Giancarlo Saran per “la Verità”
Le sue origini partono da lontano, sicuramente dall' India, anche se qualcuno sostiene che il tutto sia iniziato in Cina, alcune migliaia di anni fa. In realtà le melanzane sono giunte a noi tramite l' invasione araba dell' Andalusia e di lì si sono diffuse in tutta l' Europa meridionale. Nella penisola la porta di entrata è stata molto probabilmente la Sicilia: ora l' Italia è il primo produttore europeo con una serie di varietali che si traducono in un uso estremamente versatile in cucina.
Il debutto in società non fu dei più facili. Gli arabi le chiamavano al badingian (più o meno «uova del diavolo») e, se consumate a crudo, potevano dare mal di testa, insonnia, perfino isteria nella vulgata popolare, tanto è vero che, nel 1513, l' agronomo Gabriel Alonso de Herrera arrivò a sostenere che «gli arabi le portarono in Europa per uccidere con essa i cristiani». In Occitania, invece, l' idioma locale le appella vietase (tradotto letteralmente «pene d' asino») ascrivendo alle innocenti melanzane addirittura effetti afrodisiaci.
Nel Bel Paese la melanzana vanta un' anagrafe molto varia a seconda dei campanili. È chiamata petronciana da Pellegrino Artusi nell' idioma toscano, marignana nel Lazio, molignana in Campania, mulingiana in Sicilia. La radice verbale «mela» nell' italiano medievale spesso era premessa a nomi stranieri di frutta e verdura, come il melangolo e il melograno. Nell' Italia centro meridionale la melanzana si è trovata bene perché adatta al clima degli orti mediterranei, caldi d' estate, mai freddi d' inverno.
La prima citazione letteraria si trova nel Trattato della coltura degli orti e giardini dell' agronomo Giovanni Vittore Soderini, pubblicato nel 1550. Era stata adottata dai frati carmelitani che la coltivavano nei loro orti, assieme ad altre piante medicamentose e alimentari. La diffusione extra conventuale avvenne agli inizi del diciannovesimo secolo. Indipendentemente dalla forma (lunga, tonda) o dal colore (nero, viola, rosso, bianco) la melanzana è un prodotto poco conosciuto per le sue proprietà.
Appartiene ai 30 smart food, cioè i prodotti che fanno bene alla salute, e addirittura ai sette super cibi anticellulite, in quanto combatte la ritenzione idrica.
Ricca di fibre, povera di zuccheri, parte da una base di 17 chilocalorie per 100 grammi.
In realtà bisogna andarci piano nelle preparazioni perché assorbe molto i condimenti.
Contiene nasunina (che combatte i radicali liberi, quindi invecchiamento e malattie cardiovascolari), antocianine (antitumorali), quercetina (abbassa il colesterolo) e altri principi attivi che la rendono materia prima per la buona dieta.
Al palato è regina. Alcune sue preparazioni sono leggenda nella tradizione gastronomica italiana. La più conosciuta è sicuramente la parmigiana, la cui origine è contesa alla città emiliana da Napoli e la Sicilia.
Vince quest' ultima. Diversi gli elementi a comprovarlo. Innanzitutto il fatto che il Parmigiano è emigrato verso l' Italia meridionale solo dopo il secondo conflitto mondiale. Poi l' etimologia stessa, in quanto per parmiciana, dalle parti di Palermo, si intendono quelle listarelle di legno che vanno a formare le persiane, un richiamo quindi alla formazione a strati della parmigiana stessa.
È pur vero che sono intese «alla parmigiana» quelle composizioni a strati di verdure molto in voga alla corte rinascimentale parmense.
La prima traccia scritta della preparazione della parmigiana la si ritrova in un testo pubblicato nel 1837 dal nobile napoletano Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino: «Cucina teorico pratica». Questo orgoglio del made in Italy ha un marchio identitario nell' isola del Gattopardo, anche perché dai locali viene da sempre chiamata «parmigiana di melanzane», mentre altrove recita «melanzane alla parmigiana».
Con varianti che, risalendo lo stivale, trovano ulteriori impronte locali legate ai prodotti della tradizione. Se in Sicilia fondamentale è il caciocavallo (e uova sode come optional), in Campania diventa la mozzarella fior di latte. Discorso tutto diverso in Calabria, dove la ricca imbottitura oltre al pomodoro d' ordinanza, e uova sode affettate, si arricchisce della salsiccia piccante affumicata.
Nella Sila si passano le fette di melanzana alla brace, senza friggerle, per cui quel sentore di lieve affumicatura dà ulteriore turbo al tripudio calorico. Il segreto per gustare al meglio la parmigiana è papparsela ripusata», cioè dopo che avrà smaltito i bollori del forno perché così «si lascerà tagliare docilmente a fette come una torta». Proprio per le proprietà assorbenti della polpa, può amalgamare al meglio gli umori delle diverse componenti.
Nella hit parade delle preparazioni che vedono la melanzana protagonista non può mancare la pasta alla Norma, la quale non è la prima cuoca che si è inventata la ricetta, ma una precisa citazione dell' opera di Vincenzo Bellini, catanese, che gli dedicò il commediografo Nino Martoglio quando gliela servirono in maniera impeccabile ed egli esclamò: «Ma è come una Norma». Oltre alla ricetta, in questo piatto quello che fa la differenza, è il rito che la accompagna.
«Quannu a pasta è 'nta pignata, cci voli a taula conzata» che, tradotto per i non residenti, vuol dire questo. La pasta (generalmente maccheroni) va spadellata con la salsa di pomodoro. Giunto il piatto al tavolo, si versa un altro cucchiaio di pomodoro, si pone una fogliolina di basilico, quindi ogni commensale piglia a proprio piacere le fette di melanzane fritte servite a parte. Su questo ognuno si grattugia in proprio la ricotta di pecora (salata o infornata).
Tra le molte varietà di melanzane non tutte sono l' ideale per le diverse ricette (un' antologia) cui si presta questo prodotto in base alle valenze organolettiche anche se, oramai, nella grande distribuzione si trovano solo due varietà, la lunga palermitana e la tonda fiorentina. Motivo in più per elogiare l' impegno di chi si è attivato a risollevare le sorti della melanzana rossa della Basilicata (che, in realtà, si trova anche in alcune zone del Cilento campano). Una storia curiosa, di immigrazione di ritorno.
Tra la fine dell' Ottocento e gli inizi del Novecento molte di queste popolazioni emigrarono in cerca di fortuna nelle colonie italiane in Eritrea. Molti di loro tornarono poi in patria, prima del conflitto mondiale, portando tra i ricordi d' oltremare una curiosa melanzana rossa che ricordava un pomodoro, la meringiana a pummadora, la melanzana a pomodoro.
Della stessa forma e colore, con la polpa dal sapore fruttato, leggermente amarognolo e piccante. Fu la salvezza di quelle zone durante gli anni della miseria, grazie alla pianta, molto resistente, commestibile in tutto, foglie comprese, che ricordano un po' gli spinaci usati nelle minestre.
Prodotto in via di estinzione (veniva consumato generalmente sott' olio o sott' aceto, proprio per quei suoi sentori di peperoncino), ultimamente è stato valorizzato con un pieno recupero, sia nelle aree coltivate che nell' inventiva delle preparazioni culinarie, in particolare nella capitale di coltivazione, Rotonda, nel Potentino, assieme al confratello locale, il fagiolo bianco. Le melanzane sono molto eclettiche, come detto, dalle insalate ai contorni (la caponata su tutti), in varianti diversissime: a bistecca, impanate (le napoletane melanzane in carrozza), ripiene (la Puglia avrebbe molto da dire) ma forse non tutti sanno che le melanzane, al dessert, meritano un capitolo a parte.
Le melanzane al cioccolato sono un vanto della costiera amalfitana e sorrentina. Leggenda racconta che a Maiori le suore di Santa Maria della Misericordia erano particolarmente abili in cucina. Capitò che, da quelle parti, venisse in vacanza una nipote dello zar di tutte le Russie, Nicola II. Talmente presa dalla bellezza dei luoghi, la fanciulla si trattenne sino a completare una gravidanza nel frattempo avviata.
Per allietare puerpera e infante, le premurose suorine portarono all' albergo dov' era alloggiata un cesto con il meglio dei loro prodotti, tra cui una curiosa preparazione in cui le melanzane, fritte d' ordinanza, erano tuttavia abbinate a una crema di cioccolato e a un trito di mandorle, amaretti e pezzetti di cioccolato. Il tutto debitamente frollato in ghiacciaia.
La neomamma ne fu talmente conquistata che la voce presto si sparse e le suore regalarono la loro ricetta ai maestri pasticcieri della costiera tanto è vero che, adesso, le melanzane al cioccolato sono diventate testimonial della festa dell' Assunta dove tutto il paese ne consuma beate quantità.
Una redenzione recente, tuttavia, perché una ventina d' anni fa, allo scrivente, capitò un episodio divertente. In uno storico locale di Amalfi, al momento del dessert, incuriosito da questa singolare proposta, alla richiesta di lumi dopo averne scoperto le intriganti proprietà, il cameriere rispose: «Sa, devo presentarlo come una specie di tiramisù, altrimenti l' abbinamento scoraggia molti turisti». Ma forse le melanzane hanno trovato ora chi le protegge da lassù, tra le suorine di Maiori.
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