Posso dire che mi fa schifo il modo in cui si parla di figli? Utero in affitto, adozione da parte di coppie omosessuali, stepchild che, secondo la signora Boldrini, sarebbe un dovere. Ci si mettono anche gli economisti: fate figli, altrimenti non ci sarà chi pagherà le pensioni. I figli come merce. Una volta si invocavano figli per la difesa della patria. Ma in tutto questo chiacchiericcio un po' osceno c'è qualcuno che sa cosa vuol dire un figlio? Una gioia, non lo nego, ma anche responsabilità, preoccupazioni, paura, dolore. Non parlo per me che ho perduto mio figlio. Parlo per i tanti casi drammatici che mi è capitato di conoscere nel corso della vita. Storie di padri e madri devastati dalle vicende infelici dei figli. E siccome in una di queste storie ho avuto anch'io un ruolo, vale la pena di raccontarla. Anzi, è così sorprendente che se non l'avessi vissuta direttamente mi sembrerebbe quasi incredibile. Dobbiamo andare indietro nel tempo, agli anni del Liceo. Mancavano pochi giorni agli esami di maturità classica. Nella mia casa di campagna, nel Cilento, si presentò un signore che, a vederlo, non credevo ai miei occhi. "Forse lei mi conosce", disse. Altroché se lo conoscevo. Era un personaggio importante, un uomo molto in vista la cui faccia mi era nota attraverso la tv e i giornali. Anche se adesso è morto, non mi sembra bello rivelare il suo nome. Disse: "Ho bisogno di lei. Sono stato alla sua scuola, ho chiesto ai bidelli di darmi il nome di uno studente serio, affidabile, a cui chiedere un favore. Mi hanno indicato lei". Il problema era suo figlio, un ragazzone di 25 anni che a scuola era un asino e ancora non era riuscito a prendere la maturità. A quel tempo, le commissioni d'esame erano composte da docenti che arrivavano da varie parti d'Italia. Nella mia commissione era capitata una professoressa di Latino e Greco venuta da Roma, che era la zia di quel fannullone. E il padre era venuto a umiliarsi davanti a un piccolo campagnolo del Cilento per chiedere di aiutare il figlio a fare gli scritti, perché poi agli orali ci avrebbe pensato la zia a farlo promuovere. Il giorno degli esami, il bellimbusto si presentò al volante di una Lamborghini sfavillante. Aveva un'aria stralunata, vestito come un damerino. "Mi siedo vicino a te", disse. Si mise seduto ma non fece praticamente nulla. Io finii il tema e ne cominciai un altro per lui. Nei giorni successivi feci le versioni e lui nemmeno si curò di copiarle. Gliele dovetti copiare io sotto lo sguardo protettivo e compiacente della zia. Prese la maturità. Il padre mi scrisse una lettera commovente. Era così felice. Diceva: "Mi chieda quello che vuole, ho un obbligo nei suoi confronti". Io risposi che quasi tutti i miei colleghi andavano all'Università a Napoli, io sognavo Roma, ma non potevo chiedere alla mia famiglia di mantenermi nella capitale. Perciò, se gli capitava un lavoretto per pagarmi gli studi sarei stato felice. Un paio di settimane dopo arrivò un'altra lettera: "Venga, ho un lavoro per lei". Mi fece inserire negli uffici di una compagnia alberghiera. Roma era fantastica. Cominciai a intrufolarmi nelle redazioni dei giornali. Ma la storia non finisce qui. Dieci anni dopo, io e quel padre sfortunato ci ritrovammo. Nel frattempo, io avevo lavorato per la rivista Epoca ed ero passato al Corriere della Sera. Il mio primo incarico fu quello di cronista giudiziario e per questo frequentavo il Palazzo di Giustizia dove un giorno vidi lui, abbastanza invecchiato. Dissi: "Si ricorda di me?". Mi guardò e fece di sì con la testa. Poi mi chiese: "Lei sta qui perché è avvocato?". "No, dissi, sono giornalista. Le serve un avvocato?". Lui disse: "Si ricorda mio figlio?". Certo che ricordavo. "Stamattina, mi disse con le lacrime agli occhi, l'hanno arrestato". Non ebbi cuore di indagare oltre, ma da quello che capii, il lurido individuo ne aveva combinata una grossa. Credo che avesse partecipato con altri balordi a un festino a base di alcol, droga e sesso e un paio di ragazze erano finite in ospedale. Ho sempre presente la faccia di quell'uomo ricco, potente, la cui vita era dilaniata da un figlio degenere. Ho raccontato questo non perché tutti i figli sono fonte di sofferenze. Ci mancherebbe. Ma per far capire che un figlio è una cosa impegnativa, è un'altra persona che noi decidiamo di mettere al mondo e non se ne può parlare a cuor leggero come si sta facendo anche in questi giorni, cianciando di uteri in affitto e altre oscene pratiche. Di solito chi ne parla non sa cosa vuol dire un figlio.
Questo non è un vero blog, è una raccolta casuale di scritti, alcuni anche miei, che ritengo valga la pena di leggere. Andromeda fa riferimento a due categorie fondamentali, il mito e la cosmologia. Nella mitologia, Andromeda era una giovane sacrificata dal padre Cefeo e dalla madre Cassiopea per placare un mostro marino. La Galassia che porta il suo nome è destinata a fondersi in una spaventosa collisione con le Galassie vicine, fra cui la nostra Via Lattea.
venerdì 26 gennaio 2024
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