Maurizio Di Fazio per il “Fatto quotidiano”
STORIA DEL PANE. UN VIAGGIO DALL’ODISSEA ALLE GUERRE DEL XXI SECOLO
Da Omero che ci eternò come “mangiatori di grano o di pane” al Dio del Nuovo Testamento che si fece “pane vivo, disceso dal cielo”. E poi “dacci oggi il nostro pane quotidiano”, fulcro della preghiera cattolica, o il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. […] Tuttavia, non di soli rimandi ultraterreni è fatta questa Storia del pane. Un viaggio dall’Odissea alle guerre del XXI secolo, scritta da Gabriele Rosso per Il Saggiatore.
[…] I numeri dicono di un’inversione di tendenza: se nel 1980 si consumavano, in Italia, circa 84 chilogrammi di pane pro capite all’anno, nel 2024 questa cifra è precipitata a 30”, cioè circa 80 grammi al giorno. Lontana l’era in cui i prodotti di origine farinacea “potevano determinare il 70-80% della dieta”. Sarà che, intorno al 1780, pagnotte et similia erano “11 volte meno care della carne macellata e 65 volte meno del pesce di mare fresco”, mentre adesso possono costare un occhio della testa.
Tutto iniziò con la nascita dell’agricoltura in Mesopotamia e specialmente tra gli egizi: lì il pane contribuì “alla costruzione delle piramidi, sfamando migliaia di lavoratori”. Niente male nemmeno il link con i misteri eleusini dell’antica Grecia, in cui si consumava “un pane dal potere psichedelico a base di segale cornuta”. […]
Eccoci agli assalti ai forni dell’età moderna, come nei Promessi sposi di Manzoni: “Le strade di Milano ribollivano di fame e di rabbia, e alcuni cominciarono a depredare i garzoni”. Pure il protagonista dei Miserabili di Hugo finisce in carcere per aver rubato un pane. […] E pur non essendo mai stata proferita da Maria Antonietta, la celebre frase “se non hanno più pane, che mangino brioche” riassume bene lo spirito della Rivoluzione francese. Mentre le manifestanti che gridavano “vogliamo il pane, e anche le rose”, sono quintessenza proto-femminista.
L’excursus di Rosso si apparecchia infine sulle tavole del 900: le rivoluzioni scientifiche e tecnologiche (dalle mietitrici meccaniche alle intuizioni di Pasteur e di Christian sulla fermentazione) tirano la volata all’avvento del pane universale e facile, industriale, asettico, privo di gusto, perfetto per nutrire le masse e i soldati in guerra. Il già affettato e insalubre (perché pieno di additivi) Wonder Bread giunge a conquistare, negli anni 30, il 90% del mercato. Assurdo, ma vero.
Molto meglio il pane azzimo, non lievitato, della tradizione ebraica. Fino al golpe soffice e croccante degli ultimi anni, con la rimonta della pasta acida e del lievito madre e il rinascimento della panificazione artigianale: la rivincita del pane nero su quello bianco. Una volta il primo era appannaggio dei poveri e il secondo status symbol della nobiltà e della borghesia. Oggi è l’esatto contrario, e nei mesi di confino domestico del Covid ci reinventammo campioni del pane fatto in casa. […]
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