venerdì 18 ottobre 2019

La Gioconda

LA COSTRUZIONE DELLA GIOCONDA
Testo di Donald Sassoon pubblicato da “la Stampa”


Il catalogo del Louvre del 1849 fornisce i valori di mercato dei dipinti del museo stimati dagli esperti ufficiali. La Gioconda era valutata 90 mila franchi, ma la Vergine delle rocce di Leonardo ne valeva 150 mila. La bella giardiniera di Raffaello valeva 40 mila e la sua Sacra Famiglia 750 milafranchi, più di otto volte la Gioconda. Vari fattori portarono la fama della Gioconda ad avanzare. Uno era il fiorente culto di Leonardo, un culto che avrebbe accelerato nel ventesimo secolo quando divenne il personaggio più rappresentativo del Rinascimento, davanti ai suoi due principali rivali: Michelangelo e Raffaello. (...) Un altro fattore fu la trasformazione della Gioconda da allegra giovane fiorentina in una misteriosa ed enigmatica femme fatale. Questa trasformazione fu l' opera delle élite letterarie. Gli intellettuali pensavano che i dipinti dovevano essere decodificati e che solo persone di cultura e sensibilità artistica, come loro stessi, potevano svolgere questo compito. Così soppiantarono gli aristocratici e i patroni dell' arte e divennero gli arbitri del gusto.


Gli intellettuali francesi - e in seguito quelli britannici, stavano ora scoprendo la Gioconda. Perché lei? Probabilmente perché era un testo aperto nel quale si poteva leggere ciò che si voleva. Probabilmente perché non era un' immagine religiosa. E poiché i guardiani della letteratura erano uomini, lei poteva essere ed era soggetta a un flusso infinito di fantasie maschili. E i romantici, dopo aver inventato la misteriosa femme fatale, dovettero darle un volto.

Essi decretarono che, come tutte le donne affascinanti, era pericolosa, addirittura mortale. Michelet, il grande storico, scrisse che «questo dipinto mi attrae, mi disgusta, mi consuma, e io vado verso di lei senza volerlo, come l' uccello va al serpente». (...) Il massimo promotore della nuova imagine della Gioconda come femme fatale fu Theophile Gautier. Gautier era particolarmente ossessionato dalle donne del mondo mitologico e antico (Cleopatra, Elena di Troia), con donne orientali, ragazze zingare, belle e misteriose italiane.
Nella sua finzione le sue donne sono spesso inquietanti, castranti e divoranti. Sicuramente non la ragazza della porta accanto dei film di Doris Day, piuttosto la Glenn Close del film Fatal Attraction.


Gautier, che scrisse a lungo sull' arte, fu al centro della vita artistica parigina,ebbe un' enorme influenza. In un importante articolo sul Moniteur universel del 26 novembre 1855, Gautier spiegò il significato della Gioconda: «Questo strano essere il suo sguardo ci promette piaceri sconosciuti, la sua espressione ironica e divinale sue labbre beffeggianti sottilmente disprezzano i comuni piaceri dei mortali». (...)

Verso la metà del 1850, la costruzione del mito della Gioconda come donna mangiatrice di uomini era già iniziata in Francia. Fu ulteriormente sviluppata in Inghilterra da Walter Pater in un famoso e molto citato saggio su Leonardo, La costruzione del mito della Gioconda. Pater, avendo esaminato l' intera opera pittorica di Leonardo, annunciò che la Gioconda era il suo capolavoro. (...)


Nel 1918 la Gioconda era diventata uno dei prodotti più riconoscibili dell' arte classica. Quindi, quando artisti d' avanguardia cercavano un' opera classica da prendere in giro, dovevano fare affidamento a un opera nota. Entra in scena Marcel Duchamp (1887-1968) che adopera la tradizionale tecnica di profanare ciò che è sacro prendendo una cartolina monocromatica della Gioconda e disegnando un paio di baffi e una barbetta e scrivendo LHOOQ.

Questo è diventato il lavoro più noto di Duchamp. Fu immediatamente riprodotto sulla copertina della rivista Dadaist nel marzo 1920 e Duchamp ripeté più volte la provocazione: nel 1941, un disegno dei soli baffi e barba di LHOOQ e nel 1965 una riproduzione della Gioconda senza baffi intitolato LHOOQ rasée, che fu venduto all' asta nel maggio 1996, per 12 mila dollari. Fu l' inizio di una fase nella quale gli artisti usavano la Gioconda, la sfiguravano, la distorcevano, giocavano con oggetti selezionati (le mani, il sorriso, gli occhi). Per esempio nella Joconde aux Cléfs di Fernand Leger Mona Lisa diventa un oggetto casalingo come un mazzo di chiavi. La Mona Lisa dodicenne di Fernando Botero del 1959. E nel 1963 Andy Warhol presenta il suo Thirty Are Better than One, poi vengono Magritte, Johns Jaspers e molti altri.
DONALD SASSOON

Quasi ogni politico degno di nota fu rappresentato come Mona Lisa: Golda Meir, De Gaulle, la Thatcher, Berlusconi, Chirac, e anche la «donna fatale» di Clinton (si fa per dire), Monica Lewinski diventata Mona-Monica sul New Yorker del Febbraio 1999.

giovedì 31 gennaio 2019

Papa Bergoglio e il suo passato

Marcello Veneziani per “la Verità”

EMIDIO NOVI - LA RISCOSSA POPULISTAEMIDIO NOVI - LA RISCOSSA POPULISTA
C'era una volta in Argentina un gesuita, Jorge Mario Bergoglio, che era schierato contro la teologia della liberazione, vicina al castrismo e negli anni Settanta aderì alla Guardia de hierro, un'organizzazione peronista, di stampo nazionalista, cattolica, ferocemente anticomunista. In quegli anni a chi gli faceva notare che l'organizzazione a cui aderiva si richiamasse alla Guardia di ferro, il movimento romeno del comandante Corneliu Zelea Codreanu, nazionalista e fascista, Bergoglio replicava: «Meglio così».

Della sua vicinanza alla Guardia de hierro ne parlò dopo la sua elezione il quotidiano argentino Clarin, mentre a Buenos Aires apparivano manifesti che ricordavano Bergoglio peronista. Per la cronaca, la Guardia di ferro era un movimento di legionari, molto popolare in Romania negli anni Trenta, ritenuto antisemita e filonazista, di cui si innamorarono in molti, non solo in Romania. Uno di questi fu Indro Montanelli che pubblicò sul Corriere della Sera una serie di entusiastici reportage pieni di ammirazione per Codreanu, nell' estate del 1940, a guerra inoltrata, smentendo la sua tesi postuma che dopo il 1938 si fosse già convertito all'antifascismo.
EMIDIO NOVIEMIDIO NOVI 

Testi ripubblicati di recente, Da inviato di guerra: lo squadrismo rumeno (edizioni Ar). Evidentemente anche nell'Argentina dei Perón il mito di Codreanu, barbaramente assassinato, e del suo integralismo cristiano, aveva proseliti. Nel 1974, dopo la morte di Juan Domingo Perón, il movimento legionario si sciolse.

Era un gruppo di 3.500 militanti e 15.000 attivisti. Si opponevano ai guerriglieri di sinistra, peronisti infiltrati dai castristi, seguaci di Che Guevara; loro erano, per così dire, l' ala di estrema destra del giustizialismo. Il gruppo della Guardia de hierro era stato fondato da Alejandro Gallego Alvarez. Era un movimento che teneva molto alla formazione culturale dei suoi militanti e alla presenza tra i diseredati e gli ultimi. A Bergoglio fu poi affidata un'istituzione in difficoltà, l'università del Salvador.

un giovane jorge mario bergoglioUN GIOVANE JORGE MARIO BERGOGLIO
Bergoglio la risanò e la affidò a due ex camerati della Guardia de hierro, Francisco José Pinon e Walter Romero. In quegli anni Bergoglio era avversario dichiarato dei gesuiti di sinistra da posizioni nazionaliste e populiste. La sua avversione alla teologia della liberazione gli procurò l'accusa di omertà da parte del premio Nobel Perez Esqivel e poi di collaborazionismo con la dittatura dei generali argentini, dal 1976 a 1983.

papa bergoglio quando era arcivescovo di buenos airesPAPA BERGOGLIO QUANDO ERA ARCIVESCOVO DI BUENOS AIRES
Lo storico Osvaldo Bayer dichiarò ai giornali «Per noi è un'amara sconfitta che Bergoglio sia diventato Papa» e Orlando Yorio, uno dei gesuiti filocastristi catturato e torturato dai servizi segreti del regime militare, accuserà: «Bergoglio non ci avvisò mai del pericolo che correvamo. Sono sicuro che egli stesso dette ai marinai la lista coi nostri nomi». Solo dopo la caduta della dittatura militare Bergoglio iniziò a prendere le distanze dal peronismo nazionalista.

Ho tratto fedelmente questa ricostruzione dalle pagine del libro di Emidio Novi, La riscossa populista, appena uscito per le edizioni Controcorrente. Novi sostiene che la deriva progressista e mondialista di Francesco nasca da questo passato rimosso. Secondo Novi «papa Bergoglio vuol farsi perdonare il suo passato "fascista" durato fino al 1980».
jorge mario bergoglio in argentinaJORGE MARIO BERGOGLIO IN ARGENTINA

Per questo non perde occasione di compiacere il politically correct, il partito progressista dell' accoglienza, l' antinazionalismo radicale. Novi, giornalista di lungo corso e senatore di Forza Italia, è morto lo scorso 24 agosto investito da un camion della nettezza urbana in retromarcia mentre era al suo paese natale, Sant' Agata di Puglia.

jorge mario bergoglio in argentinaJORGE MARIO BERGOGLIO IN ARGENTINA
Il suo libro è uscito postumo, con una prefazione di Amedeo Laboccetta e a cura di suo figlio, Vittorio Alfredo. Novi si definiva populista già decenni prima che sorgesse in Italia l'onda populista. Era populista al cubo, perché proveniva dall' ala più «movimentista» dell'Msi ispirata dal fascismo sociale: poi perché proveniva dal Sud e da Napoli, ed era un interprete genuino dell'antico populismo meridionale, a cavallo tra la rivolta popolana e la nostalgia borbonica; e infine era populista perché considerava l'oligarchia finanziaria, la dittatura dei banchieri e degli eurocrati, il nemico principale dei popoli nel presente. Perciò amava definirsi nazionalpopulista, e sovranista ante litteram.

jorge mario bergoglio in argentinaJORGE MARIO BERGOGLIO IN ARGENTINA
In questo suo ultimo libro Novi si occupa in più pagine del «papulismo» di Bergoglio, della sua teologia «improvvisata e arruffona», della sua resa all' islam, della sua ossessione migrazionista fino a definire Gesù, la Madonna e San Giuseppe come una famiglia di immigrati clandestini in fuga.

Lo reputa «uno strumento dell' Anticristo», funzionale sia al progressismo radical dell'accoglienza che al mondialismo laicista della finanza, mescolando il vecchio terzomondismo, l'internazionalismo socialista con il disegno global che ci vuole nomadi, senza radici, senza patria e senza frontiere. Ma del suo passato argentino, al tempo di Perón, del giustizialismo e poi della dittatura militare, Bergoglio preferisce non parlare.

Anche gli estroversi a volte tacciono.

sabato 19 gennaio 2019

Leopardi malato


«Non era un depresso, non era uno sfigato come direbbero i ragazzi di oggi, non era affetto da malattia tubercolare ossea». Erik Sganzerla, 68 anni, da venticinque direttore della Neurochirurgia dell' ospedale San Gerardo-Università Bicocca, parla di Giacomo Leopardi e riapre un cold case , ricostruendone la cartella clinica. Lo fa nel volume «Malattia e morte di Giacomo Leopardi» che presenterà mercoledì alle 20,45 nell' aula magna del liceo Mosè Bianchi in via della Minerva. Sganzerla non ricorda esattamente a quando risale il suo interesse per Leopardi: «Di certo sui banchi del liceo Beccaria di Milano. C' era chi stava dalla parte di Manzoni e chi di Leopardi. Io non ho mai amato troppo Manzoni».
erik sganzerlaERIK SGANZERLA

Negli anni poi, ha sempre affiancato la carriera di neurochirurgo (ha fatto parte del team di periti nel processo sulla morte di Stefano Cucchi), alla passione per la letteratura dell' Ottocento e al collezionismo di libri rari. Un paio di lettere di Leopardi sono nella sua collezione e sono pubblicate nel volume, così come una rara prima edizione, corretta a mano dallo stesso Leopardi, di «All' Italia e Sopra il monumento di Dante».

D'AVENIA LEOPARDID'AVENIA LEOPARDI
Partendo dalle 1.969 lettere che compongono la corrispondenza del poeta il neurochirurgo ha ricostruito le fasi della malattia, l' insorgere dei primi sintomi, la loro evoluzione, arrivando a formulare una nuova affascinante ipotesi che smonta quella finora più citata di «Morbo di Pott» o spondilite tubercolare.

«Ho seguito un metodo di indagine squisitamente clinico - spiega il neurochirurgo -, ho analizzato i sintomi di cui parla nelle lettere tra cui disturbi urinari, deformità spinale, disturbi visivi, astenia, gracilità, bassa statura, disturbi intestinali e complicanze polmonari e cardipolmonari. Piuttosto che pensare a tante diverse patologie ho ricondotto questo quadro ad un comun meccanismo degeneratore». Secondo il medico monzese, l' autore dei «Canti» e dello «Zibaldone» era affetto da una malattia genetica rara: la spondilite anchilopoietica giovanile che ancora oggi ha un' incidenza di 5 o 7 casi ogni 100 mila persone.
giacomo leopardiGIACOMO LEOPARDI 

«Dalle lettere sappiamo che Leopardi non è nato gracile e gobbo, anzi il fratello Carlo lo descrive come un bambino vivace e leader nei giochi - spiega Sganzerla -. La deformità spinale, una cifosi dorsale, insorge dopo i 16 anni come si trova conferma nelle parole del marchese Filippo Solari che scrive di aver lasciato "Giacomino di circa 16 anni sano e dritto" e di averlo ritrovato dopo 5 anni "consunto e scontorto"». I celebri sette anni di studio «matto e disperatissimo» nella biblioteca paterna contribuirono ad aggravare la sua deformazione alla quale si aggiunsero i problemi della vista a fasi alterne, disturbi intestinali e complicanze cardiopolmonari che lo portarono alla morte a 39 anni, il 14 giugno 1837. «Con tutta probabilità - conclude il medico - avvenuta per scompenso cardio respiratorio». L' indagine esclude soprattutto la diagnosi di «depressione psicotica» come riportano invece studi recenti.
leopardi infinitoLEOPARDI INFINITOGiacomo LeopardiGIACOMO LEOPARDI

«La sua malattia ha influenzato i tratti caratteriali, ma non si può certo parlare di depressione in un uomo che come Leopardi viaggiò molto fino alla fine dei suoi giorni, continuò a creare moltissimo. Aveva tanti progetti da realizzare ed ebbe sempre il coraggio di proiettare il suo sguardo oltre gli ostacoli».

venerdì 11 gennaio 2019

L'orrore della Grande Guerra

Paolo Isotta per “Libero Quotidiano”

uomini contro rosiUOMINI CONTRO ROSI
Il 2018 è stato il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale, quella che Ernst Nolte chiama il primo atto della guerra civile europea: la seconda non è stata che la prosecuzione della prima, e il trattato di Versailles è la prima causa che ne pone le premesse.

Sia per le follie compiute per creare sulla carta nuove e artificialissime nazioni, sia per come vennero inumanamente conculcate le vinte, sia per come venimmo trattati noi, di nome vincitori ma in fatto depauperati come sconfitti. Alle ferite aperte e secolari se ne aggiunsero di nuove. La massima di Scipione, uno dei più grandi e più illuminati condottieri della storia, è stata nel Novecento sempre calpestata: bisogna vincere e mai stravincere.
PAOLO ISOTTAPAOLO ISOTTA

Sui prodromi della guerra esiste una vasta letteratura storica. Le classi dirigenti vennero prese da una sorta di follia collettiva, che si univa agli interessi, industriali e no, di gran parte di esse, a scatenare il conflitto, e forse persino a prolungarlo. Da follia vennero presi anche Mussolini e d' Annunzio, i quali furono interventisti, per idealismo e ambizione il primo, per idealismo e superomismo il secondo.

Ma d' Annunzio fu valorosissimo combattente, e i suoi scritti di guerra blaterano meno di quelli di Thomas Mann, sull' opposta barricata. Per la prima volta, salvo le controversie teologiche dei primi secoli del cristianesimo, il nemico incarnò il Male Assoluto. Alla follia collettiva si sottrassero poche grandi figure: in Italia Benedetto Croce e quello che ancora gode di una storiografia controversa, Giovanni Giolitti: per me uno dei nostri veri statisti.
la grande guerraLA GRANDE GUERRA
In Francia soprattutto Romain Rolland, il grande storico della musica e romanziere.
Questi dovette addirittura esulare, come lo dovette Stefan Zweig.

Nelle meravigliose Memorie intitolate Il mondo di ieri la descrizione della pazzia contagiante l' Europa è vivida come in poche altre pagine; e l' Autore mostra che i pacifisti delle due parti rischiavano concretamente la condanna a morte per alto tradimento.

Un discorso a sé meritano le classi militari. I comandanti d' esercito e gran parte dei generali e molti ufficiali erano macellai dominati da un insieme di ottusità e ferocia. Basta, per comprenderlo, leggere una biografia di Cadorna, che guidava il nostro esercito, fatto di pazienti eroi sacrificantisi inutilmente; o una storia della rotta di Caporetto. I veri nemici dei fanti erano i marescialli e i generali.
uomini contro rosiUOMINI CONTRO ROSI

Essi di continuo comandavano di sparare sulle truppe proprie, persino di bombardarle, sol se esitassero a uscire dalle trincee per esporsi all' artiglieria e ai gas e a una morte certa. Un piccolo, aureo libretto di Emilio Lussu, Un anno sull' altipiano, racconta la vita quotidiana nelle trincee, i soldati mandati a morire per ostinazione e capriccio, la vanità dei generali quasi crescente col crescere del numero di caduti propri.

SORDI E GASSMAN NE _LA GRANDE GUERRASORDI E GASSMAN NE _LA GRANDE GUERRA
Da questo libro è stato tratto un dei migliori films di Francesco Rosi, Uomini contro. La denuncia della guerra, e di come era condotta, ha fatto nascere capolavori del cinema. Dal primo All' ovest niente di nuovo, tratto dal libro di Erich Maria Remarque, del 1930, di Lewis Milestone: e venne censurato in molti Paesi, a cominciare dal nostro. A Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick, del 1957, che mostra come si svolgesse la guerra vista dai francesi. A Per il re e per la patria di Joseph Losey. Non si saprebbe quale fra le gerarchie militari fosse meno composta di macellai.

VITTIME E CARNEFICI Le vittime principali, oltre la truppa, erano gli ufficiali inferiori, richiamati o volontarî. Da noi venne falciata la parte migliore della borghesia, sinceramente patriottica. I libri e i films sono concordi nel mostrare i crescenti disagio e dissenso, in ogni esercito, di questi ufficiali, di fronte all' assurdo nel quale erano costretti a vivere e al quale dovevano contribuire.

lussu coverLUSSU COVER
Il capolavoro fra tutte le pellicole è per me La grande illusione di Jean Renoir. Questa apre interrogativi addirittura metafisici, pur se sia percorsa da una vena anche leggera e satirica. Il sommo regista era figlio di un sommo pittore; ed è a me carissimo per essere stato il solo capace di trarre una riduzione cinematografica di valore dalla Madame Bovary di Flaubert: uno dei più alti romanzi mai scritti, e contro il quale si sono rotte le corna tutti gli altri cineasti, compreso Chabrol, il quale nel suo film cade in veri errori di grammatica e non può essere a Renoir nemmeno paragonato per elevatezza di stile.
Locandina La Grande GuerraLOCANDINA LA GRANDE GUERRA 

LE MEMORIE Un altro splendido libro di memorie è Goodbye to All That, Addio a tutto questo (1929), di Robert Graves, ripubblicato dalla Adelphi nel 2016. Graves, nato a Wimbledon nel 1885, nipote per parte materna del grande storico tedesco Leopold von Ranke, era di origine irlandese e venne arruolato nel 1914 mentre era iscritto all' università di Oxford. Nel 1929 lasciò per sempre il suo Paese per trasferirsi a Majorca. Erano tempi nei quali uno scrittore poteva ancora vivere del suo lavoro; e Graves, filologo classico e mitologo, non era un romanziere facile. A romanzi eruditi come Io Claudio e Il divo Claudio, dedicati al mondo imperiale romano, o a quello sul condottiero bizantino Belisario, unisce fittissime e dotte ricerche di mitologia, come I miti greci e La dea bianca. La prima parte delle Memorie riguarda soprattutto l' educazione scolastica nelle cosiddette public schools, ossia i collegi privati. Egli spiega che il sistema sul quale si basavano, e si sarebbero continuate a basare, rafforzava l' omosessualità di chi ne aveva l' istinto, e la provocava in chi non ne portava la nativa tendenza.
remarque coverREMARQUE COVER

MUSSOLINI E D ANNUNZIOMUSSOLINI E D ANNUNZIO 
Tutta la upper class ne era intrisa. Eppure era ancora un grave reato, vieppiù perseguito in guerra. La parte principale è un racconto d' imparagonabile forza, e del tutto tremendo, delle trincee. Il gas, l' ossessione delle bombe e della mitragliatrice, gli assalti nella terra di nessuno, il fango, i parassiti, i topi, gli escrementi; e il sadismo degli ufficiali superiori; e le fucilazioni e decimazioni per codardia o insubordinazione. Tutto Questo, ciò a che egli dà l' addio, nasce anche da psicopatia e ne produce: egli narra che, gravemente ferito e dato per morto, continuò per anni a essere perseguitato da ossessioni, incubi, allucinazioni. Riguarda milioni di combattenti di tutte le parti. Eppure, vi si trae la vivida immagine dell' infinita capacità che ha l' uomo di adattarsi a tutto: nel male, intendo, ché "del bene si stucca", dice Machiavelli.

La nascita e lo svolgimento della Prima Guerra Mondiale, ma forse di ogni guerra, si possono commentare solo con la sentenza di Sofocle: «Il dio fa prima uscire di senno coloro che vuol perdere».

giovedì 10 gennaio 2019

I Valdesi

Giulia Mengolini per www.lettera43.it



Chi sono i valdesi? Erano già balzati agli onori della cronaca nel 2015. Quando papa Francesco si rese protagonista di un'apertura storica, diventando il primo pontefice a visitare un tempio valdese. Bergoglio, a Torino, chiese anche scusa ai valdesi per quanto fatto contro di loro dai cattolici. «Da parte della Chiesa cattolica», disse, «vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci!». Ma qual è la storia dei valdesi?


1. ORIGINI: IL FONDATORE È VALDO, LAICO SCOMUNICATO
Il fondatore della chiesa evangelica valdese è Pietro Valdo, un ricco mercante di Lione che verso il 1170-75, in seguito a una profonda crisi spirituale, cambiò radicalmente vita dando i suoi beni ai poveri e mettendosi a predicare l'Evangelo al popolo. Rifiutandosi di obbedire al vescovo di Lione Guichard e alle altre autorità ecclesiastiche della città che gli imponevano, in quanto laico, di non predicare al pubblico, fu scomunicato assieme a coloro che presto si unirono a lui, per seguire il suo esempio e il suo ideale di vita cristiana. 


Quello che lo distinse da Francesco d'Assisi fu che egli non fondò un ordine monastico, ma continuò a vivere in mezzo alla gente da semplice laico, leggendo e predicando il contenuto di alcuni libri della Bibbia che egli si fece tradurre in lingua volgare. Il vescovo della città gli proibì di predicare, perché egli era laico, ma Valdo, disobbedendo, continuò a farlo. Nonostante la scomunica e le persecuzioni, questo movimento si diffuse non solo in Francia, ma anche in tante altre parti d'Europa e anche in Italia, specialmente in Lombardia, dove fu chiamato dai "Poveri Lombardi".


2. PERSECUZIONI: IL 17 FEBBRAIO GIORNO DELLA MEMORIA
Nel 1532 i valdesi aderirono alla Riforma protestante. In seguito a sanguinose persecuzioni, dal XVI secolo sopravvissero nelle valli del Piemonte finché, ottenuti i diritti civili il 17 febbraio 1848, si diffusero in tutta Italia. Fra tutte le date della propria storia la comunità valdese ha scelto come momento significativo di memoria proprio il 17 febbraio, giorno del 1948 in cui Carlo Alberto pose fine a secoli di discriminazione riconoscendo ai suoi sudditi valdesi i diritti civili e politici.



3. DIFFUSIONE E NUMERI: 45 MILA TRA ITALIA E SUD AMERICA
Sparse su tutto il territorio nazionale, le comunità valdesi rappresentano una minoranza evangelica significativa. Gli appartenenti alle loro Chiese sono oggi in Italia e in Sud America circa 45 mila, ripartiti geograficamente in tre gruppi. Il primo è quello che risiede nelle Valli del Piemonte occidentale, a Ovest di Pinerolo, dove le chiese hanno vissuto isolate fino al 1848.

In Piemonte se ne contano 41 (120 in tutta Italia) di cui 18 nelle Valli Valdesi: e hanno il loro centro a Torre Pellice, in provincia di Torino. Ma i valdesi sono disseminati in tutta la Penisola: una presenza importante a Torino, Firenze Roma. Il terzo nucleo è invece costituito dalle chiese sudamericane organizzate nella Iglesia Evangelica Valdese del Rio de la Plata.



4. DIFFERENZE COI CATTOLICI: NIENTE PREGHIERE AI SANTI
La Chiesa valdese e la Chiesa cattolica, essendo entrambe cristiane, hanno molti punti in comune, come la fede in un unico Dio, nello Spirito Santo e nella stessa Bibbia (Antico Nuovo Testamento). Tuttavia tra le due Chiese ci sono differenze notevoli. Quelle principali riguardano la stessa Bibbia, non solo per il suo contenuto e l'interpretazione di alcuni passi, ma specialmente per il posto che occupa nelle rispettive Chiese.

Per la Chiesa valdese, e per le altre Chiese evangeliche, in base al principio sola Scriptura affermato dalla Riforma, la Bibbia è la sola norma per la fede e la vita dei credenti; mentre per la Chiesa cattolica accanto alla Bibbia si pone, come avente pari autorità, la tradizione orale, ed entrambe (Bibbia e tradizione) devono essere accolte solo secondo l'interpretazione considerata infallibile del magistero papale. Inoltre, per i valdesi, come per tutti gli altri evangelici, Gesù è la sola via per andare al Padre, unico mediatore fra Dio e gli uomini. La loro chiesa esclude quindi le preghiere e gli atti devozionalirivolti alla Madonna e ai santi.



5. SIMBOLI E TEMI ETICI: CONTRATI AL CROCIFISSO
Come tutti i cristiani, i valdesi usano avere nei loro locali di culto il simbolo della croce, ma sono contrari all'esposizione del crocifisso per ragione teologica: dopo essere stato crocifisso, Gesù è resuscitato. L'immagine che i suoi apostoli ci hanno lasciato non è quella del suo corpo in croce, ma quella delle sue apparizioni dopo essere risorto. La chiesa valdese si schiera con la laicità dello Stato. Favorisce il dibattito su temi etici come l'aborto, l'eutanasia, il testamento biologico. Per quanto riguarda l'omosessualità, la chiesa valdese è attivamente impegnata nella lotta all'omofobia e nel supporto della comunità Lgbt.

MELANZANE

  Un nuovo studio ha rivelato un sorprendente legame tra la vita sentimentale e l’alimentazione. Tutti vogliamo dormire bene, avere una vita...