiancamento dei coralli nella grande barriera australiana: si tratta del quinto sbiancamento in otto anni (Brett Monroe Garner/Getty Images)

C’è qualcosa che possiamo imparare dalle precedenti “Big 5”? 
«Una lezione, di cui parlo nel libro, è questa: prima di un’estinzione di massa non sembra esserci stata mai alcuna garanzia che un certo gruppo sarebbe potuto sopravvivere. Pensiamo alla più famosa: quella dei dinosauri. Quando sul pianeta c’è stato l’impatto dell’asteroide alla base della loro dipartita, erano il gruppo dominante di organismi sul pianeta. E nessuno di loro, dei dinosauri non aviari, è sopravvissuto. Nemmeno uno. Paradossalmente, oggi è in generale accettato che i mammiferi, quindi gli esseri umani, non sarebbero mai diventati il gruppo dominante senza l’estinzione dei dinosauri. Insomma, il risultato è un reset ecologico molto difficile, se non impossibile, da prevedere».

«SE DOVESSI SCOMMETTERE SU UNA SPECIE IN GRADO DI SOPRAVVIVERE SAREBBE LA NOSTRA. MA IL FUTURO SARA' MOLTO DIVERSO DAL PASSATO»

C’è uno studioso del passato, tra i molti che ha raccontato nel libro, che le piacerebbe incontrare oggi, se fosse possibile? Le loro idee sono state necessarie a comprendere il mondo come è oggi.
«Sarebbe interessante discutere con Darwin, che ha visto l’estinzione in corso ai suoi tempi, ma non ha potuto incorporare le nostre conoscenze nel suo lavoro».

Ci definiamo “Sapiens”, ma siamo una specie decisamente giovane, che ha al massimo 300.000 anni, rispetto alla vita media di una specie di 5 milioni. Eppure stiamo già affrontando una possibile estinzione causata da noi. Siamo davvero autorizzati a definirci “sapiens”? 
«Ovviamente siamo intelligenti. Anzi, questo è il motivo per cui stiamo causando questa situazione. Siamo bravissimi a sviluppare nuovi modi di fare le cose. C’è chi ha evidenziato i potenziali svantaggi della nostra intelligenza, che non garantisce necessariamente la nostra sopravvivenza. In effetti, sembriamo piuttosto decisi a mettere in pericolo noi stessi. Abbiamo tanti esempi dalla storia in cui le persone procedevano lungo una certa strada che possiamo, in retrospettiva, dire essersi rivelata fatale. Le persone hanno commesso molti errori fatali. Ora stiamo collettivamente commettendo un enorme, gigantesco, globale, fatale errore».

domenica 17 marzo 2024

POETI

 Qualcuno disse che la lettura di Dante Alighieri dovrebbe scoraggiare la scrittura di poesie. Il Sommo Poeta è talmente inarrivabile che chiunque, al suo cospetto, dovrebbe capire che è meglio lasciar perdere. Io potrei aggiungere, per venire più vicino a noi, la lettura di Andrea Zanzotto. Se oggi in Italia abbiamo un milione di inutili poeti viventi lo dobbiamo prima di tutto all’ignoranza: si vergognerebbero della loro pochezza, e tacerebbero, se davvero leggessero i grandi. Nel teatro contemporaneo la funzione dissuasiva di Dante e Zanzotto compete ad Antonio Rezza.

Vedere Rezza a teatro (io ho visto “Hybris” all’Ariosto di Reggio Emilia) dovrebbe sconsigliare a chiunque la stesura di testi teatrali e la recitazione dei medesimi. Rezza può piacere o non piacere (a me, per esempio, vedere sul palco un uomo nudo non piace) ma se non sei completamente ottuso capisci subito l’irraggiungibilità del suo stare in scena. Sia lodato in Antonio Rezza l’uomo di teatro che libera dalla tentazione di fare teatro.

DOSTOEVSKIJ E L'ITALIA

 Come noto, alcune delle parole più lucide scritte sull’Italia vennero da Teodoro Dostoevskij, che osservava il farsi di un nuovo Stato sotto la tragedia massonica chiamata Risorgimento.

Dostoevskij non era interessato a questioni politiche – quelle, sappiamo, sono gli spiccioli della storia.

Il genio può vedere oltre la storia – e la geografia.

Sostanzialmente, nessun altro in Europa comprese cosa significavano gli eventi italiani del suo tempo: nessuno, in realtà, voleva leggerne il significato spirituale – e quindi le enormi conseguenze a lungo termine, nella storia e nella metastoria, nella metafisica della civiltà.

Perché, quando tocchi lo spirito, che è cosa di Dio, non puoi che aspettarti sconvolgimenti immani. L’Ottocento fu, in pratica, poco più che questo: la lotta totale contro lo Spirito, la sua slatentizzazione storica e politica, con quindi le titaniche conseguenze che dobbiamo aspettarci.

La mia idea è che, alcune di quelle catastrofi conseguenti le stiamo vivendo in questo stesso momento, mentre i cannoni e carri armati cantano nello spazio delle Russie, e forse a breve anche qui…

Per capire il mondo bisogna saper leggere l’Italia: è una realtà che vale da qualche migliaio di anni.

Scriveva Dostevskij nel suo Diario di uno scrittore«Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale».

«I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano».

«La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (Ma è stato proprio così?) ma che cosa è venuto al suo posto, per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, (…) un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!».

Sono parole profetiche, e tremende. Nessuno può negare, un secolo e mezzo dopo, la profonda verità di quanto scritto dal genio russo.

Esse ricalcavano, in realtà, non solo una verità spirituale, ma anche una profonda questione geopolitica, forse proprio da essa informata.

È per lo più sconosciuto ai nostri sussidiari che gli Zar posero, come potevano, una netta opposizione all’idea dell’Unità d’Italia.

Il perché non è difficilissimo da trovare: il Risorgimento, la prima «rivoluzione colorata» – diciamo pure «tricolorata» – che il mondo vedrà a raffica sino al Maidan e oltre, era già allora senza ombra di dubbio un’operazione di sovversione con pupari piuttosto evidenti.

Il Risorgimento – era il pensiero cattolico d’un tempo – altro non era se non una lunga e costosa operazione anglo-massonica, con qualche aiuto da parte magari degli ebrei di Livorno (luogo interessante, anche per fatti successivi, nonché una delle poche città italiche ad avere un nome anche in inglese, Leghorn), quelli che ospitavano Mazzini.

Sì, Mazzini: quello strano «eroe» risorgimentale cui dedicano ancora oggi statue, vie e scuole, celebrato come Garibaldi: tuttavia, sono tutti dimentichi del fatto che mentre l’orecchio mozzato che disse «obbedisco» ebbe tutti gli onori (al punto da essere implicato nel crack della Banca Romana, trappolone bancario popolare ante litteram, con il figlio Ricciotti e il ministro massone 33 grado Antonio Mordini), Mazzini morì in esilio da latitante, nascosto come un boss mafioso, rintanato in una stanzetta convinto di avere ancora il potere di incidere sulla storia, come un Bin Laden a caso.

Sappiamo da dove veniva Mazzini, chi lo curava, lo finanziava, gli elargiva passaporti. Si tratta dello stesso Paese con cui i Savoia, per le guerre dell’unità, fecero quei debiti di cui parla Dostoevskij. Si tratta della Nazione che più aveva da guadagnare con il «Risorgimento». Si tratta del nemico storico della Russia, su ogni piano possibile.

Il lettore sa che parliamo di Albione.

Bettino Craxi, nei suoi anni, spinse il rifiuto dell’Italia come «portaerei inaffondabile» (di fatto, più o meno per questo lo fecero fuori). Ebbene, l’Italia lo era già nell’Ottocento. Di lì a poco sarebbe stato aperto il canale di Suez, Malta (terra italofona stranamente mai considerata irredente da Mazzini e confratelli) poteva non bastare come approdo per la rotta che avrebbe consolidato per sempre i commerci britannici dalle Indie.

Il dominio inglese sull’Italia risorgimentale in nessun caso è più chiaro che in quello di Ernesto Nathan, ebreo di origine inglese, gran maestro del Grande Oriente d’Italia affiliato alla loggia Propaganda, primo sindaco di Roma estraneo all’aristocrazia terriera, quindi segno incarnato della fine dell’epoca papalina, di quell’idea spirituale universale che pure l’ortodosso Dostoevskij non sentiva di poter negare.

Nathan era nato a Londra nella famiglia che più tardi ospitò Mazzini, che divenne suo precettore. La madre, l’ebrea pesarese Sara Levi Nathan, fu «finanziatrice e confidente» (così la pudìca enciclopedia online) di Mazzini; le malelingue insinuano di più, parlando di «affinità (…) riscontrabili – c’è chi è pronto a giurarlo, anche nei lineamenti» (Valeria Arnaldi, SPQR, 2014).

La figlia di Sara Nathan, Jeanette Nathan, sorella del futuro sindaco di Roma ospitò a Pisa Mazzini in punto di morte.

E mentre inglesi massoni ed altri lottavano per l’Italia unita, la storia registra l’appoggio dello Zar di tutte le Russie al Regno delle Due Sicilie, che pure era concorrente dei russi per l’export del grano.

In un saggio di Eldo Di Gregorio, Le relazioni tra il Regno di Napoli e l’Impero di Russia tra il 1850 e il 1860 nelle carte dell’Archivio dei Borbone (Edizioni Scientifiche Italiane, 2006) analizza la corrispondenza diplomatica. Appare evidente come la Russia considerasse nefando il ruolo dell’Inghilterra e di Lord Palmerston, «fautore di e promotore di tutte le rivoluzioni che accadano nel Continente» (p.114), e si offre quindi di consigliare Napoli contro i falsi rivoluzionari.

Di fatto, di queste rivoluzioni continentali («colorate») la Russia ne subì di lì a non troppo tempo una coloratissima, quella dell’Ottobre 1917. Non fu l’ultima: quella a Kiev nel 2004 e 2014 («Euromaidan») non sono dissimili per dinamiche di intersse internazionale.

Al tempo dei Borbone minacciati dagli anglomassoni, San Pietroburgo non escluse l’opzione di aiuto militare tramite le proprie navi, ma desiderava prima raggiungere un accordo con la Francia. Lo si evince da una comunicazione di Napoleone III all’ambasciatore dei Savoia a Parigi: «Il Principe Gorčakov [cancelliere dell’Impero Russo dal 1863 al 1883, ndr] mi accusa di favorire la rivoluzione, e dichiara che giammai la Russia sarà nel campo dei rivoluzionari; egli propone un intervento marittimo in favore del Re di Napoli, e annuncia formalmente che mai la Russia permetterà l’annessione della Sicilia al Piemonte» (p.179).

L’indecisione militare dei Borbone irritarono i pragmatici Zar: «Non si comprende perché il Real Governo avendo in mano la risposta del Conte Cavour, in cui è detto in nome del Re Vittorio Emanuele che Garibaldi usurpa onninamente il nome di S.M. Sarda e che il Governo Piemontese disapprova tutti gli atti di quel condottiero, non l’abbia immediatamente pubblicata nel Giornale Officiale di Napoli e che la tenga tuttavia celata invece di spargerla per le stampe ed accrescere così gli imbarazzi di Garibaldi e compromettere nel tempo medesimo il Governo Sardo» (p.181).

Allora come oggi, lo Zar non le manda a dire, ed esorta all’azione concreta: «si desidera dunque vedere il Real Governo agire con più energia, sia nelle operazioni militari, sia nell’azione politica, procurando di riunire i partigiani della Costituzione Siciliana del 1812…» (p.183)

Insomma, c’è questo quadro secolare da mettere insieme: la Russia, che parlava perfino dal cuore di Dostoevskij, non voleva l’Italia unita – cioè l’Italia in guerra con la propria religione, il Cattolicesimo.

Londra, invece, voleva fortemente il Grande Reset della penisola: distruggere il Papato, tradito secoli prima, ma mai del tutto vinto nemmeno in patria; far contrarre il più esteso e duraturo impero cattolico europeo, l’Austria; preparare il Mediterraneo all’apertura di Suez, pacificando possibili coste di conflitto.

Il Mediterraneo anglicizzato, alla faccia del granaio d’Europa e del Mar Nero. Il Mediterraneo lago inglese, rimasto tale alla faccia di Mussolini.

Perché il conflitto tra la Londra e gli Zar andava avanti in ogni ambito possibile.

Spesso ci si dimentica dell’epica e spettacolare guerra fredda chiamata «Grande Gioco», una lotta di spie – e di eserciti – in tutto il Centrasia, dall’India Settentrionale a Kabul, Kashgar, Samarcanda… Un passato che è emerso anche a inizio anno con oligarchi kazaki in esilio – quelli che magari hanno fatto sparire un paio di centoni alla principale banca italiana e che ci siamo visti adesso sui giornaloni italioti tranquillamente liberi di fomentare la rivolta Ad Almaty e Astana…

Ora, non è un mistero per nessuno che in queste ore sia Albione il più insopportabile attore geopolitico che spinge verso la guerra con la Russia. Il ruolo di Londra nell’escalation ucraina è stato condannato pubblicamente dall’ex ministro degli Esteri austriaco Karin Kneissl così come dal sincero presidente della Croazia, Zoran Milanovic.

Così come per le storie sulle azioni delle forze speciali britanniche SAS – a cui qualcuno vorrebbe attribuire le spericolate operazioni di attacco in elicottero su territorio russo così come l’affondamento delle navi russe – le voci si sprecano. Al momento abbiamo la certezza che in Ucraina stanno lavorando, dichiaratamente, addestratori militari di Londra, sulla carta intenti a insegnare agli ucraini l’uso di missili anti-tank NLAW, gentilmente offerti da sua Maestà per distruggere uomini e mezzi del nemico storico e metafisico di Albione.

Se pensiamo all’Ottocento, il paragone non riesce, perché nel disastro rivoluzionario angloide dell’ora presente non c’è più una Francia con cui tentare di accordarsi, né un’Austria – né un papa. Nulla.

La realtà è che l’Europa tutta è divenuta una… Giovine Europa. L’idea massonico mazziniano, prima nazionalista e poi euronazionalista, è ipostatizzato nella UE, che quindi verso la Russia non può che avere la medesima postura di Londra: capiamolo, la matrice degli avversari di Mosca, spirituale prima che geopolitica, è la medesima.

Questa è, credo, la struttura profonda della crisi attuale.

È partita dal rifiuto dello spirito dell’Italia. È continuata con la cancellazione dello spirito dall’Europa: il vecchio continente perde l’anima, la vende. E, con ostinazione, il disastro di queste ore si riflette nella guerra eterna lanciata contro la Russia, dove forse invece l’anima ha ancora importanza.

I responsabili sono sempre i soliti. Loro l’anima non ce l’hanno più, programmaticamente. L’hanno venduta, o forse peggio: l’hanno data ad un demone che ha promesso loro, secoli fa, ori e terre lontane, il dominio sui mari e sui cuori innocenti.

Capiranno che sono stati ingannati?

Capiranno la loro maledizione?

Capiranno i secoli di devastazione che hanno inflitto all’umanità?

Capiranno che «l’idea dell’unione di tutto il mondo» di cui parla Dostoevskij, non è la loro, ma quella di quello Spirito immortale che, sempre più provocato nell’ira, potrebbe spazzarli via per sempre?

IL PANE

  Maurizio Di Fazio per il  “Fatto quotidiano”   STORIA DEL PANE. UN VIAGGIO DALL’ODISSEA ALLE GUERRE DEL XXI SECOLO Da Omero che ci eternò ...