venerdì 10 agosto 2018

Le stelle cadenti

Silvia Ronchey per ''la Repubblica''



Nel mondo cristiano la notte delle stelle cadenti è una festa della luce e una celebrazione dello sguardo.
In Grecia, e in genere nel calendario ortodosso, è associata alla contigua festa della Metamorphosis, ossia della Trasfigurazione, quando Cristo sul Tabor appare ai discepoli in una mandorla accecante di luce.

Un' esortazione, nell' esegesi teologica bizantina e poi russa, alla metamorfosi dello sguardo, all' esercizio di quella capacità di percepire la struttura spirituale delle cose, di intravedere, come ha scritto Pavel Florenskij, «tra le crepe del mondo sensibile l' azzurro dell' eternità», che in altre tradizioni mistiche, come quella buddista, è chiamato appunto "retto sguardo".

Mea nox obscurum non habet, sed omnia in luce clarescunt, recitano, in metrica classica, i Vespri della liturgia di San Lorenzo: «La mia notte non ha oscurità, ma tutto nella luce diventa chiaro».


Quello di Lorenzo, uno dei sette diaconi martirizzati a Roma nel Terzo secolo, secondo la leggenda agiografica è il sacrificio dei sacrifici: oltre ai tratti dell' olocausto pagano (Lorenzo fu "cotto", arso vivo sul fuoco come un' antica hostia animale) conserva anche, nella tradizione cristiana, un elemento cannibalesco, come ricorda la frase che secondo il De Officiis di Ambrogio pronunciò durante il supplizio: Assum est. Versa et manduca, «Questa parte è cotta. Gira e mangia».

Secondo la tradizione popolare sono le lacrime di san Lorenzo, o le scintille di fuoco sprigionate in alto dalla graticola, le scie luminose dello sciame meteorico più visibile dell' anno, che la Terra nella sua rivoluzione si trova ad attraversare tra la fine di luglio e la seconda metà di agosto, con un picco di visibilità concentrato, appunto, questa notte. In età più antica questa pioggia di luci è stata interpretata anche altrimenti.

I romani le ritenevano spruzzi di bianco sperma del dio Priapo, sparsi a inseminare i campi, associati quindi alla grande festa della divinità femminile fecondatrice della terra che cade tra pochi giorni, il 15 agosto. Il radiante della pioggia meteorica, ossia il punto dal quale sembrano provenire tutte le scie, è nella costellazione di Perseo.

Per questo le stelle cadenti si chiamano Perseidi, richiamando il mito antico della decapitazione della Gorgone Medusa, il cui sguardo fisso nel nostro ci impedisce di guardare rettamente il mondo, ci pietrifica e ci inocula la morte negli occhi, secondo la definizione di Jean-Pierre Vernant. Anche nel mito greco cui gli astronomi ottocenteschi associano queste particelle siderali, rilasciate da un' antica cometa durante le sue passate orbite, si celebra dunque la liberazione dello sguardo.


Che si tratti di Ulisse o del pastore errante nell' Asia, del salmista o di Elia rapito sul carro, da sempre lo sguardo umano si è diretto al cielo. Se è nell' immenso ricamo astrale che ogni sapienza antica riconosce il disegno dei suoi eventi sacri, è nel cielo stellato sopra di sé che i navigatori dei mari o dei deserti, gli ispirati o i mistici trovano la propria rotta nel mondo esteriore così come il retto orientamento interiore.

Se è alla vertigine cosmica che il filosofo affida la sua visione del mondo, se oggi le luci delle città oscurano il cielo, se la scienza moderna ci insegna che è di stelle morte anche da migliaia e migliaia di anni la luce che arriva allo sguardo dei terrestri, è ancora più necessario, una volta l' anno, rivolgerlo a questo universale, letterale simbolo di caducità.
Come scriveva Pascoli: «E tu, Cielo, dall' alto dei mondi / sereni, infinito, immortale,/ oh! d' un pianto di stelle lo inondi /quest' atomo opaco del Male».


lunedì 6 agosto 2018

Debito e sovranismo

Carlo Cottarelli e Giampaolo Galli per ''La Stampa''


Agli allarmi degli economisti sui rischi di crisi finanziaria che incombono sull' Italia se si abbandonasse una linea di fermezza circa l' appartenenza all' euro e di prudenza in materia di conti pubblici, alcuni esponenti dell' attuale maggioranza rispondono che la volontà del popolo è sovrana e non può accettare di essere subordinata a volontà terze, men che meno alla volontà dei mercati finanziari.

Dunque può anche darsi che ci siano dei rischi, ma se il popolo sovrano ritiene che sia giusto, ad esempio, aumentare la spesa per il reddito di cittadinanza, questa cosa deve essere fatta. Sulla base di questo argomento vengono censurati i governi degli anni scorsi, in quanto rei di aver ceduto alle pressioni dei mercati e dunque, in qualche modo, di aver svenduto la democrazia italiana, se addirittura l' Italia stessa, a una élite finanziaria che, secondo alcuni, dominerebbe il mondo.

Questi argomenti connotano in modo molto netto, le posizioni che generalmente vengono definite sovraniste e che sono largamente trasversali fra destra e sinistra.

Occorre riconoscere che una riflessione sui limiti della globalizzazione è del tutto legittima e si può forse accettare il ragionamento di Dani Rodrik, dell' Università di Harvard, secondo cui la globalizzazione, spinta oltre certi limiti, rischia di entrare in conflitto con la sovranità nazionale, specie quando questa si esprima in forme democratiche.


Ma ci sono due obiezioni che anche i sovranisti più convinti dovrebbero prendere in considerazione.

La prima attiene al principio di realtà. Può darsi che il mondo ideale sia diverso da quello reale, ma noi abbiamo a che fare con il mondo reale. E in questo mondo, noi abbiamo un debito pubblico al 132% del Pil e dobbiamo convincere i mercati a comprare ogni anno circa 400 miliardi di titoli del debito pubblico italiano.

Se venisse meno la fiducia dei mercati, le aste dei titoli di Stato andrebbero deserte e lo Stato non avrebbe più i mezzi per pagare gli stipendi, le pensioni e i fornitori della pubblica amministrazione. Si materializzerebbe quel baratro spesso evocato in passato, ma sempre sin qui evitato, grazie proprio alle politiche di quei governi che i sovranisti mettono sotto accusa.

La seconda obiezione è che il mondo ideale vagheggiato dai sovranisti non è mai esistito.
Sempre, in qualunque epoca e in qualunque regime economico, uno Stato troppo indebitato è finito in crisi.

Nella seconda metà del terzo secolo D.C., gli imperatori romani, a corto di denari per pagare le milizie, ricorsero all' ingegneria monetaria riducendo progressivamente la quantità di argento contenuto nel conio imperiale, il che provocò iperinflazione, impoverì i detentori del conio, portò alla diffusione del baratto e al caos economico, di cui è testimonianza il famoso editto di Diocleziano del 301 D.C. con cui si tentò, senza successo, di fissare un prezzo massimo per una gran quantità di beni.

Nella Francia ante rivoluzione, la monarchia affrontò più volte il problema dei debiti ricorrendo all' esecuzione fisica dei creditori della corona, operazioni che meritarono l' appellativo di «saignée», dissanguamenti.


Venendo ai tempi nostri, gli attacchi speculativi avvenivano anche nei primi decenni del dopoguerra, malgrado che il regime di Bretton Woods prevedesse controlli sui movimenti di capitali e una apertura assai limitata al commercio internazionale.


Il Regno Unito fu costretto fin dal 1949 ad accettare svariate e rilevanti svalutazioni della sterlina, cosa che era assolutamente contraria alla politica scelta dal popolo sovrano. In Italia, nel gennaio del 1976, in presenza di controlli ferrei sui movimenti di capitali e di vincoli sulle banche italiane, la perdita di fiducia nel paese portò ad azzerare le riserve valutarie del paese nel giro di pochi giorni e obbligò le autorità a chiedere aiuto per l' ennesima volta al Fmi e alla Comunità Europea.

Ancora, nei primi Anni Ottanta i mercati piegarono la Francia di Mitterrand che cercava di perseguire politiche di espansione del deficit pubblico. Nel 1987, piegarono persino gli Stati Uniti dei mega deficit reaganiani tanto che le autorità americane furono costrette, nel G-7 del Louvre, a chiedere aiuto agli altri grandi paesi per evitare una caduta eccessiva del dollaro.


La conclusione è che i controlli sui movimenti di capitali, che alcuni sovranisti sembrano rimpiangere, forse servivano a rallentare la speculazione in tempi normali, ma non servivano quasi a nulla quando i risparmiatori avevano ragione di temere per la sorte dei loro soldi.



C' è un solo modo per ripristinare la sovranità nazionale rispetto ai mercati: evitare di far debiti e ridurre quelli esistenti, almeno rispetto alla dimensione dell' economia. Göran Persson, ex primo ministro di un paese, la Svezia, che ha sempre avuto una moneta indipendente, ha dichiarato che negli Anni 90 il governo si decise a ridurre drasticamente il debito attraverso politiche di bilancio restrittive anche perché era umiliante per la nazione dover «mendicare» a Londra o New York per convincere gli investitori esteri a comprare titoli di stato.

Se invece si fa di tutto per aumentare il deficit, non si fa altro che stringersi il cappio attorno al collo. Anche perché i creditori di oggi sono in gran parte cittadini italiani che detengono titoli del debito pubblico, direttamente o attraverso i fondi. E la soluzione francese di dissanguarli difficilmente troverebbe il consenso del popolo sovrano.

Europa e sovranismo

Giorgio Gandola per “la Verità”

giordano bruno guerriGIORDANO BRUNO GUERRI
«Il più grande errore dell' Europa? Non avere capito che i popoli non corrono». Gli storici sono affascinanti, guardano un fenomeno politico oggi dalla spiaggia e lo catalogano secondo categorie millenarie, perché tutto torna e tutto è già stato scritto.

In questo esercizio di ginnastica mentale Giordano Bruno Guerri è il numero uno: da 40 anni interpreta i fenomeni della contemporaneità con la profondità dello studioso e la leggerezza calviniana del divulgatore. E lo fa stando con i piedi ben piantati nel presente: «Sono stato il primo a pubblicare un libro di storia in cui si parla del governo di Giuseppe Conte».

Giordano Bruno GuerriGIORDANO BRUNO GUERRI
Un giorno disse: «Leggendo le nubi del passato si anticipano i temporali di domani». Così Movimento 5 stelle, Lega, sovranismo, orticaria diffusa per Bruxelles, l' Italia più o meno razzista, la sinistra più o meno sfinita, faccette nere all' orizzonte e perfino la battaglia per la presidenza della Rai si capiscono meglio se viste da dietro i suoi occhiali da sole.

Con i quali si ripara non dai raggi bollenti di agosto ma dai turisti molesti che lo scambiano per l' attore John Malkovich.

Professor Guerri, chiariamo subito la metafora podistica dei popoli pigri.
«Tutti i grandi condottieri e poi dittatori, da Cesare a Napoleone, sono caduti perché hanno preteso di far correre i loro popoli, di completare rivoluzioni nell' arco temporale della loro vita. Presuntuosi, poco lungimiranti».


L' Europa cosa ci azzecca?
«L' Europa ha fatto lo stesso, ha immaginato un' integrazione inesistente solo con la moneta e qualche regola sovrastrutturale.

Ma le identità, che costituiscono il Dna dei popoli, non si cambiano in poco tempo. Da sempre i politici sanno correre i cento metri, mai la maratona. Ed ecco spiegato l' euroscetticismo».

Il concetto va attualizzato.
«La richiesta di maggiore autonomia è così evidente che ne scrissi 20 anni fa con la grande Ida Magli, la prima vera antieuropeista italiana. C' è tutto nel libro Per una rivoluzione italiana, edito da Bompiani, dove si sottolineano i problemi che l' Europa unita ci avrebbe portato in casa».

Che effetto ebbe la denuncia?
«Il volume fu trattato come un libretto satanico, allora parlare male dell' Ue era come insultare la mamma. Era evidente che avremmo perso sovranità a favore di Bruxelles.
Ora chi lo nega ne paga le conseguenze in termini di consenso».

Quindi bisognerebbe favorire una Italexit?
«Vent' anni fa avrei detto di sì, ma credo che uscire dall' Europa oggi sia un disastro senza pari. Piuttosto dovremmo essere capaci di difendere e far rispettare gli interessi nazionali da dentro l' Unione.
giordano bruno guerriGIORDANO BRUNO GUERRI

E se questo significa essere sovranista, allora sono sovranista anch' io, anche se mi fa orrore la parola dal punto di vista semantico. Viene usata per non riportare in auge quell' altra, nazionalista, che tanti danni ha fatto nel '900».

Ha da poco pubblicato un libro dal titolo: Antistoria degli italiani da Romolo a Grillo. Qual è il nesso fra i due?
«Faccio una premessa. La storia ci insegna che noi siamo un grande popolo dispensatore nei millenni di intuizioni e bellezza, ma non siamo capaci di costruire uno Stato efficiente e funzionale. Ogni spallata, ogni sterzata deriva da questo deficit strutturale».


Poi cosa succede?
«Succede che a differenza della maschera di Arlecchino, che serviva due padroni, noi italiani ne abbiamo sempre serviti almeno tre: il signore locale, l' imperatore e il Papa.

Ma come Arlecchino abbiamo imparato a gestire i problemi, a cavarcela, con la furbizia. Insomma a rubacchiare. Concetto che ci fu appioppato da Carlo V nel '500. Eravamo furbi e contenti di esserlo».

E oggi come siamo?
«Come allora, sempre servitori di tre padroni: 5 stelle, Lega, Ue. La storia prosegue come se niente fosse dentro il proprio alveo naturale».
federico e giulia d'annuzio, giordano bruno guerriFEDERICO E GIULIA D'ANNUZIO, GIORDANO BRUNO GUERRI

Dalla storia alla cronaca: il ticket Di Maio-Salvini fa parecchio discutere.
«Ma la crisi italiana non dipende da loro e le responsabilità non sono loro. Diciamolo chiaro: le responsabilità sono di mezzo secolo di assistenzialismo dc a fini elettorali, di clientelismo endemico, di incapacità o non volontà di perseguire l' evasione fiscale e di sconfiggere la mafia, di riformare la giustizia, di costruire un' Europa diversa da questa.

Tutto ciò ci ha legati a doppio filo al debito pubblico, diventato mostruoso. Che c' entrano Salvini e Di Maio?».

Gli italiani pensano che abbiano la bacchetta magica.
«Loro sono conseguenze del problema; gli elettori hanno deciso di sterzare e di percorrere una strada nuova, avventurosa. È un esperimento interessante e da fare. Vedremo in autunno, davanti alla legge di bilancio, se questa strada andrà oltre o si fermerà».


Domanda al manager del Vittoriale. Musei gratis o a pagamento la domenica?
«Di sicuro musei aperti. Poi su questa decisione del ministro Alberto Bonisoli sono diviso. Da una parte è un dovere politico e civile dello Stato favorire la diffusione della cultura, dall' altra lo è anche tenere d' occhio i bilanci».

Una non esclude l' altra.
«L' iniziativa del suo predecessore Dario Franceschini era buona, ma lo è anche lasciare ai direttori la libertà di decidere. Glielo dice chi ha privatizzato il Vittoriale, come chiedevano tutti i governi dagli anni '90 in poi. Rinunciai al finanziamento pubblico ma non ho mai chiuso le porte. Poi mi sono fatto venire un' idea».
vittoriale d'annunzio 1VITTORIALE D'ANNUNZIO 1

Quale?
«Al lunedì per il sabato annunciavamo la giornata speciale, gratuita. Un successo. I direttori dei musei statali hanno potere ma libertà limitata. Devono sapere loro quali sono i vantaggi delle scelte».

Ad agitare le acque in Parlamento c' è anche il decreto Dignità. Ci ha capito qualcosa?
«Guardi, ci vedo aspetti positivi per ciò che riguarda la limitazione degli spot sul gioco. Se parliamo di lavoro, mi pare che gli intenti buoni siano almeno pari agli effetti molto meno buoni per i lavoratori».

Veniamo alle parole d' ordine del momento: antifascista.
«Il pericolo di un ritorno in Italia di gente con camicia nera e stivali è ridicolo, inimmaginabile. Vedo più un rischio in questo esasperato populismo dell' uno vale uno, facendo credere che le decisioni siano prese al computer con una democrazia globale e invece sono prese da un gruppo ristretto».

Una deriva orwelliana?
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«Non ne sono convinto. Temo molto di più lo strapotere dell' economia. Mercati ed Europa, per quando abbiamo visto, sono il vero Grande Fratello di oggi».

Altra parola: inclusione. Nel senso che ogni clandestino è una benedizione.
«Temo che a parte i toni e i modi volutamente sgradevoli, Salvini abbia posto all' attenzione di tutti il problema numero uno: ridiscutere con l' Europa che fine fanno i clandestini.


Poi sarà importante riuscire ad arginarne il flusso, non con la violenza o con i campi sognati da Marco Minniti. Nel vicino Oriente e in Africa servono programmi di sviluppo a lungo raggio».

Il Pd è per l' accoglienza diffusa, ma non sa dove mettere i migranti se non per strada.
«Il Pd sta reagendo nel modo sbagliato e anche qui la storia ci aiuta a capire. Si sono formati due partiti di massa (5 stelle e Lega) con i quali confrontarsi sui programmi, ma a sinistra vanno avanti per dibattiti interni come fanno dai tempi di Filippo Turati. È bello spaccare il cecio in quattro, ma poco pratico e oggi per niente funzionale».


Se manca la politica arrivano a cavallo gli intellettuali come Saviano.
«La funzione dell' intellettuale non è guidare, ma offrire soluzioni. E non è esprimere certezze, ma seminare dubbi. I concetti di Saviano sono umorali, pregiudiziali, senza il minimo peso, almeno se penso a Pier Paolo Pasolini. Saviano dovrebbe mandare a memoria un suo pensiero».

Quale?
«L' ho retwittato qualche giorno fa. "Noi intellettuali tendiamo a identificare la cultura con la nostra cultura: quindi la morale con la nostra morale e l' ideologia con la nostra ideologia. Esprimiamo, con questo, un certo insopprimibile razzismo verso coloro che vivono, appunto, un' altra cultura". Perfetto».

In Italia si riesce a litigare pure sul presidente Rai.
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«In Rai non cambia mai niente, regole e modus vivendi sono sempre gli stessi. Credo che nessuno abbia nulla contro Marcello Foa, ma che Berlusconi si sia risentito per non essere stato consultato e abbia deciso che lasciar correre avrebbe significato la sua resa.

Su Twitter c' è un movimento che ha lanciato la campagna: #GuerripresidenteRai. Senza consultazione preventiva, Berlusconi avrebbe bocciato anche me».

C' è chi dice che viviamo dentro una mediocrazia.
«Verissimo, questo perché le eccellenze se ne vanno; sono i ragazzi più intraprendenti.
Però c' è un lato positivo».

Meno male, qual è?

«I più brillanti si affermano. Si sa che sono italiani e che hanno studiato in Italia, ci restituiscono in prestigio ciò che abbiamo perso. Come gli artisti che nel Rinascimento partivano per donare cultura e bellezza alle corti d' Europa. Al Vittoriale abbiamo istituito il premio Genio Vagante».

Chi l' ha vinto?
«Un giovane chimico partito disoccupato da Reggio Emilia, che ora dirige un' azienda in Canada. E una ragazza siciliana che ha scoperto come si formano l' oro e l' argento. E adesso lavora alla Nasa».

In quest' epoca di trasformazioni ci siamo dimenticati della Chiesa.
«Di cambiamenti globali lì non ne esistono mai. Ricorda il concetto iniziale? Papa Francesco o no, la Chiesa cammina sempre più lentamente di tutti. Del resto, a differenza nostra, ha di fronte l' Eternità».

IL PANE

  Maurizio Di Fazio per il  “Fatto quotidiano”   STORIA DEL PANE. UN VIAGGIO DALL’ODISSEA ALLE GUERRE DEL XXI SECOLO Da Omero che ci eternò ...