giovedì 17 ottobre 2024

LA MASSA

 LA VITTIMA E LA MANIPOLAZIONE DI MASSA

Il meccanismo dell’informazione di massa, ovvero la facoltà di ottenere risposte emotive e irrazionali da parte dell’informato, si regge sullo studio e l’utilizzo di risposte inconsce che, sepolte nel profondo dell’interiorità irriflessa del soggetto in questione, lo costringono, senza che nemmeno sappia come e perché, a dare risposte che inevitabilmente lo fanno aderire per costrizione emotiva a quanto l’informatore desidera.
Probabilmente, nel condizionare l’opinione pubblica, la creazione della figura della “vittima” gioca un ruolo primario, superiore a qualsiasi altro. In altre parole se il meccanismo della informazione di massa riesce a creare, nell’immaginario collettivo, l’idea che qualcosa è “vittima” di qualcosa d’altro, si avrà, con certezza quasi matematica, la sicurezza che il pubblico opinare opinerà che la vittima per definizione è buona, è giusta, è vera e, nonostante ciò, subisce un’atroce e ingiustificata violenza che vanifica tutto il bene, il vero, e il giusto di cui è portatrice.
Perché se un qualsiasi ente in natura assume l’immagine convincente di essere vittima, ottiene come riflesso oggettivo l’adesione incondizionata del pensiero irriflesso? Perché in cuor loro tutti immaginano se stessi essere vittime. Tutti si sentono vittime di qualcosa. Di non aver ricevuto tutto l’amore di cui si era bisognosi; di non avere ricevuto la considerazione e il successo sociale di cui si era degni; di non aver ricevuto da madre natura la bellezza, la salute, l’energia di cui si aveva avuto tanto giusto desiderio. Nel momento stesso in cui ciascuno si sente vittima del mondo, sente anche di esserlo senza una ragione plausibile, perchè afferma se stesso come cosa la cui bontà, giustizia, verità non è cosa dubitabile, dunque la vittima è colei che non ottiene quello che vuole, ma non ottiene quello che vuole per una qualche ragione iniqua e infame. Dunque la vittima, cioè io, ho per definizione ragione e se qualcosa, come me, è vittima di qualcosa, allora anch’essa per definizione è dalla parte del vero e del giusto.
L’informazione di massa sa allora che se crei una vittima, crei un partito, o almeno un movimento d’opinione.
Questo meccanismo è empiricamente verificabile un milione di volte, almeno da quando esiste il giornalismo e la formazione dell’opinione pubblica. Nel secolo XIX era centrato soprattutto sulle ingiustizie sociali, intese soprattutto come interdizione alla scalata sociale per non avere avuto accesso all’istruzione o per sesso. Nel secolo XX prende la forma di “damnatio sui”, facendo passare per vittime popoli che il cosiddetto colonialismo aveva avuto il merito di strappare da una condizione tribale per inserirli nel contesto di una civiltà superiore; ed infine, nel secolo XXI, questo processo si allarga fino alla vittimizzazione di qualsiasi minoranza o gruppo sociale ostracizzato per essere portatore di stili di vita e modalità di godimento ritenute non congrue a quelle di mamma e papà.
Naturalmente il processo ideologico di vittimizzazione usufruisce di potenti strumenti di condizionamento emotivo creati dall’uso sapiente e distorto di particolari termini che generano, per il solo fatto di essere evocati, la pubblica riprovazione.
Due sono particolarmente efficaci: razzismo e genocidio.
Per definire la potenza emotiva della parola razzismo basta pensare che se un invasore ottiene la qualifica di vittima del razzismo, per questo semplice fatto cessa di essere un invasore e diventa un tuo potenziale educatore e salvatore.
Ancora più subdola la parola genocidio. Il termine genera in chi lo accetta e lo utilizza un senso di ripulsa e di sconcerto. Qualcosa di assolutamente odioso e intollerabile. Se qualcuno può essere accusato di essere un “genocida” non può più trovare ascolto e deve essere cacciato dalla comunità umana. Nella costruzione della “damnatio sui” di cui è autrice la letteratura politica del capitalismo selvaggio e illimitato, abbiamo assistito al genocidio dei pellerossa, degli Incas, degli Aztechi. Un falso storico di proporzioni sconsiderate che tuttavia ha avuto successo nell’opinione pubblica più elementare. Gli Spagnoli possono essere considerati “genocidi” delle popolazioni del sud America allo stesso modo che Traiano dei Daci, ovvero colui che fece scomparire la civiltà dei Daci per inglobarla in quella romana, facendo loro fare un salto di qualità in termini culturali di impressionante rilevanza, al punto che oggi in Romania si parla una lingua neolatina. Lo stesso, ovviamente per quanto riguarda Cesare e le Gallie, la Spagna e gli Scipioni, Carlo Magno e le popolazioni germaniche sull’Elba.
Genocidio significa l’eliminazione fisica e programmata a freddo di un popolo o di una minoranza. Raramente qualcosa del genere è accaduto nella storia. E’ accaduto in Russia con i kulaki, ovvero la minoranza dei proprietari terrieri eliminata a tavolino da Stalin; è accaduto con le minoranze ebree in tutti i territori occupati dalla Germania nazista; è accaduto in Uganda con l’eliminazione dei Tutzi da parte degli Hutu. Ma niente del genere è mai accaduto fra popolazioni pellerossa e governo degli Stati Uniti, che ha sempre trattato i capi indiani come capi di stato e con loro ha sottoscritto normali trattati di pace, come sempre avviene fra vincitori e vinti. Lo stesso in Sudamerica, dove le popolazioni indiane furono inglobate in blocco nella civiltà imperiale spagnola e provviste di tutti conforti che potevano derivare dalla conversione ad una vita cristiana.
Bene il termine “genocidio” viene oggi ampiamente usato dalla informazione di massa per descrivere ogni evento bellico che vuole demonizzare attribuendo ad una parte il ruolo classico della vittima e all’altro quello dell’aggressore, fatto passare per criminale spietato che mira all’annientamento del nemico. I casi più evidenti? Putin il nuovo Hitler, genocida del popolo ukraino; Netanyau, il nuovo Hitler, genocida del popolo palestinese. Il fatto è che questo sistema goebbelsiano funziona. Funziona eccome.

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