giovedì 28 settembre 2017

Essere sereni

Marta Albé per https://www.greenme.it

Il concetto di non attaccamento è al centro della pratica dello Yoga, del Buddismo e di altre filosofie orientali. Si tratta di considerare se stessi nello stesso tempo come attori e come spettatori di ciò che facciamo.

i beatles a lezione di meditazione trasendentaleI BEATLES A LEZIONE DI MEDITAZIONE TRASENDENTALE
Il non attaccamento in questo modo ci permette di non vantarci per una buona azione compiuta e anche di non aspettarci nulla in cambio per aver agito in modo positivo. In questo modo il non attaccamento si collega al concetto di karma, cioè alle azioni e reazioni accumulate nel corso della nostra vita e delle vite precedenti per via dei nostri comportamenti e dei nostri pensieri sia positivi che negativi.

Chi impara davvero a praticare il non attaccamento, secondo lo Yoga, il Buddismo e altre filosofie orientali, non accumulerà karma e otterrà la liberazione dal ciclo delle rinascite. Non tutti nel mondo credono che il karma e la reincarnazione esistano, ma in ogni caso praticare il non attaccamento nella vita quotidiana ci può aiutare a sentirci meglio.
meditazione in aeroportoMEDITAZIONE IN AEROPORTO

Attenzione: praticare il non attaccamento non significa estraniarsi dalla realtà oppure vivere in modo egoistico e distaccato dagli altri. Anzi, il non attaccamento dovrebbe trasformarci in persone in grado di compiere azioni positive completamente disinteressate nella vita quotidiana. Si tratta dunque di un elemento fondamentale del servizio agli altri e al mondo che ci circonda.

Secondo le parole del Buddha, l'attaccamento è la causa principale della sofferenza. Il non attaccamento è una delle sfide più difficili della vita. Buddha ha insegnato che le catene, d'oro o di ferro, sono pur sempre catene. Spezzare queste catene significa essere liberi e aver praticato fino in fondo il non attaccamento. Infatti:

meditazione al rainbowMEDITAZIONE AL RAINBOW
"Dall'attaccamento sorge il dolore, dal dolore sorge la paura. Per colui che è totalmente libero, non c'è attaccamento, non c'è dolore, non c'è paura".

Forse ci troviamo in una situazione concreta ben precisa. Abbiamo paura di perdere una persona cara a causa di circostanze che presto ci allontaneranno fisicamente gli uni dagli altri. A volte tendiamo a pensare che le persone siano una nostra proprietà e che per questo motivo debbano sempre starci vivine.

Ma non è così. Tutto è temporaneo in questo mondo, anche la vicinanza delle persone che amiamo. Questa è forse una delle occasioni più difficili per praticare il non attaccamento. Se vogliamo davvero il bene di questa persona, dovremmo lasciarla libera di andare per la propria strada. Dovremmo essere felici per lei e non soffrire, non avere paura e non sentirci in ansia per questo cambiamento.
meditazione e bondage aiutano a togliere lo stressMEDITAZIONE E BONDAGE AIUTANO A TOGLIERE LO STRESS

Questo esempio, forse un po' estremo, dovrebbe avervi permesso di comprendere il significato profondo del non attaccamento che, come vedete, non ha nulla a che vedere con l'egoismo, mentre ha molto a che fare con l'altruismo.

Ecco ora tre consigli utili che vi aiuteranno a praticare il non attaccamento nella vostra vita quotidiana o almeno a considerare azioni ed eventi da un'angolazione nuova.

1) SIAMO GLI UNICI VERI RESPONSABILI DELLE NOSTRE AZIONI
Siamo noi gli unici veri responsabili delle nostre azioni e di ciò che ne segue. Le conseguenze delle nostre azioni, negative o positive, emergeranno con effetti sia su noi stessi che sugli altri. Ricordiamo l'importanza della terza legge di Newton e proviamo ad applicarla alla vita quotidiana: "Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria".
MEDITAZIONEMEDITAZIONE

Non possiamo fuggire dalle conseguenze delle nostre azioni. Prima di ferire o ostacolare un'altra persona pensiamoci due volte. Impariamo l'empatia e il comportamento altruista, ma nello stesso tempo rimaniamo pronti a difenderci dagli avversari. Aiutiamo gli altri, ma non gli opportunisti.

2) LA NOSTRA FELICITÀ NON DIPENDE DAGLI ALTRI
Si tratta di uno dei punti più importanti per praticare il non attaccamento e per sentirci più sereni. La nostra felicità non dipende dagli altri, non è cioè legata alla presenza o all'assenza di determinate persone nella nostra vita, alle loro parole o alle loro azioni. Dentro di noi infatti esiste un punto dove possiamo riconoscere una felicità che è sempre presente e che non può finire mai.

È quel punto su cui ci concentriamo o in cui ci ritroviamo quando meditiamo e quando finalmente riusciamo a goderci un momento di pace e di serenità. Poi le preoccupazioni della vita quotidiana con tutte le faccende da sbrigare ricominceranno. Ma noi sappiamo che quando lo vorremo potremo ritornare proprio in quel punto nascosto dentro di noi dove la felicità esiste e non dipende da niente a da nessuno.
BUDDHABUDDHA

3) DOBBIAMO ACCETTARE LA REALTÀ E SENTIRCI LIBERI
Alcune persone non accettano la realtà, si nascondono di fronte alla sofferenza perché non ne capiscono il senso. In questo caso si tratta di distacco, non di "non attaccamento". Praticare il non attaccamento non significa vivere distaccati dalla realtà, in un mondo parallelo, e non accettarla. La nostra realtà infatti è proprio nell'oggi e nella vita quotidiana, nel preciso momento in cui stiamo vivendo.

MEDITAZIONEMEDITAZIONE
La realtà non è illusione, è concretezza. Dobbiamo imparare ad accettare la sofferenza perché, così come la felicità, fa parte della vita. Così come il giorno non esiste senza la notte e la luce non ha senso senza il buio, non ci può essere bene senza male (ricordate come si uniscono il bianco e il nero nel simbolo del Tao?). Una volta compreso questo aspetto, ci sentiremo liberi interiormente e potremo aiutare gli altri a ritrovare la loro libertà.

Il non attaccamento, in conclusione, non è distacco, non è egoismo e non è nemmeno una fuga dalla realtà. Il non attaccamento è amore e libertà, abbandono del desiderio di possesso rivolto verso le cose o le persone e capacità di agire nel mondo in modo disinteressato, senza vanto e senza aspettarsi qualcosa in cambio.

domenica 24 settembre 2017

Angela Merkel

Barbara Costa 

Culona inchiavabile Berlusconi nega di averlo mai detto, e al culone di Angela Merkel ci ha pensato il Sun, sbattendo in prima pagina le giunoniche, cadenti e cellulitiche chiappe della cancelliera in vacanza, mentre si cambiava goffamente il costume. A Ischia le paparazzano le cosce nude che debordano dal costume intero nero, ed è dovuto intervenire il sindaco affinché i fotografi la finissero di immortalare tanto splendore (sui social, i più maligni le suggeriscono di andare a bagnarsi nel mare di Bering, dove può confondersi senza difficoltà con i trichechi).
Per il suo 60esimo compleanno, Berlino la omaggia con una statua in cui le sue forme sono rivestite da uno dei tanti tailleur dai colori accesi, con giacca che termina sgraziatamente sui fianchi, sottolineandone la pesantezza fisica.

angela merkel primo maritoANGELA MERKEL PRIMO MARITO
Se si provasse a far notare alla Merkel la sua assoluta mancanza di grazia femminile, probabilmente ti risponderebbe che non gliene importa nulla, perché lei è una donna impegnata e non ha tempo da perdere in frivolezze: deve lavorare. Dura, diffidente, altezzosa, Angela Merkel è il desiderio esaudito di ogni femminista: una donna arrivata ad incarnare e sostituire il potere maschile.

Il sedere di Angela Merkel è nato a Amburgo, nella Germania Ovest, ma è vissuto 36 anni nella Germania Est. Sotto regime comunista, vive nel privilegio perché papà Horst conosce chi conta: la famiglia ha due automobili (un vero lusso in un paese dell’impero sovietico) e – chissà perché – può spostarsi senza problemi al di là del muro.
angela merkel mangiaANGELA MERKEL MANGIA

Angela è membro attivo delle organizzazioni comuniste solo perché (è lei a dirlo) era questa l’unica strada per ingraziarsi il potere e fare carriera, lei diventa ricercatrice scientifica laureandosi in fisica e ottenendo un dottorato in chimica quantistica a tempo record.

Prima della laurea si sposa con un compagno di studi, Ulrich Merkel, ma non è un grande amore (“mi sono sposata perché si sposavano tutti”), il matrimonio dura 4 anni, lei se ne va di casa portandosi via lavatrice e cognome (Merkel fa più tedesco del polacco Kazmierczak, naturalizzato Kasner), ma indovinate che fa?
angela merkel lato bANGELA MERKEL LATO B

Va ad occupare una casa, anzi due. Lei nel tempo si è difesa dicendo che non è vero che ha abitato abusivamente prima in un appartamento, poi in un altro, si è solo “dimenticata” di comunicare al comune di Berlino Est i suoi cambi di indirizzo, dimenticanze durate anni, fino alla convivenza con un altro uomo, ma che volete, avere la testa tra le nuvole può succedere a tutti, anche occupare due case a nostra insaputa, succede, è successo anche ad altri politici, e poi Angela negli anni ‘80 aveva altro da fare: faceva la cameriera in una discoteca dove poteva mangiare gratis, seguiva la sua squadra del cuore, l’Energie Cottbus, in casa e in trasferta, passeggiava nuda in spiaggia con le amiche (anche se molto probabilmente le foto di lei nuda che girano sul web sono false).

angela merkel joachim sauerANGELA MERKEL JOACHIM SAUER
La politica era talmente lontana dai suoi interessi che il 9 novembre 1989, il giorno della caduta del muro, lei non è con quelli dell’Est a riabbracciare i fratelli dell’Ovest, no, Angela che fa? Porta il culone in sauna, poi a fare commissioni.

angela merkel helmut kohlANGELA MERKEL HELMUT KOHL
Solo a fine giornata, quando tutto il mondo sa da ore che qualcosa è cambiato per sempre, e Willy Brandt piange di sacrosanta commozione in strada e Gorbaciov al Cremlino ride e mica ci pensa che pure la sua fine è vicina, finalmente la sera Angela chiama la madre e le dice che è ora che vanno a mangiare le ostriche come promessosi tempo fa.

Eppure la caduta del muro alla Merkel qualcosa smuove perché è proprio nel 1989 che si affaccia per la prima volta in politica: è eletta deputata già nel 1990, alle prime elezioni della Germania unita. Helmut Kohl stravede per lei e la nomina subito ministro della Gioventù, poi dell’Ambiente.
angela merkel giovaneANGELA MERKEL GIOVANE
Ma quando Kohl è nel fango per le tangenti, Angela lo attacca e lo scarica pubblicamente, poco dopo si prende il partito, copia parte di un discorso di Reagan per uno suo e, alla sua prima campagna elettorale per il cancellierato, dimostra tutta la sua ignoranza in economia non sapendo nemmeno la differenza tra reddito lordo e reddito netto in un confronto tv. È cancelliere dal 2005, e non ce ne libereremo per altri 4 anni.
angela merkel giovane 2ANGELA MERKEL GIOVANE 2

Dal 1998 Angela Merkel è sposata con Joachim Sauer, professore di chimica, un uomo taciturno, di poche pretese, che parla solo di due argomenti: il suo lavoro, e l’opera lirica. Sempre insieme, non si sa chi frequentino eccetto i familiari stretti, lui finora ha rilasciato una sola intervista (tema: la lirica). Solo al terzo insediamento è apparso accanto a Angela, gli altri due era a lavorare come sempre.
angela merkel giovane 1ANGELA MERKEL GIOVANE 1

Lei gli prepara la colazione tutte le mattine, i suoi piatti forti sono zuppa di patate e oca alle prugne, dicono che a casa la spesa la faccia lui, la lista lei. Non vivono nel super attico riservato al cancelliere, ma in un anonimo appartamento condominiale nel cuore della ex Berlino Est, dove nel 2011 uno strano ladro è entrato con le chiavi di casa, ha rubato un orologio e 6500 euro, ed è andato via con la loro automobile.

Sebbene il suo governo lo scorso giugno abbia approvato il matrimonio omosessuale, Angela ha votato contro: crede che un matrimonio sia tale solo se formato da un uomo e una donna, e che ogni altra unione sia contro Dio, quel Dio che secondo lei “guida le nostre azioni politiche e la fede in Lui le rende facili”.
angela merkel birraANGELA MERKEL BIRRA


Angela Merkel brilla di luce propria. Sembra la più brava in Europa, l’unico leader, ma la sua stella brilla perché quella degli altri non si è mai accesa. Spicca sulla mediocrità generale. Nemmeno Theresa May è riuscita a rubarle la scena: troppo incasinata a casa sua, e con le sue stesse mani.

Ius soli

Ernesto Galli della Loggia per il ''Corriere della Sera''

Perché la maggior parte degli italiani, come indicano tutti i sondaggi, sono contrari alla nuova legge sulla cittadinanza nota come ius soli ? A questa domanda - forse non del tutto irrilevante nel momento in cui da molte parti si auspica o si annuncia come prossimo il completamento in Senato dell' iter di approvazione della legge - ci sono tre risposte possibili:

ERNESTO GALLI DELLA LOGGIAERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
a) supporre che i suddetti italiani siano male informati, e quindi ignorino quello che in realtà dice la legge; ovvero b), ritenere che per qualche misteriosa ragione sempre i suddetti italiani siano naturalmente predisposti a nutrire sentimenti xenofobi e/o razzisti; oppure, terza risposta, c), pensare che la legge presenti effettivamente aspetti discutibili capaci di destare a buon motivo perplessità se non allarme.

Secondo me legislatori saggi e pur favorevoli in generale alla legge dovrebbero fare propria quest' ultima risposta: e dunque provare a vedere che cosa c' è nella legge che lascia dubbiosi. Provo a dirlo io secondo il mio giudizio: è il fatto che per la sua parte centrale la legge sullo ius soli è pensata e scritta secondo una prospettiva diciamo così astrattamente individualista, indipendente da ogni realtà culturale. È centrata esclusivamente sul candidato alla cittadinanza in quanto singolo.

Come si sa, infatti, la cittadinanza italiana sarebbe d' ora in poi dovuta di diritto a chiunque, compiuto il diciottesimo anno di età, sia nato in Italia da genitori stranieri o vi sia arrivato prima dei dodici anni, e inoltre che in Italia abbia compiuto con successo un ciclo scolastico di almeno 5 anni o un corso d' istruzione o formazione professionale triennale o quadriennale.
Ernesto Galli Della LoggiaERNESTO GALLI DELLA LOGGIA 

La legge insomma prescinde del tutto dal contesto culturale familiare o di gruppo in cui il futuro cittadino è cresciuto, e tanto più da qualunque accertamento circa l' influenza che tale contesto può avere avuto su di lui, sui suoi valori personali, sociali e politici. Si richiede solo che uno dei genitori abbia un regolare permesso di soggiorno, un' abitazione degna di questo nome, un reddito minimo e sappia parlare italiano.

Così come essa prescinde dagli eventuali vincoli di fedeltà che il candidato di cui sopra abbia contratto con altre istituzioni o Stati. Non è un caso che per il futuro cittadino italiano non sia previsto, mi sembra, l' obbligo della rinuncia a ogni altra nazionalità di cui sia eventualmente già in possesso (come è quasi certo).

Ora, se si vuol stare coi piedi per terra è giocoforza ammettere che a proposito della nuova legge le preoccupazioni dell' opinione pubblica nascono in specie in relazione ad una categoria particolare di immigrati: gli immigrati di cultura islamica. Sono preoccupazioni realistiche.

MANIFESTANTE PRO IUS SOLIMANIFESTANTE PRO IUS SOLI
È in tale ambito, infatti, che si registra la presenza di un fortissimo vincolo familiare e di gruppo, cementato e per così dire sublimato da un altrettanto forte comandamento religioso: entrambi in grado di condizionare in misura decisiva mentalità e comportamenti del singolo. Di tenerlo legato ad un' appartenenza che, come è stato più e più volte dimostrato, è pronta, a certe condizioni, a non tenere in alcun conto regole, principi, fedeltà che non emanino da fonti diverse da quelle suddette.

Non è possibile ignorare che è proprio un tale nodo di vincoli e di appartenenze a sfondo cultural-religioso- familiare che quasi sempre si delinea dietro gli ormai innumerevoli episodi di terrorismo islamista che da anni insanguinano l' Europa.

Ma non è solo di questo che si tratta. C' è un ulteriore insieme di problemi e un ulteriore ordine di esigenze non attinenti questa volta all' ordine pubblico ma piuttosto all' ordine culturale di una comunità. In questo caso della comunità italiana, la quale legittimamente desidera continuare a riconoscersi come tale e quindi a conservare i propri valori e stili di vita.

IUS SOLIIUS SOLI 
L' esigenza, per fare alcuni esempi, che le bambine non vengano rispedite a dodici anni nei propri Paesi d' origine per essere sposate contro la propria volontà, che nell' ambito familiare non sia impedito a nessuno di uscire di casa quando vuole e di apprendere l' italiano, che in generale vengano riconosciuti alle donne diritti e possibilità eguali a quelli riconosciuti agli uomini.

È davvero così disdicevole o addirittura reazionario voler essere sicuri che chi acquista la cittadinanza italiana, i nostri nuovi concittadini, siano fermamente convinti delle esigenze che ho appena detto, che essi condividano questi elementi di base della cultura della comunità italiana, senza che ci sia bisogno che intervengano a ricordarglielo ogni due per tre carabinieri o magistrati? A me sembra di no.

IUS SOLIIUS SOLI 
Il fatto è che se l' obiettivo pienamente condivisibile della legge sullo ius soli è l' integrazione nella società italiana, allora appare del tutto irragionevole supporre che una tale integrazione presenti gli stessi problemi per chi proviene, faccio un esempio, dal Perù o dal Congo.

Appare del tutto sensato, invece, supporre che nel secondo caso l' integrazione sia assai più lunga e difficile, presenti aspetti assai più complessi. E poiché evidentemente la legge non può fare discriminazioni, appare allora altrettanto sensato pensare ad un testo di legge diverso da quello attuale, e cioè «tarato» sulla fattispecie più difficile, vale a dire sull' immigrazione proveniente dalle culture più distanti da quella italiana.

IUS SOLIIUS SOLI 
Tra le quali dobbiamo riconoscere che la prima in assoluto è di fatto quella islamica. Per ragioni che dovrebbero essere ovvie: perché è quella con la quale l' Occidente ha da oltre un millennio un confronto-scontro anche assai aspro che ha lasciato eredità profonde da ambo le parti, perché è quella che in ambiti identitari cruciali - come la pratica religiosa e culturale, il rapporto tra i sessi, le regole alimentari - ha le più marcate diversità rispetto a noi, e infine, e soprattutto, per una drammatica ragione geopolitica di fronte alla quale sarebbe da sciocchi chiudere gli occhi.

Infatti, da un lato l' azione spesso violenta delle correnti islamiste antioccidentali, dall' altro il poderoso lavoro di penetrazione che grazie alle proprie immense risorse finanziarie molti Paesi arabi vanno compiendo in Europa, entrambe queste strategie si fanno forti in vario modo per i loro disegni della presenza nel nostro continente di vaste comunità musulmane.

IUS SOLIIUS SOLI
Stando così le cose è ovvio l' importante aiuto che la concessione della cittadinanza può oggettivamente offrire a questi progetti. E stando così le cose, è più che lecito chiedersi se sia davvero immaginabile che il semplice fatto, come immagina la legge, di avere frequentato le nostre scuole elementari (un ciclo d' istruzione di cinque anni appunto) possa realmente legare all' Italia, alla sua cultura e ai suoi valori un giovane che, mettiamo, per il resto della sua esistenza sia vissuto però entro un contesto familiare, religioso e di gruppo fortemente islamizzato.

Se sia sufficiente una siffatta garanzia o non sia piuttosto il caso di prenderne in considerazioni anche delle altre. Per decidere quali non mancano certo in Parlamento e nel Governo le conoscenze e le competenze necessarie.

ius soli cittadinanza italiana agli immigratiIUS SOLI CITTADINANZA ITALIANA AGLI IMMIGRATI 
L' importante è tenere a mente che in questo genere di faccende riguardanti il più vitale interesse nazionale non dovrebbe esserci posto né per il «buonismo» né per il «cattivismo», non dovrebbe esserci posto per il partito preso, per la superficialità o per la demagogia (né per quella di destra né per quella di sinistra). Qui dovrebbe parlare solo la voce del senso comune e del realismo: e bisogna sforzarsi di credere che nella vita politica del Paese non manchino le voci capaci di parlare questo linguaggio.

Ovidio

Silvia Stucchi per ''Libero Quotidiano''

Mi darà voce il fato è il titolo della lettura collettiva organizzata dagli allievi della Scuola Normale, fino ad oggi per ricordare il bimillenario della morte di Ovidio.
nicola gardini con ovidioNICOLA GARDINI CON OVIDIO
Una tre giorni con inizio venerdì prossimo dedicata alla lettura di alcuni brani del massimo poeta elegiaco latino, che avverrà in alcuni luoghi del centro di Pisa e che sarà affidata a trecento persone. A declamare i versi, dalla Metamorfosi, ai Rimedi contro l' amore. Ma non è il solo modo per festeggiare il poeta: il Senato sta calendarizzando le celebrazioni.

Ed esce anche, del poeta l' ultima biografia completa. Dopo Viva il latino, nel suo ultimo saggio Con Ovidio. La felicità di leggere un classico (Garzanti, 188 pp., 15 euro), Nicola Gardini, docente di Letteratura Italiana a Oxford, si focalizza sull' autore che ha conteso per secoli a Virgilio la palma di classico di Roma: Ovidio.

Contro la facile vulgata dell' Ovidio salottiero, ancora perpetrata da tanti libri di testo, che parlano di lui come poeta della dolce vita ante litteram, frivolo, decadente e fantastico, anticipatore del barocco e fors'anche del dannunzianesimo, tutto risolto nell' esercizio meccanico della letteratura, imitatore arguto, ma superficiale (p. 17), Gardini invita a scendere «sotto la marezzatura e i ghirigori dello stile», per arrivare alle radici della rivoluzionaria immaginazione ovidiana.

OVIDIOOVIDIO
Prima di tutto, Ovidio, nell' incipit della sua prima opera, gli Amori, dichiara di scrivere nel segno della voluptas, del "piacere", parola quant' altre mai scandalosa nella Roma di Augusto, teso a restaurare il severo mos maiorum. Poi, ci dà una lezione di estetica letteraria: attento, lettore: «tra scrittura e lettura corre un rapporto di scambio paragonabile a quello degli amanti».

Chiave segreta, fil rouge, «sorgente profonda», dice Gardini (p. 23), della poesia ovidiana è l' incertezza, intesa in senso negativo (angoscia, destabilizzazione, dubbio), ma anche positivo (ricerca di appagamento di un desiderio sempre variabile, passaggio, trasformazione): così, il discorso di Pitagora che apre l' ultimo libro delle Metamorfosi, imperniato sul continuo fluire della materia in nuove forme, è un modernissimo inno al "nulla si crea, nulla si distrugge".

OVIDIO 5OVIDIO 5
Perché se il grande edificio ovidiano si regge su basi precarissime, l' incertezza può anche essere una forza. Leggendo un classico, accogliamo un sopravvissuto: e se la sua forza sta nella varietas, chi è più vario di Ovidio? Senza le sue elegie, non avremmo avuto la lirica cortese; senza le Metamorfosi, Dante non sarebbe quel che è (innumerevoli i debiti ovidiani nella Commedia); e in generale la letteratura europea non sarebbe la stessa.

Ovidio, con la continua dialettica fra realtà e irrealtà, presenza e assenza, immagine naturale e artificiale, originale e copia (pensiamo ai racconti di Narciso e Pigmalione) ci fa capire, sulla scia d' Omero e dei sofisti, che il virtuale, di cui tanto ci riempiamo la bocca, non è nostra invenzione.
OVIDIO ARS AMATORIA 2OVIDIO ARS AMATORIA 2

È il primo poeta a non voler essere l' equivalente romano di Omero, di Callimaco o di Menandro: vuole essere, orgogliosamente, solo se stesso. È un dissidente, un figlio disobbediente, un anti-politico, un Fetonte e non un Enea: la spregiudicata Arte di amare è una bestemmia nella Roma di Augusto; e forse il principe non apprezzò troppo neanche le Metamorfosi.

Soprattutto, Ovidio è un coraggioso, che si cimenta nell' epica una generazione dopo Virgilio, riverito e osannato e già in vita entrato nelle scuole; il suo ardire è paragonabile solo a quello di Petrarca, impavido nello scrivere il Canzoniere, l' Africa e i Trionfi mentre si diffonde il culto della Commedia, sino a dire, mentendo consapevolmente, di non avere mai voluto nemmeno leggere un testo che tutti, anche le donnette ignoranti, recitavano nei crocicchi.

OVIDIOOVIDIO 
Con Ovidio è una miniera di spunti; non da ultimo, le traduzioni dei passi poetici sono impeccabili: aderenti al testo, metriche ed eleganti: vive.

lunedì 18 settembre 2017

Il papa e la psicanalisi


James Carroll - The New Yorker
“Pope Francis Sought Psychoanalysis at 42,” the Times headline read. Other outlets treated the news more salaciously—“Pope Reveals,” “Pope Admits.” Some noted that the psychoanalyst in question was Jewish, or that she was a woman. Below the headlines, though, the stories were the same: a French sociologist named Dominique Wolton had published a book of interviews with the Pope, and, buried on page 385, amid discussions of the migrant crisis and the clash with Islam, America’s wars and Europe’s malaise, was the four-decade-old scoop that had made editors sit up. “I consulted a Jewish psychoanalyst,” Francis told Wolton. “For six months, I went to her home once a week to clarify certain things. She was very good. She was very professional as a doctor and a psychoanalyst, but she always knew her place.”
Almost immediately, the news drew venom from the Pope’s detractors. A writer for the Web site Novus Ordo Watch, a mouthpiece of the ultra-conservative Catholic fringe—its slogan is “Unmasking the Modernist Vatican II Church”—insisted that Francis’s treatment by a “female Jewish Freudian” was “a really big smoking gun,” incontrovertible evidence that his “mind is saturated with Jewish ideas.” This reaction, and others like it, were a useful reminder that the Catholic Church was for many decades a bulwark against the great cresting wave that Freud set flowing from Berggasse 19, in Vienna. Rome’s enmity was partly a reaction to the doctor’s own fierce hostility to religion, including his infamous denigration of faith in God as an infantile father projection. To Catholics and other believers, Freudianism—the caricatured version of it that they saw, anyway—epitomized the scientific materialism that elevated the unconscious over conscience, compulsion over free will, and sex obsession over transcendental longing. Even into the nineteen-sixties, lay Catholics were discouraged, and clergy were forbidden, from undergoing psychoanalysis.
As in so many other realms, it took the Second Vatican Council, held between 1963 and 1965, to reintroduce common sense into the Catholic attitude toward rational introspection. Indeed, in focussing on what was valuable about Freud’s vision, the Church could retrieve some of the best elements of its own tradition, going back past great spiritual directors such as Ignatius Loyola and Teresa of Avila to Augustine of Hippo, who, with his “Confessions,” opened the mind of the West to the healing (and sanctifying) power of “concentrated attention” on the “most secret caverns” of memory, remorse, and self-reflection. So, after Vatican II, Roman Catholicism embarked on a transforming encounter with Freud and the multivalent culture he inspired. This occurred even as Freudians themselves were undertaking the project of rigorous self-criticism, aiming, for example, to leave the Austrian founder’s misogyny behind.
Psychoanalysis can be understood as the guided composition of an intensely personal story that makes sense of otherwise fragmentary experience: the patient discovers order in otherwise dispersed memories, sensations, and feelings. But, if psychoanalysis is a creative mode of reimagining, so, as the Church discovered, is religion, with its idea of salvation—history headed somewhere—as an antidote to the absurd cycle of mere mortality. It’s not incidental here that “salvation” comes from the Latin word for “health.” The concept was once understood as rescue from eternal damnation, but in the Age of Anxiety salvation amounts to rescue from meaninglessness. There are more ways to that than falling on one’s knees. Yes, there is also reclining on the couch.
Because the Church learned from the encounter with Freud, and from the real “in treatment” experience of legions of its own members, it yielded its claim to primal sovereignty over human inwardness. Religious people, including Catholics, came to see that due regard for the unconscious can open into a more rightly formed conscience; that reckoning with compulsions and complexes may narrow the apparent range of free will but can also sharpen one’s sense of what moral agency actually requires; that neurotic scruples indulged in the name of “being good” can make authentic virtue impossible.
As for Freud’s hostility toward religion, that came to seem less threatening when a closer look at his aggressive atheism showed it up as shallow and misinformed—not unlike his attitude toward women. The God whom Freud debunked was not the God of Biblical faith. Indeed, the Bible’s God, invisible and transcendent, provided an opening to the very same oceanic unseen of which Freud was a modern tribune. A believer, learning from Freud, could acknowledge that his faith was grounded in wish projection even as he insisted that the wish itself was also a revelation. Yes, he could say, there is no evidence of the God I long for, except, perhaps—if I choose to see it this way—my very longing. After all, who put it there?
Jorge Mario Bergoglio appears to have undergone such an experience before he became Pope. When he started psychoanalysis, he was in the last year of his tenure as provincial superior of the Jesuits in Argentina. The military junta’s Dirty War was raging, and it had put Bergoglio to the test. “I made hundreds of errors,” Francis told an interviewer, in 2013. “Errors and sins.” He described the period as “a time of great interior crisis.” Lucky him that he found a therapist who, mostly with the acutely focussed and patently empathetic listening that characterizes a good analyst, could enable his return to wholeness. “She helped me a lot,” he told Wolton. That the doctor was Jewish, as Francis mentioned to Wolton not quite off-handedly, is indeed a salient detail. As the anti-Semitic bile of Francis’s reactionary Catholic critics suggests, Freud’s Jewishness, and by extension the Jewishness of numerous of his disciples, was partly to blame for the Catholic antipathy toward psychoanalysis. To the Church, Freud was a modern avatar of the negative-positive bipolarity that had long characterized the Christian understanding of Judaism—law against grace, flesh against spirit, greed against generosity, synagogue against church, and, ultimately, the unconscious against conscience.
But that has all changed. Pope Francis, in his brief and passing note of autobiography—self-accepting but in no way self-aggrandizing—displayed respect for the rational inwardness of psychotherapy. He displayed readiness, as a vowed celibate, to reveal himself to a woman. He displayed the importance of knowing when to ask for help. He displayed easy recognition of a Jew as a moral equal. The surprise in all this is that anyone should be surprised. Once again, in showing us what a distance Catholics have travelled, this good man is showing us the distance that they, and perhaps all of us, must travel yet, until we arrive at the place of no surprise.
  • James Carroll 

L'italiano e i Presidenti

Patrizia Baldino-La Repubblica
Un italiano che valeva, secondo il suo superiore, "quanto tre uomini che si possono trovare qui in America". E, a quarantotto anni dalla sua morte, l'abilità come costruttore di Luigi Del Bianco viene premiata con una cerimonia all'interno del parco nazionale ai piedi del Monte Rushmore, dove è stato nominato " capo intagliatore" di fronte alla famiglia.

La celebre montagna in Dakota del Sud raffigura quattro presidenti degli Stati Uniti d'America che hanno contribuito a migliorare il Paese. Un massiccio di granito scolpito a partire dal 1927 e terminato nel 1941, dove i visitatori possono osservare i visi di George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln. 


Monte Rushmore, una targa per l'italiano Luigi Del Bianco. Fu lui a intagliare i volti dei quattro presidenti
Immagini di Luigi Del Bianco durante la creazione del Mount Rushmore, dal sito Luigimountrushmore.com, curato dal nipote Lou



Originario di Meduno, in provincia di Pordenone, Friuli, Luigi Del Bianco nacque a La Havre, in Francia. Studiò a Vienna e a Venezia, poi ricevette una lettera da un cugino che abitava nel Vermont. In America c'era lavoro: e così, a soli 17 anni, il giovane si imbarcò. Fu fortunato: dopo alcuni lavoretti e dopo la guerra, il cognato gli procurò un impiego nel cantiere del Monte Rushmore. 

Tra i 400 carpentieri, a Del Bianco era stato affidato l'incarico di dar vita alle espressioni dei volti. Un compito sicuramente complicato e molto importante, che l'uomo svolse con una maestria riconosciuta sia dai suoi colleghi che dal responsabile dei lavori Gutzon Borglum che, secondo le testimonianze "non avrebbe affidato a nessun altro questa mansione".  La sua abilità gli permise di "avanzare di grado" rispetto agli altri lavoratori. Del Bianco divenne il portavoce del gruppo ed era proprio lui a parlare direttamente con Borglum per dargli informazioni sulle attività previste, mentre dava vita a una piega delle labbra di Jefferson o allo sguardo di Washington. Un ruolo che solo ora viene riconosciuto ufficialmente dalle autorità del National Park Service americano, che gestisce il sito: la montagna dei presidenti, fino a l'altro ieri, veniva presentata come un lavoro di gruppo. Anche se l'immagine di Luigi era già ben visibile all'interno del Visitor Center di Monte Rushmore.

Fu proprio l'intagliatore a ricordare le difficoltà del suo ruolo, in un'intervista all'Herald Statesman nel 1966: "Potevo vedere solo da dove mi trovavo ciò che stavo facendo, ma l'occhio di Lincoln doveva sembrare giusto da molti chilomentri di distanza. Conosco ogni linea e cresta, ogni piccolo urto e tutti i dettagli della sua testa".


Monte Rushmore, una targa per l'italiano Luigi Del Bianco. Fu lui a intagliare i volti dei quattro presidenti

"Tutte le persone che osservano il monumento mi dicono che c'è umanità in quel granito" è il commento soddisfatto di Lou Del Bianco, nipote di Luigi. Che, assieme al resto della famiglia, da anni ha chiesto che il nonno potesse ottenere un riconoscimento. Quand'era bambino Lou ha ascoltato i racconti dell'intagliatori e, una volta cresciuto, ha fatto ricerche e raccolto testimonianze per dimostrare che probabilmente l'attività del parente doveva essere ricordata. Aprendo anche un sito che ripercorre la sua storia. 

Ora gli eredi di Luigi Del Bianco possiedono una targa che ricorderà che il nonno ha avuto una parte da protagonista nella storia del monumento americano. "Il Monte Rushmore e i suoi volti resteranno qui finché il vento e la pioggia li porteranno via" disse una volta il progettista Gutzon Borglum. Silenziosi testimoni della bravura di Luigi Del Bianco.


Monte Rushmore, una targa per l'italiano Luigi Del Bianco. Fu lui a intagliare i volti dei quattro presidenti
Il Monte Rushmore

IL PANE

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