sabato 30 settembre 2023

ATATURK

 Mustafa Kemal Ataturk nel 1922 fondò la Repubblica turca e, al contrario di quello che sta facendo Erdogan, abolì il Califfato e pose sotto il controllo dello Stato laico l'organizzazione islamica, che per secoli aveva influenzato il Paese ordinando come la gente doveva comportarsi e vestirsi. Devo dire che fino a qualche decennio fa, la Chiesa cattolica non era da meno. Da ragazzino ricordo che al mio paese le donne avevano timore a indossare una camicia con le maniche corte perché il prete le rimproverava durante la predica. Allego qui il bel discorso, molto coraggioso, che Ataturk pronunciò. E ciò che ha detto Ataturk sull'Islam vale per ogni religione e ogni governante.

Ecco le parole del leader turco:
"Per quasi cinquecento anni, queste regole e teorie di un vecchio arabo e le interpretazioni di generazioni di religiosi pigri e buoni a nulla hanno deciso il diritto civile e penale della Turchia.
Loro hanno deciso quale forma dovesse avere la Costituzione, i dettagli della vita di ciascun turco, cosa dovesse mangiare, l’ora della sveglia e del riposo, la forma dei suoi vestiti, la routine della moglie che ha partorito i suoi figli, cosa ha imparato a scuola, i suoi costumi, i suoi pensieri e anche le sue abitudini più intime. L’Islam, questa teologia di un arabo immorale, è una cosa morta. Forse poteva andare bene alle tribù del deserto, ma non è adatto a uno Stato moderno e progressista. La rivelazione di Dio! Non c’è alcun Dio! Ci sono solo le catene con cui preti e cattivi governanti inchiodano al suolo le persone. Un governante che abbisogna della religione è un debole. E nessun debole dovrebbe mai governare".

LA DONNA E IL CRISTIANESIMO

 "La donna è male sopra ogni altro male, serpe e veleno contro il quale nessuna medicina va bene. Le donne servono soprattutto a soddisfare la libidine degli uomini."

(San Giovanni Crisostomo, cui è particolarmente devoto Herr Joseph Alois Ratzinger, papa Benedetto XVI).
"La donna è in rapporto con l’uomo come l’imperfetto ed il difettivo col perfetto. La donna è fisicamente e spiritualmente inferiore e la sua inferiorità risulta dall’elemento fisico, più precisamente dalla sua sovrabbondanza di umidità e dalla sua temperatura più bassa. Essa è addirittura un errore di natura, una sorta di maschio mutilato, sbagliato, mal riuscito." (San Tommaso d'Aquino, Summa Teologica).
"In ogni caso la donna serve solo alla propagazione della specie. Tuttavia la donna trascina in basso l’anima dell’uomo dalla sua sublime altezza, portando il suo corpo in una schiavitù più amara di qualsiasi altra." (San Tommaso d'Aquino, Summa Teologica).
"Le donne sono destinate principalmente a soddisfare la lussuria degli uomini. Dove c’è la morte ivi c’è il matrimonio e dove non c’è matrimonio ivi non c’è morte."
(San Giovanni Crisostomo, cui è particolarmente devoto Herr Joseph Alois Ratzinger, papa Benedetto XVI°).
“Mentre non sopportiamo di toccare uno sputo o uno escremento nemmeno con la punta delle dita, come possiamo desiderare di abbracciare questo sacco di escrementi? ( il sacco di escrementi è la donna…ndr)” (Sant'Oddone abate di Cluny).
"Le donne non dovrebbero essere illuminate o educate in nessun modo. Dovrebbero, in realtà, essere segregate poiché sono loro la causa di orrende ed involontarie erezioni di uomini santi." (Sant'Agostino, padre della chiesa cristiana cattolica).
“La donna deve velarsi il capo, perché non è l’immagine di Dìo.” (Ambrogio, dottore della Chiesa, 339-397).
“Quando vedi una donna, pensa che si tratti del diavolo! Essa è come l’inferno!” (Papa Pio II, 1405-1464).
"La donna non è fatta a immagine e somiglianza di Dio. È nell'ordine della natura che le mogli servano i loro mariti ed i figli i loro genitori". (Sant'Agostino, padre della chiesa cristiana cattolica).
"Adamo è stato condotto al peccato da Eva, non Eva da Adamo. È giusto, quindi, che la donna accolga come padrone chi ha indotto a peccare." (Sant'Ambrogio, padre della chiesa cristiana cattolica).
"La donna è un tempio costruito su una cloaca. Tu, donna, sei la porta del diavolo, tu hai circuìto quello stesso maschio che il diavolo non osava attaccare di fronte. È a causa tua che il figlio di Dio ha dovuto morire; tu dovrai fuggire per sempre in gramaglie e coperta di cenci." (Tertulliano, teologo cristiano).
"Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea."
(San Paolo, Prima lettera ai Corinzi, XIV, 34-35).
“Entrambe, la natura e la legge, mettono la donna in condizione subordinata rispetto all'uomo.” (Sant'Ireneo, Frammento n° 32)
"Dovere principale della moglie è provvedere al governo della casa in subordinazione al marito. All’uomo spetta l’ultima parola in tutte le questioni economiche e domestiche e la donna deve essere pronta all’obbedienza in tutte le cose: il suo posto è soprattutto in casa. Son da condannare gli sforzi di quelle femministe le cui pretese mirano ad un’ampia uguaglianza fra uomo e donna." (Papa Paolo VI°)
"Se è un bene non toccare una donna, allora è un male toccarla: gli sposati vivono come le bestie, infatti nel coito con le donne gli uomini non si distinguono in nulla dai porci e dagli animali irragionevoli." (San Girolamo, padre e dottore della chiesa cattolica).
“Le ragazze che portano la minigonna finiranno all’inferno.” (Il gesuita Wild nel XX° secolo).
“La sola consapevolezza del proprio essere dovrebbe costituire una vergogna per le donne.”
(Clemente Alessandrino, prima del 215).
“Le donne servono soprattutto per soddisfare la libidine degli uomini.”
(San Giovanni Crisostomo, Dottore della Chiesa 349-407).
"Iil seme maschile fa nascere forme perfette, ossia maschili, ma se per qualche avversità esso si guasta, allora fa nascere femmine, perché nel coito c’è solo deformità, turpitudine, immondizia, ribrezzo.”
(Sant’Alberto Magno, Dottore della Chiesa 1206-1280).
“Il valore principale della donna è costituito dalla sua capacità di partorire e dalla sua utilità nelle faccende domestiche.” (San Tommaso d'Aquino, Dottore della Chiesa e patrono delle università cattoliche 1225-1275).
"Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera." (Bibbia)
"Quando una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in città, pecca con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete così che muoiano: la fanciulla, perché essendo in città non ha gridato, e l’uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo." (Bibbia - Levitico).
"Trovo che amara più della morte è la donna, la quale è tutta lacci: una rete il suo cuore, catene le sue braccia. Chi è gradito a Dio la sfugge ma il peccatore ne resta preso." (Bibbia - Levitico).
Dignità, qual sconosciuta parola! (Lilith)

LA PAURA

 “Mai come oggi gli uomini che non temono la morte sono infinitamente superiori anche al più forte potere temporale. Per questo la paura deve essere propagata ininterrottamente. I tiranni vivono costantemente nella tremenda convinzione che a poter uscire dallo stato di paura siano in molti, non solo alcuni individui singoli, il che significherebbe con certezza la loro caduta. Questo è anche il vero motivo del rancore contro ogni dottrina del trascendente. Lì infatti si cela il massimo pericolo: che l’uomo non abbia più paura.”
Ernst Jünger (1895-1998), Oltre la linea

COME SI DISSOLVE UN IMPERO

Quando Cesare invase e assoggettò la Gallia disponeva di 6 legioni e alcune migliaia di truppe dette ‘ausiliarie’. Circa 45 mila uomini. Tutti soldati professionali, comandati da un corpo ufficiali e, soprattutto, da sotto ufficiali (centurioni) di enorme esperienza, capacità di comando, senso della disciplina al limite del fanatismo. Una macchina da guerra straordinaria, che si muoveva su di un territorio vastissimo e sconosciuto con facilità di orientamento, ottima capacità di trovare rifornimenti alimentari, perfetta strategia di movimento per non farsi mai sorprendere impreparata dal nemico. L’intera popolazione dei Galli era stimata intorno ai 5/6 milioni di abitanti. Millecinquecento Galli (ma fra essi donne, vecchi, e bambini) ogni soldato romano. Per conquistare la Gallia Cesare ci mise 10 anni, ma in diverse occasioni fu vicino a un rovescio irreparabile; la resistenza fu durissima, eroica, epica.

Quando la confederazione delle tribù germaniche situate lungo il Reno inferiore, che presero il nome di Franchi, nome significativo, giacché vuol dire ‘gente libera’, passarono sulla sponda sinistra del Reno per stabilirsi definitivamente in Gallia, lo fecero in blocco ossia portandosi dietro donne, vecchi e bambini. Complessivamente si trattava di circa 6/700 mila persone, la cui forza combattente non poteva superare i 50/60 mila guerrieri. Si trattava di uomini abili a combattere individualmente, ma sostanzialmente disorganizzati, indisciplinati e divisi fra loro da rivalità di clan, di tribù, di capi; abituati a risolvere i reciproci conflitti con duelli o con l’assassinio a freddo.
In Gallia i loro spostamenti erano condizionati pesantemente dal dover proteggere e rifornire di cibo l’enorme massa dei non combattenti. Ebbene se Cesare ci mise dieci anni a conquistare la Gallia, loro in un’estate presero tutta la parte nord fino alla Senna e nei due anni successivi il resto, fatto salvo il regno Burgundo, situato lungo il Rodano e da qualche anno lì insediato in quanto i Burgundi, fattisi cristiani romani e alleati dell’impero romano, furono fatti entrare come alleati e in quell’area sistemati.
Come è possibile che un numero così piccolo di combattenti possa avere soggiogato i 7/8 milioni di abitanti della Gallia, divenuti ottimi romani, capaci di una tecnologia superiore e soprattutto protetti da città fatte di pietra e cinte da possenti mura e non più costituite da un insieme di capanne di legno, protette da una staccionata di pali, come ai tempi di Cesare? Perché loro, come tutto il resto dei sudditi romani ovunque, erano completamente disarmati, totalmente estranei a qualsiasi idea di autodifesa e impediti dalle leggi imperiali anche a prendere in considerazione l’idea di avere in casa una spada e costituire una milizia cittadina. Erano capponi di allevamento, esattamente come oggi i sudditi dell’Unione europea.
L’esercito imperiale romano, nel V secolo in Gallia, era un esercito di carta velina. Poche migliaia di soldati, che facevano, allora come oggi, il soldato per sbarcare il lunario e si trovavano in compagnia di commilitoni in gran parte di origine germanica, esattamente come oggi in Inghilterra e in Francia, dove, oltre all’aspetto grottesco di avere nei ranghi donne da combattimento, vi è un numero non indifferente di musulmani ossia di potenziali invasori da respingere.
Ma la stessa cosa in Cina all’epoca in cui Gengis Khan passò la grande muraglia e dilagò nell’impero celeste. Battuti gli eserciti imperiali cinesi, gonfi di soldati, ma imbelli e tentennanti, dilagarono per l’immenso impero senza trovare resistenza alcuna. Milioni e milioni di cinesi, totalmente disarmati, totalmente in balìa di qualche centinaia di migliaia di cavalieri mongoli.
La logica imperiale è quella del disarmo totale dei propri sudditi che vede come possibili nemici, o, più in generale, come proprio gregge da mungere senza che possa fare resistenza alcuna, e non come la fonte della propria legittimità al comando. Disarmo materiale con leggi che puniscono con la morte chi ha un’arma, disarmo morale delle menti dei sudditi con l’idea che debba essere un altro, sempre un altro, a proteggere la sua vita, perché si è finalmente entrati nel regno della ‘civiltà’.
Ovvio che una cosa così non sarebbe stata possibile in Atene, quando ogni cittadino era tenuto per legge ad avere in casa, se appena benestante, scudo elmo lancia e spada, allo stesso modo che oggi ogni cittadino Svizzero. Ma anche per tutta la repubblica romana, quando ogni romano ben nato era protetto da una propria guardia del corpo, ogni villa da schiavi armati fino ai denti, e ogni città alleata ed entrata a far parte del sistema di dominio romano comunque capace di provvedere da sé alla propria autodifesa. La prova di ciò? Basta la semplice cronaca storica. Come fu possibile la guerra detta sociale, ossia la sollevazione di gran parte delle città italiche soggette a Roma nel secondo secolo A.C., se non fossero state armate e difese da una milizia cittadina?
Come è noto, al tempo in cui Silla battè Mario e instaurò la sua dittatura, un numero non indifferente di città, specie dell’Etruria, rimasero mariane e nemiche di Silla, che pensò di domarle una ad una manu militari. Il caso più eclatante fu quello di Volterra, che diede rifugio ad un numero consistente di partigiani mariani. Silla diresse di persona l’assedio che durò ben due anni. Due anni, per una città situata in cima ad un’aspra collina, voleva dire che le sue milizie erano in grado, non solo di resistere, ma di forzare il blocco e far entrare cibo con cui rifornire gli assediati in armi. Quando qualche secolo dopo i Longobardi se la sgropparono per l’Italia del nord e del centro non trovarono resistenza alcuna. Milano che aveva una popolazione più o meno della stessa entità numerica dell’intero popolo longobardo aprì le porte e il culo, e Volterra, già Volterra, chi sa quante ore resistette all’assedio della cavalleria longobarda?
E’ dall’epoca di Augusto che sappiamo che nessuna città italica fu in grado di difendere se stessa, in quanto armata e dotata di una propria milizia. Non abbiamo notizie di città ribelli, di sollevazioni. Magari qualche protesta, duramente stroncata a mo’ di esempio perché la cosa non si ripetesse, ma mai più sollevazioni armate. Non potevano, le città erano disarmate, private della loro milizia cittadina e protette dall’esercito imperiale. Quando l’esercito imperiale divenne una barzelletta, le città, peraltro impoverite e intristite, non furono nemmeno in grado di resistere a quattro beduini del nord. Come oggi Londra, Parigi, Marsiglia, Milano, incapaci di resistere agli incursori musulmani sia dal punto di vista pratico/organizzativo, ma più ancora su quello mentale e morale. In Svizzera, dove la gente non vuole minareti e altre cagate del genere avendo votato per referendum in merito, non si è mai verificato un episodio di guerra guidato da incursori musulmani e nemmeno mai un assalto ad una casa di Svizzeri. Lì ogni maschio adulto e valido ha nell’armadio un fucile da guerra pronto.
Non meno significativa la vicenda americana. Non il diritto, bensì il dovere di portare (carry è il termine esatto che si legge nella Costituzione) armi, è lì motivato politicamente e moralmente dall’assunto che solo la popolazione in armi potrebbe, in caso di necessità, impedire a militari, politici e altri farabutti di professione, di imporre un regime tirannico. Oggi che gli Stati Uniti si sono trasformati in un impero, nemmeno lontanamente viene presa in considerazione, dal sistema di disinformazione di massa, l’ipotesi che il regime politico potrebbe trasformarsi in una tirannia, ma il dovere costituzionale a vigilare armati è sistematicamente trasformato, dai sistemi di condizionamento ideologico di massa, in un diritto eccentrico, retaggio del passato avventuroso e selvaggio della conquista del west, da eliminare quanto prima in nome del vivere civile e democratico. Ovviamente non si dice che il dovere del cittadino a vegliare in armi fu voluto dai civilissimi e coltissimi autori della Costituzione, per lo più ricchi proprietari terrieri da secoli nelle colonie britanniche della Virginia, del Maryland o del Massachusetts, quando si riteneva che gli Stati Uniti non dovevano allontanarsi dalle coste dell’Atlantico e il Middle West, ossia la Louisiana, apparteneva alla Francia e il Far West alla Spagna. Ma la logica degli imperi è la stessa in ogni luogo e in ogni tempo.
L’Europa Occidentale oggi non è un impero, ma un sub impero che aspira a farsi impero, pur essendo già come sub impero in una fase di sfacelo. Il suo tracollo è imminente, ma avverrà non per collasso, per bensì per corrosione a ruggine. In pratica uno stato di caos generalizzato con alzate di testa qui e là. Sarà qualcosa di molto simile al dissolversi della bolscevica repubblica jugoslava, con aree musulmane che rivendicheranno l’appartenenza alla terra di Dar el Salaam e che faranno fuoco sui bianchi ancora non convinti della bontà della ricetta del Profeta o non così depallati da considerarsi dhymmi e contenti.
Ora è del tutto folle immaginare che i governi imperiali europei possano pensare che la ricetta svizzera sia vincente, anche perché, come l’antica burocrazia imperiale romana, pensano che i barbari si possano prendere per il culo all’infinito e dunque il loro impero non corra alcun pericolo esterno, mentre dei sudditi armati possano gravemente nuocere allo loro salute. Così, se dal punto di vista pratico, il suddito imperiale europeo sarà esattamente nelle condizioni dei poveri Galli all’arrivo dei Germani, ossia completamente disarmati e abbandonati, oggi è possibile invece non esserlo sul piano mentale e morale. Basta approfondire la storia del tardo impero romano.

venerdì 29 settembre 2023

I DOLORI DEL GIOVANE WERTHER


Quando scrisse “I Dolori del Giovane Werther”, Goethe aveva 24 anni, la pubblicazione del libro, l’anno successivo, fu un evento non semplicemente confinato entro il piccolo mondo della letteratura, ma divenne un fatto di costume senza precedenti.
Il Werther divenne il vademecum esistenziale di un’intera generazione di giovani tedeschi istruiti; e, nel giro di brevissimo tempo, lo divenne anche della più parte giovani di buona famiglia, e dunque in grado di leggere, di tutta Europa.
Non ha alcuna importanza cosa Goethe avesse realmente voluto comunicare ai lettori con quella sua operetta giovanile; quale fosse il suo contenuto più intimo e più vero, magari da leggersi fra le righe. Ciò che conta fu come la gioventù europea lo lesse, quali contenuti vi volle trovare.
Fu il testo nel quale trovava giustificazione la ribellione permanente dei giovani contro i vecchi; dell’individuo contro il collettivo, ovvero l’ordine sociale e le sue regole; che trovò nell’inseguire sentimento, libero e spontaneo, contro l’obbligo e la convenzione, la chiave di volta per la felicità.
Parimenti inizia la favola del giovane incompreso, il vittimismo universale di una mente libera e aperta contro l’opprimente stantio insieme di convenzioni che governano lo scambio sociale. Regole meschine e assurde che tarpano le ali a chiunque abbia idee e generoso senso del vivere.
Nella raffigurazione dei giovani dell’epoca, il sentire era l’espressione più nitida dell’anima quella che ne definiva la natura e generava la forza con cui si sarebbe stati al mondo in un certo modo piuttosto che in un altro.
La felicità è sentire di volere e potere essere liberi; ma sentirsi liberi è essere felici. È libero chi segue il suo sentire, ma non puoi sentire il tuo sentire - il tuo vero sentire - se non sei libero.
È una rivoluzione culturale di enormi proporzioni, quella che ha disegnato una volta per tutte il senso comune del mondo moderno riguardo alle ragioni che rendono lecito l’agire di ciascuno. Se l’azione è espressione di un sentimento generoso, sincero e onesto, non solo è lecita, ma è la benvenuta non può che rendere tutti migliori, anche coloro che non ne sono direttamente investiti, ma semplici spettatori.
Del resto buona parte della letteratura femminile di successo, dall’ottocento ai giorni nostri, si regge su questo mito. Il romanzo come “Il padrone delle ferriere” non poteva essere scritto senza che nel senso comune si desse per scontato che è un sentimento genuino dovesse e potesse far crollare qualunque barriera sociale, qualunque distanza fra le anime. …
Lotte è fidanzata con Albert, un giovane serio e assennato quanto lei, in definitiva il miglior partito che potesse trovare in vista del matrimonio, quello che le avrebbe assicurato e garantito il compimento di quello che era lei stessa, la realizzazione concreta di quello che era il suo profondo desiderare: una famiglia sorretta da solide fondamenta di ordine affettivo e pratico, ossia totale abnegazione ai ruoli ben definiti di moglie e marito dei due contraenti il matrimonio, rispettosa osservanza degli obblighi sociali, dedizione assoluta al lavoro, spettante ai due coniugi. Insomma l'antica saggezza della cultura popolare trovava nella coppia Lotte/Albert il suo modello ideale: ci si sposa non per passione ma per un condiviso sentimento di affetto e per unione di intenti e intendimenti. Il suo scopo è la durata in grazia del massimo livello di armonia che le inclinazioni caratteriali di una certa coppia possono offrire.
E' in questo contesto di relazioni umane, strettamente legate alla tradizione, che viene a inserirsi Werther. E naturalmente le fa esplodere, ma non nella forma diretta e dirompente per cui tutti gli impegni presi, gli obblighi consuetudinari fra promessi sposi, vengono cancellati in nome di una reciproca passione fra amanti di tale forza, da trasportarli su di un altro piano di realtà, liberandoli di ogni obbligo verso gli altri. No, avviene esattamente nella forma opposta, in modo indiretto, attraverso l'annichilimento del soggetto della passione, ossia di Werther, che, vedendo l'impossibilità di una via d'uscita ragionevole al suo desiderare, si suicida. Il messaggio, almeno come fu letto dai contemporanei, fu inequivocabilmente questo: che giustizia, e dunque quale bene, possiamo trovare in un ordine sociale le cui istituzioni antepongono il gelido calcolo dell'utile al nobile sentire del cuore? Che felicità potremo mai trovare nel sottometterci a regole dettate dal bisogno della società di conservare se stessa, quando rimuovono il principio stesso da cui sgorga ogni possibile felicità umana, ossia il diritto, anzi il dovere, di seguire il proprio sentimento, quando questo sorge spontaneo e innocente da un cuore puro e libero da qualunque meschino calcolo d'interesse?
Werther è il prototipo dell'incompreso, la figura sociale che ha sostituito quella più antica del peccatore, rimpiazzandola in forma rovesciata.
Se la vicenda del peccatore imponeva lo snodarsi della trama letteraria di ogni racconto verso la redenzione, la figura dell'incompreso prevede la messa sotto accusa permanente dell'ordine sociale esistente e l'esaltazione del giovane che ne diviene vittima proprio perché assolutamente superiore alla meschinità grazie alla quale l'uomo comune si associa ai suoi simili e fa della comune convivenza una ragnatela di regole inderogabili e asfissianti.Werther si suicida, come Didone abbandonata. Ora questo epilogo è interessante sotto molti punti di vista.
In primo luogo, la valutazione morale del suicidio stesso. Il suicidio non è concepibile nel mondo medioevale, cioè Cristiano. Nessuno si sarebbe suicidato per amore e non perché fosse semplicemente un tabù etico. Dante non si suicida, scrive la Divina Commedia; Petrarca, il Canzoniere. Lo scopo dell'amore non era la soddisfazione di un desiderio, ma un mezzo, una via per accedere a un desiderio d'amore ancora più vasto e totalizzante, quello di Dio nel quale trovare la verità della propria esistenza.
Dunque quando Werther si suicida siamo davvero fuori dal mondo Cristiano. Il gesto viene letto secondo criteri che a tutt'oggi rimangono invariati. E' un gesto "folle", come in genere si dice, ma in fondo comprensibile, dunque meno folle di quanto retoricamente si dica e, in fondo, accettato perché accettabile. Perché? Perché il desiderio, il proprio soggettivo desiderio di felicità, è l'unica realtà riconoscibile come sensata, l'unica alla quale possiamo dare un nome. Tutto intorno opacità e impenetrabilità.
E’ una chiave di volta che guida il nostro stare al mondo. Si vive per essere felici, naturalmente; ma si è felici solo inseguendo e realizzando i propri desideri. E i desideri sono l’altro nome con cui diciamo di sentire, di provare, dei sentimenti. La modernità è questo. Siamo soli col nostro desiderio, completamente soli, e proprio non c’è nulla che possiamo inventarci come compagno, quando abbiamo fatto del desiderio l’ancora di salvataggio del nostro stare al mondo.

Alfredo Morosetti

GLI ERRORI STORICI E STRATEGICI DELL’OCCIDENTE

 GLI ERRORI STORICI E STRATEGICI DELL’OCCIDENTE

di Gordon Hahn

17 settembre 2023

https://gordonhahn.com/2023/09/17/the-wests-historical-and-strategic-miscalculations/

 

La guerra in Ucraina è in buona parte il risultato di gravi errori di calcolo strategico-storici e storico-strategici commessi dell’Occidente alla fine della Guerra Fredda. I primi errori, strategico-storici, sono implicati da una filosofia della storia escatologicamente progressista –  progressista, cioè definita in termini puramente occidentali, non a caso conformi agli interessi dell’Occidente. Il secondo tipo di errori, quelli storico-strategici, derivano da una serie di ipotesi, generate dal primo tipo di errori, sul tipo di strategia di cui l’Occidente avrebbe avuto bisogno per assicurarsi di essere “dalla parte giusta della storia”. Nel contesto di questi errori di calcolo, l’Occidente ha anche commesso una serie di valutazioni errate sulla Russia, contribuendo a produrre il dilemma di sicurezza russo-occidentale che si sta riproducendo oggi nei campi, nei villaggi e nelle città dell’Ucraina.

 

GLI ERRORI DI CALCOLO STRATEGICO- STORICI DELL’OCCIDENTE

 

(1) L’errata filosofia della storia occidentale. Il primo errore storico-strategico successivo alla Guerra Fredda si radica nella filosofia della storia escatologica e occidentalocentrica dell’Occidente. Invece di vedere lo sviluppo della storia umana come circolare, l’Occidente lo vede lineare e progressivo. Il senso – radicato nell’escatologia cristiana dell’Anticristo, dell’apocalisse, della seconda venuta di Cristo, della salvezza dell’umanità e dell’avvento del Regno Celeste alla fine dei tempi – è che la Storia si dirige verso una particolare conclusione o esito. La storia, in questa visione, non è una serie di cicli ripetuti di ascesa e caduta, costruzione e distruzione, guerra e pace. Il punto finale della storia si sta decidendo in una lotta crepuscolare tra il bene e il male, in cui il primo vincerà. Non volendo essere perdenti in questa lotta, e non essendo meno incentrati su se stessi e orientati sui propri interessi degli altri, gli occidentali immaginano naturalmente una fine della Storia in cui il modello occidentale, essendo dalla parte giusta della Storia, alla fine trionferà. Le forze che si oppongono a questa conclusione della storia sono naturalmente “dalla parte sbagliata della Storia” e “malvagie”. Non ci può essere alcuna giustificazione per le loro azioni se violano le regole della “democrazia” nelle loro nazioni, e la legge dell’espansione della democrazia in tutto il mondo – la diffusione della “buona novella” e del Verbo dei valori democratici universali a livello globale, con l’arrivo dell’inevitabile, unica pace possibile: la pace democratica.

 

(2) La teleologia occidentale della fine della Storia nella pace democratica. Il secondo errore storico-strategico è stato quello di riempire il quadro storico-filosofico con contenuti che stabiliscono che non è tanto l’Occidente in sé a guidare la storia, ma i suoi elementi di civiltà: le libertà individuali, il governo repubblicano o, dove possibile, persino democratico, e le economie di libero mercato o il capitalismo. Francis Fukuyama in “La fine della storia e l’ultimo uomo” ha esposto questo argomento. Dopo la guerra fredda e il crollo dell’impero comunista sovietico, il repubblicanesimo capitalista era l’ultima ideologia o modello che restasse in piedi. Negli anni Quaranta, le “democrazie” occidentali (le democrazie sono poche, tutti gli Stati occidentali sono repubbliche) avevano apparentemente condotto la lotta per sconfiggere il fascismo in Germania, Italia, Giappone e, come spesso si dimentica, nell’Europa orientale. Hanno poi contenuto e superato l’altra ideologia che le sfidava, il comunismo, portandolo alla disillusione nei confronti di se stesso e provocando, in larga misura, alla sua dissoluzione. Ciò ha confermato l’escatologia dell’Occidente riguardo alla direzione e alla fine della Storia.

 

L’umanità era entrata nella fase finale della storia, che avrebbe portato a un mondo di Stati repubblicani, capitalisti e di libero mercato. Poiché, secondo la “teoria della pace democratica”, le repubbliche non si fanno guerra tra loro, il nuovo mondo di Stati repubblicani si sarebbe presto trasformato in un regno celeste di pace eterna e prosperità per tutti. L’eccitazione, in alcune comunità o sottoculture occidentali – ad esempio, nei circoli neocon – era palpabile. C’era una nuova energia ansiosa e un’impazienza intollerante verso qualsiasi resistenza oggettiva o soggettiva. Questa analisi teleologica lasciava da parte il bagaglio di centinaia di storie nazionali, di centinaia di memorie nazionali, di centinaia di culture nazionali, delle numerose religioni e civiltà che hanno generato e, di conseguenza, delle centinaia di questioni internazionali, interculturali e interconfessionali da risolvere. Inoltre, l’analisi aveva enormi implicazioni strategiche per il completamento della marcia del repubblicanesimo nel mondo.

 

GLI ERRORI STORICO- STRATEGICI DELL’OCCIDENTE

 

(1) Salvare la storia con la promozione della democrazia e l’espansione della NATO. L’origine religiosa della fede degli occidentali in una fine capitalista e repubblicana della storia non preclude necessariamente l’attività umana per accelerare lo sviluppo storico. Come alcune tradizioni cristiane ritengono che la purificazione dell’umanità e la grazia sulla terra possano contribuire ad avvicinare la salvezza finale, o come alcuni comunisti hanno revisionato il marxismo per giustificare la possibilità di un avvento del comunismo in Stati prevalentemente agricoli, soprattutto per mezzo di forze rivoluzionarie organizzate e guidate da un partito affiatato di rivoluzionari professionisti in grado di “telescopare” o contrarre il corso dello sviluppo storico tra la “fase democratica capitalista e borghese” e la rivoluzione socialista, così anche gli umanisti che credono nell’inevitabile avanzamento delle libere repubbliche in tutto il mondo si sforzano di accelerare l’avvento di una comunità globale repubblicana e della pace democratica. Ciò si è riflesso nella vasta espansione degli sforzi di promozione della democrazia dell’Occidente, in particolare degli Stati Uniti, volti a spingere le società meno mature verso la transizione democratica. A volte, le famigerate rivoluzioni colorate sono state soltanto alimentate, piuttosto che direttamente organizzate, ma il risultato è stato lo stesso: l’incorporazione degli aspiranti, e di alcuni dei non aspiranti di ogni specifico Stato, nel sistema occidentale, al fine di liberarli e salvarli dalla guerra, dalla povertà e dall’autoritarismo. Alcuni, come i russi e i cinesi, erano costernati per la curiosa correlazione tra vicinanza politica e geografica degli “Stati obiettivo” dell’Occidente, da un lato, e i propri alleati e vicini, dall’altro. Due corollari di questo proselitismo sono stati l’espansione della Comunità Europea per espandere le economie dominate dal mercato nei mondi post-sovietici e post-comunisti e – cosa più sconcertante per Mosca e Pechino – l’espansione del blocco militare più potente della storia mondiale, la NATO. Quest’ultimo corollario espansionistico è stato venduto come l’allargamento di un’alleanza puramente difensiva, in perfetta sintonia con l’imminente pace democratica. I membri della NATO vivrebbero in una zona di sicurezza e in una comunità di democrazie, e gli altri desidererebbero, naturalmente, unirsi alla pace.

 

(2) Trasformare l’Ucraina da Stato cuscinetto a dilemma di sicurezza. La sconvolgente portata della tracotanza politica e dell’errore storico di questa strategia della NATO, in particolare nel momento in cui è diventata sempre più stridente ed egoistica, è stata visibile a tutti i più esperti pensatori strategici dell’Occidente: George Kennan, John Mearsheimer, Michael Mandelbaum, tra gli altri (e compreso il sottoscritto). Altri, come Zbigniew Brzezinski, hanno visto la luce sul letto di morte.

Questi uomini navigati e ragionevoli hanno notato e avvertito fin dall’inizio che una simile politica avrebbe spinto Mosca nelle braccia di Pechino, creando un baluardo di potenza strategico anti-occidentale. È in questo errore di calcolo, di gravità storica, che l’odierno conflitto ucraino trova la sua genesi, poiché la “politica della porta aperta” della NATO ha sollevato la questione della copertura totale del confine russo da parte dei membri dell’alleanza. Tentando di far entrare l’Ucraina nella NATO – ufficialmente dal vertice di Budapest del 2008, ufficiosamente quasi di certo dal 1991 – l’alleanza si è privata di uno Stato cuscinetto tra Russia e Occidente che avrebbe in gran parte prevenuto e precluso il conflitto con la Russia, soprattutto se una strategia di buffer-building invece che di alliance-building fosse stata applicata anche al Baltico, alla Bielorussia e alla Moldavia. Fin dall’inizio, l’espansione della NATO ha screditato la democrazia e gli occidentalisti russi, e ha resuscitato la tradizionale norma di vigilanza sulla sicurezza della Russia nei confronti dell’Occidente.  I nuovi membri della NATO nutrivano forti rancori storici e animosità culturali e religiose nei confronti della Russia, e la Russia aveva una sensibilità storicamente radicata nei confronti dei suoi vicini occidentali, a causa di un modello secolare di interferenze politiche, sovversioni e interventi, animosità culturali e religiose, interventi militari e invasioni provenienti dall’Occidente, dall’Occidente e per l’Occidente.

 

L’Ucraina è stata una questione particolarmente problematica, visti gli elementi storici, culturali, religiosi ed etno-nazionali comuni tra Russia e Ucraina. Le identità nazionali ucraine e russe sono inestricabilmente intrecciate da esperienze storiche comuni e da legami politici, in parte comuni, in parte meno. Insistendo sul suo diritto di espandersi in Ucraina, la NATO ha trasformato il segno neutro sotto il quale esisteva l’Ucraina post-sovietica in un segno negativo per Mosca. Da potenziale Stato cuscinetto per l’Occidente (e per la Russia), l’Ucraina è diventata un oggetto del desiderio e di contesa tra l’Occidente e una Mosca già in uno stato di maggiore vigilanza a seguito di diverse ondate di espansione della NATO, anche ai confini con gli Stati baltici. In breve, l’Occidente ha sostituito un cuscinetto di sicurezza con un dilemma di sicurezza e un’alta probabilità di conflitto con la Russia.

 

Forse ancora più importante è il fatto che, a causa della storia spesso comune dei due Paesi, l’Ucraina era uno Stato diviso, diviso lungo linee etniche, linguistiche, identitarie, geografiche, storico-politiche e socioeconomiche. Gli sforzi della NATO per espandersi in Ucraina hanno aggravato le tensioni tra l’Ucraina occidentale e quella sud-orientale, dove queste divisioni erano pronte a esplodere, come un soldato che calpesta una mina. La rivolta di Maidan, sostenuta dall’Occidente, è stata la violenta scintilla che ha fatto esplodere questa polveriera.

 

(3) Ridimensionare la guerra convenzionale, mentre si spinge la Russia verso la guerra convenzionale in Ucraina. Allo stesso tempo, mentre l’ultima fase della presunzione storica di una pace democratica e altri fattori hanno contribuito a produrre un nuovo approccio “non convenzionale” alle dottrine militari e di sicurezza nazionale occidentali, il rivoluzionarismo cromatico dell’Occidente e l’espansionismo di NATO e UE hanno spinto la Russia verso la guerra convenzionale in Ucraina. Ma l’imminenza della pace democratica sembrava significare, almeno in Occidente, che il rischio di guerra era diminuito, e che le guerre convenzionali del tipo visto in Europa erano finite, così provando e anticipando l’avvento della pace democratica. Le vere grandi potenze erano ormai unanimi sulla superiorità dei sistemi politico-economici capitalistici e repubblicani; insieme avevano adottato i valori universali. Con una Russia indecisa, la debolezza post-Guerra Fredda, gli accordi di controllo degli armamenti dell’era della perestrojka, e la “politica assicurativa” dell’espansione della NATO erano garanzie affidabili che i timori di una minaccia russa all’Europa fossero limitati se non inesistenti. La guerra e le forze armate convenzionali potevano ancora emergere nel Terzo Mondo, ma per decenni non avrebbero rappresentato una minaccia, per le potenti macchine militari occidentali. Fuori dell’Occidente, la democrazia garantiva la pace con il Giappone e l’India, e la Cina era creduta in procinto di compiere una “transizione alla democrazia” di tipo sovietico, di cui Piazza Tienanmen era stata un presagio. Senza la minaccia di una guerra convenzionale di grandi dimensioni, le spese per la difesa e l’intelligence potevano essere ridotte, o almeno gli aumenti di bilancio potevano essere rallentati.

 

Nello stesso momento in cui i timori di una guerra convenzionale sono diminuiti, è emersa una nuova minaccia non convenzionale per la sicurezza, rappresentata dal terrorismo jihadista e dalle controinsurrezioni. La principale minaccia non convenzionale proveniva dal “Terzo Mondo”. Per questo motivo, una parte significativa delle spese per la difesa e l’intelligence è stata dirottata verso il “controterrorismo”, il nation-building e le esigenze di ingegneria sociale interna. Questo spostamento è stato particolarmente forte dopo il 2000, quando l’11 settembre ha scatenato la guerra contro il terrorismo jihadista, la guerriglia e l’insurrezione. Ma nel frattempo, le successive ondate di espansione della NATO e il conseguente ritorno all’autoritarismo più tradizionale della Russia e alla sua cultura di vigilanza sulla sicurezza stavano intensificando le tensioni con l’Occidente, facendo crescere le spese militari russe e aumentando la preoccupazione generale dello Stato riguardo alla percezione della crescita convenzionale dell’Occidente, dai Balcani al Caucaso, dalla Siria all’Ucraina, e alla necessità di una maggiore attenzione dello Stato e della società alla sicurezza nazionale. Dopo le rivoluzioni colorate in Georgia e Ucraina a metà degli anni Duemila e la guerra ossetiana Georgia-Russia dell’agosto 2008, la Russia ha intrapreso un grande sforzo di riforma e modernizzazione militare.

 

GLI ERRORI DI VALUTAZIONE DELL’OCCIDENTE NEI CONFRONTI DELLA RUSSIA E IL NUOVO CALCOLO RUSSO

 

L’errore di lettura strategica dell’Occidente è stato forse ancora più evidente quando si è trattato di sviluppare le relazioni con la Russia post-sovietica. Errori storici e strategici hanno portato a un atteggiamento accondiscendente nei confronti della Russia, a una sottovalutazione dello status di grande potenza storicamente persistente della Russia, a una sopravvalutazione del permanere della debolezza russa post-sovietica, a una tendenza a ignorare gli interessi nazionali e il senso dell’onore della Russia, e a un completo fraintendimento della determinazione –  della Russia, e non solo di Putin – a contrastare l’emergere di una minaccia militare ai suoi confini. Le grandi potenze non permettono questo tipo di dinamica, e la Russia è determinata a preservare il suo status di grande potenza per ragioni di storia, sicurezza, tradizione e onore. Numerosi studiosi occidentali hanno osservato che se l’Ucraina si unisse al campo occidentale e le facesse perdere il punto d’appoggio nel Mar Nero che le conferisce la flotta basata in Crimea, la Russia farebbe molta fatica a mantenere lo status di grande potenza.

 

Il già citato ritorno della cultura russa di vigilanza sulla sicurezza e il suo rifiuto della democratizzazione provocata dal rivoluzionarismo di promozione della democrazia e dalla militarizzazione della democrazia con l’espansione della NATO sono direttamente collegati anche all’ interpretazione occidentale completamente errata del crollo sovietico e della Russia post-sovietica in generale.  L’Occidente ha interpretato erroneamente la caduta del regime comunista sovietico come una rivoluzione dal basso o come una “transizione democratica”.  Non si trattava di nessuna delle due cose. Nel primo caso, le élite politiche sono state inclini a credere nel mito di una “rivoluzione popolare” dal basso, su ampia base sociale, perché questa era la teleologia politica dettata dal modello “fine della storia”. Nel frattempo, gli accademici inserirono il caso russo nella teoria popolare all’epoca: la teoria della transizione. In realtà, la trasformazione del regime sovietico/russo fu principalmente una rivoluzione dall’alto, con elementi secondari di una nascente rivoluzione dal basso e di “patti di transizione” o negoziati tra regime e opposizione verso una trasformazione democratica, ma questi ultimi elementi furono abortiti quasi immediatamente dopo il fallito colpo di Stato dell’agosto 1991 (cfr. Gordon M. Hahn, Russia’s Revolution From Above: Reform, Transition, and Revolution in the Fall of the Soviet Communist Regime, 1985-2000 (Transaction Publishers, 2002, Routledge, 2017).

 

Ciò significa che, piuttosto che un’ampia massa di rivoluzionari repubblicani che insorgono per cambiare il regime e prendere il potere, come in una rivoluzione dal basso, o a condividere il potere e rimanere politicamente vigili dopo una transizione negoziata dall’ancien regime, la rivoluzione è stata guidata dall’alto, all’interno dello Stato, da attori del Partito-Stato che avevano un’adesione limitata, se non addirittura una limitata comprensione, di che cosa siano governo repubblicano ed economia di mercato. Questi attori hanno dominato la leadership e l’apparato statale nella “nuova” Russia dopo il 1991. Il fatto che una parte della leadership e della burocrazia russa e una parte della società avessero un’adesione al modello repubblicano-capitalista rendeva possibile una trasformazione completa verso il regime repubblicano di mercato, che però restava un compito estremamente difficile. Ma poiché l’Occidente presupponeva che la rivoluzione avesse una base sociale più ampia di quanto fosse in realtà, non sentiva l’urgenza di fornire alla Russia un’assistenza economica che allora era, invece, assolutamente critica. L’assistenza arrivò, ma troppo poco e troppo tardi. Peggio ancora, l’Occidente iniziò a discutere e poi ad attuare l’espansione della NATO, delegittimando le forze filo-occidentali, filo-repubblicane e filo-libero mercato. La rivoluzione filo-repubblicana russa dall’alto è stata quindi messa a dura prova, con le rivoluzioni colorate e le successive ondate di espansione della NATO e dell’UE in arrivo (Hahn, Russia’s Revolution from Above, capitolo 11). All’inizio degli anni Duemila, quindi, la rivoluzione filorepubblicana russa dall’alto era morta.

 

Gli occidentali erano consapevoli, anche se forse sottovalutavano, il fatto che la rivoluzione era zavorrata dal complesso e sfaccettato fardello dell’eredità comunista sovietica: una politica totalitaria, un’economia ipercentralizzata e un’ideologia, una cultura e una politica anti-occidentali, anti-capitaliste e anti-libertarie. Ma non hanno visto arrivare la rinascita del passato tradizionalista pre-sovietico della Russia, tuttora utilizzabile. Questo sviluppo è stato il risultato diretto delle tensioni a cui l’espansione della NATO sottopose la debole base sociale e democratica della rivoluzione russa dall’alto. Con l’affievolirsi dell’influenza dei repubblicani russi, l’élite politica e intellettuale russa ha iniziato a cercare un nuovo percorso nel passato del Paese. La cultura, il pensiero, la storia e la politica russa pre-sovietica erano l’ovvia alternativa a una revanche comunista in risposta all’invasione occidentale annunciata dall’espansione della NATO e dell’UE. Nel Rinascimento religioso russo e nell’Età d’Argento durante il crepuscolo imperiale alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo, la cultura e i discorsi russi riflettevano non solo le idee che alimentarono l’ondata rivoluzionaria e la presa del potere comunista: comunismo proletario, socialismo agrario, utopismo rivoluzionario e internazionalismo comunista. Altrettanto influenti furono le idee dell’universalismo e del comunitarismo ortodosso, del messianismo russo, dell’anarchia slavofila e del “comunitarismo” agrario, del panslavismo, del liberalismo cristiano, del liberalismo occidentale, del sentimento antiborghese: in sintesi, varie forme di conservatorismo non occidentale e/o utopico. La politica, sotto l’autocrazia della Russia imperiale, era autoritaria, ma liberale per gli standard sovietici, e concedeva, occasionalmente, ulteriori liberalizzazioni. Per gli standard odierni costituisce un autoritarismo temperato, a volte morbido a volte meno, ma non era totalitaria, e quindi risponde al desiderio dei russi di libertà significative rispetto dell’esperienza sovietica. Allo stesso tempo, coincide con la sfiducia dei russi nei confronti dell’Occidente e con lo status di grande potenza del loro Paese.

 

Con il discredito del comunismo e del socialismo alla fine dell’era sovietica e quello del capitalismo e del repubblicanesimo nella depressione dei selvaggi anni ’90, sono stati questi conservatorismi russi pre-sovietici a emergere dal sedimento della memoria nazionale, scoperto dopo la liberalizzazione della perestrojka di Mikhail Gorbaciov e la debole democrazia di Boris Eltsin, che però ha permesso un discorso pubblico molto libero sul passato, il presente e il futuro della Russia. L’autoritarismo morbido con un notevole sostegno popolare e il ritorno dell’anticapitalismo o almeno dei sentimenti antiborghesi, l’universalismo e il comunitarismo russo ortodosso, il neo-eurasismo semi-universalista, il nazionalismo russo di Stato (non etnico) e la preferenza per la solidarietà nazionale rispetto al pluralismo politico sono tornati alla ribalta nella cultura russa – politica, economica e strategica. L’alternativa russa tradizionalista non è stata capita, perché l’Occidente l’ha ignorata o non l’ha mai presa sul serio. Dopotutto, la fine della storia prevista dai pensatori occidentali anticipava un futuro che si allontanava da queste tradizioni.

 

Inoltre, la recente rinascita russa ha visto il ritorno di una visione semi-messianica, neo-eurasiana, in cui la Russia è vista come una forza principale, se non la principale, in una grande alternativa eurasiatico-centrica all’Occidente, in cui Russia e Cina dovrebbero radunare il “Resto” contro l’Occidente, allo scopo di: difendere la religione contro il secolarismo; i valori tradizionali della famiglia contro il femminismo radicale, il genderismo, il transgenderismo e il transumanesimo; il comunitarismo contro l’individualismo, e il nazionalismo e la civiltà contro il globalismo. Ogni civiltà, in questa visione, è libera di determinare il tipo di sistema politico ed economico in cui vivere. Così, l’India e varie democrazie africane e latinoamericane si stanno integrando con diverse organizzazioni internazionali dell’alternativa sino-russa, dai BRICS all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, all’Unione Economica Eurasiatica e alla One Belt One Road. Il nuovo messianismo russo emergente – che ha anche radici nell’escatologia e nella teleologia di ispirazione cristiana – ritiene che la Santa Russia abbia una missione speciale, negli affari mondiali. Tale missione, al momento, si limita a quella incarnata dalla strategia neo-eurasianista, attualmente parte del partenariato sino-russo previsto da Mosca.

 

In termini di affari militari e di sicurezza, la Russia sta ancora una volta andando per la sua strada. Nonostante le guerre cecene e l’ascesa dell’Emirato del Caucaso, entrambi legati ad Al Qa`ida e poi all’ISIS, i russi non hanno mai ricevuto il promemoria sull’abbandono della guerra convenzionale, e di certo non l’hanno ricevuto i militari russi. Certo, nei depressi anni ’90 i leader civili russi sono stati costretti a tagliare i bilanci della difesa, e il jihadismo nel Caucaso ha richiesto di dirottare gli scarsi finanziamenti verso l’antiterrorismo e la contro-insurrezione. Ma questo è avvenuto solo ai margini e per necessità, a differenza che in Occidente, dove le nuove dottrine sono state accolte con entusiasmo e si sono radicate nella sua peculiare filosofia della fine della storia.

 

CONCLUSIONE

 

Tornando al 2022, vediamo che l’Occidente ha condotto, anzi trascinato l’Ucraina in una catastrofe. Con l’adesione alla NATO e all’Occidente in senso lato che le è stata prospettata per due decenni, Washington e Bruxelles hanno impegnato l’Ucraina nel tipo di ingegneria sociale che oggi spesso infligge alle proprie popolazioni, ma su una scala molto più grande. I governi sono stati rovesciati, la politica e l’economia sono state ridisegnate, l’ultranazionalismo, il neofascismo e, cosa più pericolosa, l’antirussismo sono stati non solo tollerati, ma per molti versi incoraggiati dall’Occidente in Ucraina. L’Occidente ha creato in provetta una “anti-Russia”, secondo la terminologia di Putin, ai confini della Russia, mentre ha alimentato i timori per la sicurezza in Russia soprattutto attraverso un’espansione della NATO che per l’Ucraina è rimasta temporaneamente in sospeso, ma che è risultata fin troppo reale per la Russia, con la sua memoria storica di otto secoli di interferenze, interventi e invasioni occidentali. La Russia non ha mai effettuato una transizione su larga scala da un’economia manifatturiera a una virtuale come quella occidentale. Questo, e il fatto che la Russia abbia conservato il know-how e la capacità bellica convenzionale si manifesta nella guerra provocata dal messianismo repubblicano e dalla teleologia storica dell’Occidente.

 

I numerosi errori di calcolo dell’Occidente hanno spinto l’orso russo nell’abbraccio del panda cinese. Gran parte del Resto del mondo è pronta ad abbracciare l’orso in risposta all’egemonia occidentale, alle rivoluzioni colorate, all’espansione della NATO ora anche in Asia, alle richieste dell’Occidente di sanzioni per la guerra in Ucraina, alle pesanti pressioni di FMI e Banca Mondiale. In Ucraina, il nuovo messianismo conservatore neo-eurasiatico della Russia sta cercando di proteggere le sue retrovie in Occidente, mentre si rivolge verso est. Nella sua arroganza, l’Occidente non solo ha “perso la Russia”, ma sta per perdere anche l’Ucraina e forse molto altro. I suoi calcoli sbagliati hanno creato un nuovo mondo, ma non l’utopia repubblicana del mercato che aveva immaginato profilarsi all’orizzonte tre decenni fa. Trascurando la permanenza del conflitto nella Storia, l’Occidente ha fatto rivivere sia il conflitto che la Storia, e lo ha fatto in modi che potrebbe rimpiangere.

Gordon M. Hahn, Ph.D., è un analista esperto di Corr Analytics, www.canalyt.com .

 

IL PANE

  Maurizio Di Fazio per il  “Fatto quotidiano”   STORIA DEL PANE. UN VIAGGIO DALL’ODISSEA ALLE GUERRE DEL XXI SECOLO Da Omero che ci eternò ...