Massimiliano Parente per il Giornale
Davvero esiste ancora una divisione tra letteratura alta, media, e bassa? In teoria sì, e per i critici anche. Per esempio Donna Tart è letteratura alta, ma se confrontate la sua scrittura con quella di Stephen King, che farebbe narrativa di genere, non è che ci sia tutta questa differenza, e se c’è non va favore di Donna Tart. Stephen King, anzi, scrive meglio di Mo Yan o del tanto venerato José Saramago e anche di Kazuo Ishiguro, che hanno preso pure il Nobel.
Per quanto ormai il Nobel lo si sia dato anche a Dario Fo e Bob Dylan, a questo punto potrebbe prenderlo chiunque, anche Christopher Nolan (intanto quello per la fisica l’ha preso il suo consulente, il fisico teorico Kip Thorne, per aver scoperto le onde gravitazionali, ma forse anche per aver contribuito alla sceneggiatura di Interstellar, dove entri dentro un buco nero, non vieni disintegrato, e rispunti nel passato dentro la stanza di tua figlia grazie alla forza dell’amore, e nessuno che abbia detto: ma che cavolo di consulenza hai fatto, Thorne?).
Altra questione, che riguarda invece gli scrittori: si disinteressano della scienza. Tranne gli scrittori di fantascienza, relegati quasi sempre a essere di serie b (ne sapeva qualcosa Kurt Vonnegut, sdoganato in extremis e per un soffio).
Ha rischiato di finire nel genere anche Michel Houllebecq, e non c’è finito perché era francese (un francese non può essere di genere) e Le particelle elementari fu presentato subito come un libro intellettuale, sebbene la lingua usata fosse peggiore di un Harmony (nessuno, però, ci fece tanto caso). Si sono salvati Don DeLillo (La stella di Ratner), e David Foster Wallace (sebbene Infinite Jest sia di fatto un romanzo di fantascienza) perché hanno scritto prima altro, per fugare ogni dubbio.
Insomma, nessun critico letterario serio recensirebbe mai Dan Brown: letteratura di genere, mainstream, low-brow. Eppure se l’ultimo romanzo di Dan Brown, intitolato Origin (Mondadori), l’avesse scritto Franzen, o Safran Foer, o Philip Roth, sarebbe stato acclamato come un capolavoro. Origin, proprio come viene chiamato, abbreviandolo, il libro che ha cambiato la storia dell’umanità: L’origine delle specie di Charles Darwin.
Sorvolo sugli intrighi e dettagli thriller della trama di Brown, che è avvincente e ti incolla dalla prima all’ultima pagina senza mai un punto morto (la trama, snobbata dai critici letterari di sempre perché per loro conta «la lingua», specialmente per quelli italiani, amici della domenica e di ogni altro giorno, i quali ti rifilano delle minestre riscaldate narrative dalla lingua «letteraria» che non sanno dove andare a parare e raccontano storie rispetto alle quali Moravia sembra un’avanguardia a venire).
Il punto è che Dan Brown ha scritto uno dei pochi romanzi definitivi sulle domande ultime di ogni essere umano: da dove veniamo? Dove andiamo? Con un assunto di fondo: la scienza ci ha detto la verità e è il futuro, le religioni sono superstizioni superate.
Pochi scrittori hanno il coraggio di affermarlo così, papale papale (così papale che nel libro ci sono anche due papi, uno è Bergoglio, l’altro è il papa della Chiesa Palmariana). Neppure il palentologo Stephen J. Gould ebbe la forza di andare a fondo, e si separò dalla battaglia di Richard Dawkins per quieto vivere, con l’idea pacificatoria «dei due magisteri» (la scienza si occupa della realtà, la religione dello «spirito», cioè di boh).
Tra opere d’arte moderna e computer quantistici (arrivando a una profezia antireligiosa di William Blake!), Dan Brown si inventa il miliardario futurologo Edmond Kirsch (una specie di Elon Musk), che sta per rivelare al mondo una scoperta in grado di mettere fuori gioco le religioni una volta per tutte. Uno dirà: ma la scienza non le ha già messe fuori gioco? Non bastavano Darwin, i fossili, il DNA, la biologia molecolare, l’astrofisica?
Sì, ma i creazionisti si attaccano alla formazione della prima molecola viva, un’inezia, ma a loro tanto basta. Durante l’annuncio, al museo Guggenheim di Bilbao, Kirsch viene però assassinato, e da lì ha inizio una rocambolesca avventura del solito professore di simbologia Robert Langdon per riuscire a mandare in mondovisione la scoperta di Kirsch (aiutato da un’intelligenza artificiale che si chiama Winston, in onore a Winston Churchill).
Lo strepitoso plot (che ha molti aspetti cyperpunk) si sarebbe affosciato se alla fine la scoperta di Kirsch fosse stata una stupidaggine, come ho temuto per tutta la lettura, e non posso parlarne perché sarebbe uno spoiler imperdonabile, ma vi dico solo questo: è una figata.
Dan Brown si è documentato molto e bene, ha studiato la teoria dell’evoluzione, la fisica, la biologia, la meccanica quantistica, i più avanzati progetti di tecnologia, rispolverando perfino il leggendario esperimento degli anni Cinquanta di Stanley Miller e Harold Urey per ricreare la vita in laboratorio, fino a arrivare a una fantastica (e scientifica) spiegazione dell’inizio della vita sulla Terra, e anche prevedendo il futuro in modo perfino plausibile.
Per farlo ha preso in prestito le teorie sull’entropia del giovane fisico Jeremy England), riuscendole a «provare» grazie a una trovata ardita e non così irrealistica. Insomma, cari scrittori impegnati, cari critici sofisticati, vedete cosa succede a ignorare la scienza, a non studiarla, a non rifletterci, a restare chiusi nel vostro recinto umanistico? Arriva un Dan Brown, e oltre alle religioni, spazza via pure voi.
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