mercoledì 17 maggio 2017

Peste e Prostitute

Agnès Giard per “Libération

Tutto comincia con la grande peste del 14° secolo, la peste nera che arriva dall’Asia e sconvolge l’Europa: 24 milioni di morti, un quarto della sua popolazione. A Firenze dal 1315, la peste non smette di fare vittime, impedendo la ripresa demografica. Muore una persona su tre. Bisogna ripopolare Firenze, il problema è che calano sia i matrimoni che la natalità.

Perché? Colpa dei sodomiti, secondo il clero. Colpa degli uomini che preferiscono andare con gli uomini. Le amicizie virili sono frequenti nella città dei Medici, al punto che in Germania il verbo “florenzen” si traduce “sodomizzare”. In Francia il rapporto anale è qualificato come vizio tutto italiano. Bisogna reagire.


Nell’aprile 1403 Firenze istituisce un Ufficio dell’Onestà una magistratura permanente con il compito esplicito di vegliare e controllare la moralità pubblica e distrarre la passione omosessuale, incoraggiando piuttosto i rapporti venali e favorendo la prostituzione femminile. Bisognava pertanto costruire o comprare un edificio da usare come bordello e reclutare prostitute straniere, dare loro una protezione che le incoraggiasse a restare.

E’ così che Firenze diventò patria delle puttane. Non fu un caso isolato. Nell’antologia “Vénus et Priape” di Charles Senard, appena pubblicata, si legge che tra il 1350 e il 1450 le case chiuse nascono ovunque tra Italia e Francia. Per tutelare la moralità pubblica, la prostituzione viene istituzionalizzata. Le città del Rinascimento fanno edificare un bordello municipale, spesso con i fondi pubblici, teoricamente riservato ai celibi.

Si aggiunsero bagni pubblici che sono l’equivalente di centri massaggi odierni. Alla fine del Medio Evo i giovani di città frequentavano liberamente prostitute, numerose e a buon mercato. La prostituzione era perfettamente integrata nella vita cittadina. La prostituta fu un personaggio-chiave dell’Italia rinascimentale, riconosciuta come tale, da lavoratrice occasionale specializzata in prestazioni sessuali diventò la professionista incaricata della salvaguardia della moralità pubblica.

La frequentazione delle prostitute non portava alcun disonore, soprattutto se erano erudite. Le cortigiane apparse nel 1450, belle, intelligenti e distinte, permettevano ai maschi dell’aristocrazia di distinguersi dal resto della popolazione. La prova sono i tanti poemi dedicati queste donne. Passare una notte con loro era un trionfo sociale. I poemi di questo periodo rivendicano il gusto del sesso in compagnia di ‘esperte’.

I poemi sono scritti in latino, lingua compresa da meno del 3% della popolazione e che autorizza le allusioni più esplicite, perché solo le persone più colte la parlano. Protetti dalla barriera linguistica, gli umanisti elogiano il mestiere delle cortigiane, parlano di gratitudine e d’amore.

Vedi i versi di Giovanni Pontano di Pacifico Massimi o di Antonio Beccadelli (1394-1471): «L’atto carnale non è che il punto di partenza di un sogno d’amore eterno». Il sogno spesso più desiderabile di tutti.

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