Lo sdoganamento di Satana
In grande crescita il satanismo ufficiale che vuole essere riconosciuto a pieno titolo come religione. Per i più curiosi ricordiamo che da anni ne esiste una filiale anche in Italia.
Marco Ventura
Lo sdoganamento di Satana
Una tipica casa vittoriana di Salem, nella contea di Essex, sulla baia del Massachusetts. Tetto scuro a punta, pareti d’assi orizzontali in legno bianco, portico con colonne. Sul cartello nero, la scritta «The Satanic Temple». Il Tempio di Satana. È qui il quartier generale mondiale di un’organizzazione che vanta 40 mila aderenti nei soli Stati Uniti, la maggior parte a Detroit. Appena inaugurato. Per chi subisce il fascino del diavolo, per chi è contro la religione dei più, Salem è la città giusta. La sede del Tempio di Satana si trova a un chilometro da Gallows Hill, dove a fine Seicento morirono sul patibolo in 19, i più sfortunati tra i quasi 300 inquisiti e imprigionati per stregoneria. Nella Salem puritana della caccia alle streghe, dove apparivano ancora impensabili l’Illuminismo, le rivoluzioni francese e americana, la tolleranza e la libertà, il diavolo era il nemico della comunità e se ne sapeva riconoscere la presenza.
Ereditava un lungo passato, la gente di Salem che trascinava gli amanti del demonio sulla collina del patibolo. Per secoli di storia cristiana, gli adoratori di Satana sono stati l’antitesi del credente. Il diavolo combattuto dai cristiani riassumeva in sé tutte le divinità nemiche dell’unico vero Dio. Gli idoli dei popoli nemici di Israele, il vitello d’oro degli Ebrei fedifraghi, il culto dell’imperatore di Roma, le statuine sugli altari privati dei Romani, le divinità naturali di Britanni e Germani. Sbaragliati i quali, l’Inquisizione aveva ritrovato il nemico di sempre in eretici e streghe: diverse le forme d’espressione, identica l’impronta della Bestia.
Nel lungo percorso verso la tolleranza, la mappa era ancora cambiata. Il diavolo papista e il satana luterano erano divenuti, l’uno per l’altro, sempre meno diabolici. Poco a poco, i cristiani avevano smesso di vedere lo zampino del demonio nelle difformi dottrine di altri battezzati. Satana si spostava nei territori di missione, nelle colonie. Uscito dal corpo di cattolici e luterani, era entrato nelle statue dei templi taoisti e nel ghigno rosso fuoco di una delle tante facce del Buddha; nelle maschere ancestrali del Congo e nell’inferno del Punjab; nelle possessioni degli schiavi neri di Bahia. Lo riconoscevamo, sempre spaventoso, sempre temibile, in quelle nuove forme.
Sono diavoli dalla pelle scura, sulla stampa britannica, gli indiani che ammazzano migliaia di inglesi nell’ammutinamento del 1857. Pensavamo che grazie a noi, alla nostra civilizzazione, anche i popoli del mondo potessero riconoscere la potenza diabolica, abbandonare la superstizione e abbracciare la nostra fede nell’unico Dio. Invece no. Proprio allora, quando tutto sembrava di nuovo chiaro, il diavolo si rimetteva in viaggio. Per tenere le colonie, gli occidentali imparavano ad accettare le braccia di Kali e il sorriso del Bodhisattva, a leggere i Veda e la Gita. Ne beneficiò Gandhi, che a Londra comprese la religione dell’India e incontrò il nuovo avatar di Satana: sul marciapiede di una stazione, quel giorno di gennaio del 1891, quando vide un sacerdote aggredito da militanti atei.
Dall’altra parte dell’Atlantico era appena stata costruita la casa di Salem in cui oggi ha sede il Satanic Temple; dopo due anni, a Chicago, si sarebbe riunito per la prima volta il Parlamento mondiale delle religioni. A Gandhi il diavolo era sembrato farsi ateo, ma durante la lotta moderna tra i credenti e i materialisti il principe delle tenebre parve piuttosto eclissarsi. Se era morto Dio, perché non sarebbe dovuto morire il suo Nemico? Poi vennero Khomeini e Wojtyla, i mujaheddin pagati dai protestanti americani cacciarono i sovietici. Tirammo giù il muro; e dietro le macerie c’era lui.
Fin dagli anni Sessanta il diavolo era apparso anzitutto ai cristiani che ritrovavano la fede antica e popolare, spronati dall’energia carismatica. Per tanti nuovi battezzati il demonio non apparteneva più a una religiosità negativa e isterica, da riscattare nella modernità cristiana positiva e razionale. L’inferno esisteva davvero, e non era certo vuoto. Il ritorno del diavolo divise i cristiani buoni da quelli che militavano per i diritti gay, le donne prete e il dialogo ecumenico, quelli che facevano guerra alla verità e al matrimonio, quelli, appunto, che non credevano più a Belzebù, agli inferi, all’Apocalisse.
Il ritorno del diavolo, tuttavia, fu molto più ampio. Fiorì l’interesse per il demonio di teologi e letterati. Sadik al-Azm scrisse fin da metà anni Sessanta che il rinnovamento religioso islamico dipendeva da una rilettura del rapporto tra Satana e Allah basata su fonti sufi. Salman Rushdie pubblicò i suoi dirompenti Versi satanici . Vi fu poi la protesta generazionale di chi percorreva all’inverso le scale verso il paradiso dei Led Zeppelin, ascoltava i Black Sabbath, simpatizzava con il diavolo dei Rolling Stones. Crebbe inoltre il pubblico interessato all’occultismo e alla magia. Per l’opinione pubblica tutto si esauriva nel settarismo satanista, nei suoi riti blasfemi e nei suoi atti criminali. Eppure le sette sataniche erano solo un pezzetto di un fenomeno molto più grande.
L’occasione per comprenderlo capita il 13 novembre 2007. Al club Ucho di Gdynia, a nord di Danzica, si esibiscono i Behemoth, band metal polacca affascinata dal diavolo. Il leader Adam Darski, noto come Nergal, canta il suo pezzo più celebre, Lucifero , poi straccia una Bibbia e ne getta frammenti al pubblico. È un libro di bugie, grida, è sterco, ipocrisia, la Chiesa cattolica è la religione più assassina del pianeta. Ne nasce un caso che tiene occupati i giudici polacchi fino al 2012, quando la Corte suprema risparmia la condanna a Darski per ragioni procedurali. Non è un caso eccentrico, isolato. Come tanti altri, Nergal usa il diavolo per aggredire il cattolicesimo nazionalista e conservatore. E usa la denuncia del cattolicesimo retrivo di Radio Maryja e dei fratelli Kaczynski per costruire intorno al diavolo un credo polimorfo. C’è identità, visibilità mediatica, politica, commercio. C’è il collegamento con pezzi di società. C’è la resistenza in tribunale che si tramuta in indiretto riconoscimento.
Stentiamo a crederci, ma è proprio così. Stanno diventando una religione i seguaci del demonio. Imparano da chi negli ultimi decenni ha fatto la stessa strada: da chi era un’associazione criminale, e poi non riconosciuta, e gode ora dello statuto di religione. Come i mormoni, i testimoni di Geova, i seguaci di Scientology e, quasi quasi, gli atei. Come il movimento Wicca dei neo-pagani e delle neo-streghe. Anche il satanismo sta diventando una delle tante religioni organizzate che lottano per la propria legittimità, e persino per il proprio diritto a essere eguali alle altre. La società è propizia.
I satanisti organizzati seguono il flusso della corrente che porta al mare sempre più vasto delle organizzazioni di religione o di credo. Mitigano gli eccessi, si mostrano socialmente impegnati, propugnano il dialogo, curano la comunicazione, proclamano i diritti dell’uomo, si compromettono col mercato. Cambia di conseguenza la percezione della dimensione criminale del fenomeno satanico. Non c’è differenza, per il giudice, tra il bambino di Satana che stupra un’adolescente e un prete reo di pedofilia. Per i gruppi satanici, come per la Chiesa di Scientology e la Santa Sede, l’importante non è non delinquere, in ogni organizzazione c’è un delinquente, ma è schivare l’accusa di associazione a delinquere.
Il Tempio satanico di Salem, come gran parte del satanismo americano rifugiatosi sotto l’ombrello della libertà religiosa, è l’esempio perfetto. I cittadini di Salem non hanno niente da temere, sostengono i rappresentanti «della maggiore organizzazione satanista al mondo», hanno anzitutto da guadagnare da un’associazione di gente onesta, dedita all’interesse sociale, all’emancipazione dall’oscurantismo, alla libertà individuale, al pluralismo e al progresso. La corrente trascina i gruppi satanici verso il mare della religione.
Adorare il diavolo può catalizzare significati diversissimi, e al contempo avere senso per molti. La prova più significativa, e più drammatica, viene la notte del 13 novembre 2015. Al Bataclan di Parigi, la nostra migliore gioventù canta «bacia il diavolo» in un gesto di libertà, di evasione, di sfogo, di energia, e viene ammazzata dalla peggiore gioventù islamica, nichilista e omicida, persuasa che non meriti altro chi inneggia a Satana. Si è capovolto l’ordine di un tempo.
Il Tempio del Massachusetts non è un’americanata, Salem e Parigi sono connesse. Si è allargato il mare delle religioni e del credere: c’è spazio per tutti, e per ogni contraddizione; per far festa col diavolo, e per morirne. Parigi e Salem si chiamano. Anche in Europa, tra pochi giorni, si celebra Halloween. A Salem si preparano le zucche: in 250 mila visiteranno la città dove per il diavolo si finiva impiccati.
Il Corriere della sera /La Lettura – 9 ottobre 2016
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