lunedì 10 giugno 2024

PAOLINA BORGHESE

 Prima che si coricasse, i dottori le avevano detto che la fine era prossima, chiedendole se volesse ricevere i Sacramenti. Quella Signora però, elegante come sempre a dispetto anche della malattia, per tutta risposta aveva esclamato : “Vi dirò io quando sono pronta! Ho ancora qualche ora da vivere”. Così, soltanto la mattina seguente accettò di ricevere il prete che le portava il Viatico, ma anziché ascoltarne la predica, fu lei che la fece a lui, abituata com’era a parlare senza ascoltare le risposte altrui. Chiamò poi il notaio per dettargli il testamento e tale operazione richiese parecchio tempo, perché i parenti erano numerosi. Ce ne fu per tutti, fuorché per il marito, col quale i rapporti erano pessimi da anni e che non vedeva l’ora di restare vedovo, anche se per uno scrupolo di coscienza era accorso al suo capezzale. Dopo essersi congedata dai domestici ed aver impartito le istruzioni per la sua imbalsamazione, chiese infine uno specchio per verificare il proprio aspetto e, quando finalmente ebbe fatto tutto, all’una pomeridiana del 9 giugno 1825 chiuse gli occhi per sempre, soccombendo a soli quarantacinque anni ad un tumore allo stomaco. Questa fu la fine della Principessa Paolina Borghese Bonaparte, la “Venere dell’Impero”, donna che con le sue arti ammaliatrici aveva fatto impazzire la Parigi napoleonica, per poi diventare l’indiscussa “Regina” della Roma papalina d’inizio Ottocento. Sbarcata a Tolone dalla nativa Corsica nel 1793 con la madre Letizia ed il resto del nutrito clan familiare, diventò presto merce di scambio nella mani del sempre più potente fratello Napoleone, in rapida serie generale dell’Armata Repubblicana, primo Console ed infine Imperatore dei Francesi. Giovanissima, fu da lui concessa in sposa all’amico generale Leclerc, comandante in capo dell’Armata d’Italia, del quale Paolina si innamorò tanto, ma non abbastanza da riservagli in esclusiva l’uso di quelli che lei chiamava “i vantaggi concessimi dalla natura”, ossia il più bel corpo muliebre della Parigi di quei tempi, esaltato da una carnagione bianchissima, curata con frequenti bagni nel latte, seguiti da docce di acqua gelida. Paolina iniziò infatti a coltivare numerose relazioni extraconiugali, che sarebbero poi state una costante della sua vita: attori, pittori, musicisti, generali ed ussari avrebbero via via frequentato la sua alcova, equamente suddivisi fra francesi, italiani e stranieri di passaggio. Lo scandalo non tardò a scoppiare, per lo scorno del povero Leclerc, cui Napoleone impose di partire per l’isola di Santo Domingo, con la moglie ed il figlioletto Dermide al seguito, allo scopo dichiarato di sedarvi la ribellione indigena capeggiata dall’ex schiavo Toussaint Louverture, ma col fine recondito di far chetare le acque. Le preponderanti forze francesi non tardarono ad avere la meglio sui rivoltosi, a costo però di ingenti perdite umane, fra cui quella dello stesso Leclerc, deceduto sul finire del 1802 a seguito d’un attacco di febbre gialla. La neo-vedova, già sulla via del ritorno in patria, trovò conforto fra le braccia del generale Humbert, mentre la salma del marito viaggiava sottocoperta sulla loro stessa nave, rinchiusa in una bara di legno chiaro. Rientrata a Parigi, l’ancor giovane Paolina riprese la vita frivola di sempre, incontrando sul suo cammino Camillo Borghese, giovane Principe appartenente ad una delle più nobili e facoltose Casate romane: bello, elegante, fascinoso nei suoi tratti mediterranei, aveva tutte le doti per piacere alle signore della Parigi bene, a patto però che non aprisse bocca. Era allora infatti che la sua scarsa istruzione, unita ad un’intelligenza men che mediocre, lo faceva apparire alla stregua di un tonto o di un sempliciotto, facile preda dei tanti più furbi di lui. D’altra parte, se si trovava in esilio dorato a Parigi, era proprio perché speditovi dal padre Marcantonio, disperato perché Camillo, nonostante vantasse fra i suoi avi Papa Paolo V ed una nutrita schiera di Cardinali, durante l’occupazione francese di Roma aveva abbracciato la causa repubblicana. Solleticato dalla prospettiva di vedere la sua famiglia imparentata con quella di un Principe, Napoleone acconsentì di buon grado alle nozze della sorella col Borghese, raccomandandole di seguirlo a Roma e di rispettarlo come marito e come uomo. Parole al vento perché, una volta giunta nell’Urbe, Paolina iniziò presto ad annoiarsi, pur in mezzo a tante bellezze artistiche, trovando sollievo ancora una volta negli amanti, frequentati durante le sempre più lunghe assenze del marito. La prematura morte per un attacco malarico del figlioletto Dermide, di cui Paolina incolpò il marito perché lo aveva mandato a trascorrere l’estate nella calura di Frascati, a casa dello zio Luciano Bonaparte, guastò irreparabilmente i rapporti di coppia. Purtroppo, a nulla valse lo splendido regalo fattole da Camillo, che nel 1804 incaricò l’artista del momento, lo scultore Antonio Canova, d’immortalare la moglie seminuda come “Venere vincitrice”, in una meravigliosa statua di marmo bianchissimo che all’epoca destò grande scandalo per il suo realismo. Dal 1810 la separazione fra i due fu anche fisica, con Paolina impegnata ad inseguire il fratello Napoleone in tutta Europa e persino in esilio, all’Elba, e Camillo a rifarsi una vita accanto alla Duchessa Lante della Rovere, nel suo palazzo di Firenze. Una parvenza di riconciliazione fra i due ci fu solo in extremis, appena in tempo per assicurare a Paolina una degna sepoltura nella Cappella Borghese, all’interno della Basilica romana di Santa Maria Maggiore. Là sotto, nella cripta di famiglia, la bara della “Venere dell’Impero” riposa da allora accanto a quelle di Papa Paolo V, del Card. Scipione Borghese e del marito, come tardivo simulacro di una riunione postuma.

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